Francesco Bei, la Repubblica 23/4/2014, 23 aprile 2014
SCONTRO SUL LAVORO RENZI: BASTA ATTACCHI DA SOLONI MILIONARI
Tenere fermo l’accordo con la minoranza interna del Pd, senza umiliare l’Ncd ma senza nemmeno farsene condizionare. È il doppio salto mortale che si è prefisso Renzi sul decreto lavoro. Bisogna partire da questo per capire l’irritazione del premier per quello che in privato ha definito il «cinema elettorale» messo su dal nuovo centrodestra sul decreto lavoro e lo stupore del ministro Giuliano Poletti, al suo primo vero scontro parlamentare.
Poletti pensava di aver raggiunto una mediazione buona per tutti, gli alfaniani e la sinistra filo Cgil del Pd. Invece tutto è saltato, nonostante da giorni il ministro avesse limato i contenuti del provvedimento in riunioni semiclandestine con l’Ncd Maurizio Sacconi e il dem Cesare Damiano. Poletti, avvilito, ieri sera confidava a un amico la delusione per le scene viste a Montecitorio. Molto diverse da quelle a cui era abituato lavorando da dirigente della Legacoop: «Quando c’erano differenze così piccole l’accordo si chiudeva subito. Qua invece si sono irrigiditi tutti e senza motivo ». Ovvero, apparentemente, per un motivo soltanto: il voto alle europee del 25 maggio. È questa scadenza a condizionare quello che Renzi chiama «il cinema», attribuendolo in larga parte al nuovo centrodestra, in competizione mortale con Forza Italia.
Il premier ieri ha volutamente preso le distanze dallo scontro in corso nella sua maggioranza. Ha preferito spedire i ministri Boschi e Poletti a risolvere la grana, non ritenendola pericolosa per l’esecutivo. Nessuna telefonata con Alfano, riferiscono i suoi, e nemmeno un particolare allarme sulle mosse della sinistra del Pd. Anzi, l’idea di Renzi è quella di rafforzare un rapporto con la minoranza interna proprio a partire dalle modifiche — che il premier considera comunque «marginali — al decreto lavoro. E non è un caso se ieri il leader della sinistra, Gianni Cuperlo, abbia esaltato il compromesso raggiunto «unitariamente », aggiungendo parole di miele nei confronti del segretario Pd: «Nel paese la fiducia verso il governo sta crescendo, questo conta moltissimo ». Se l’Ncd ha incassato lo stop a qualsiasi ipotesi di taglio sulla Sanità, potendolo sventolare in campagna elettorale come un successo del ministro Lorenzin, si comprende che stavolta dovrà digerire il decreto così come uscito da Montecitorio. Le eventuali modifiche non toccheranno il cuore della proposta. «Il 20 maggio — ricorda il renziano Davide Faraone, membro della commissione lavoro — il decreto scade, da qui non si scappa. E l’Ncd se la vuole prendere la responsabilità di far saltare tutto? Questo provvedimento è molto atteso dalle imprese».
Certo, Renzi deve stare attento a non umiliare un partner essenziale come il nuovo centrodestra. Per di più a palazzo Madama i numeri della commissione lavoro sono a rischio (solo 8 su 25 sono del Pd) e il presidente è proprio quel Maurizio Sacconi che ha fatto dell’abolizione articolo 18 - anzi Sacconi per scaramanzia lo chiama «l’articolo tra il 17 e il 19» - una religione civile. Per questo e per agevolare il cammino spedito della riforma, qualche piccola aggiustatina al Senato si potrà concedere, i margini ci sono. Poi, come è accaduto alla Camera, sul decreto calerà una nuova fiducia, stroncando così qualsiasi ostruzionismo messo in campo dal movimento 5 stelle. A quel punto il provvedimento dovrà tornare per l’ultima lettura di nuovo alla Camera. Un passaggio a rischio decadenza, certo, viste i ponti del 25 aprile e del primo maggio. Ma quello che conta, ovvero il patto tra Renzi e la minoranza Pd, sembra reggere anche di fronte a questa eventualità. Intercettato in una Montecitorio deserta, Gianni Cuperlo ci scherza su: «Noi vecchi comunisti siamo notoriamente afflitti dal senso di responsabilità. E non faremo decadere il decreto». Renzi, alle prese con la campagna elettorale, è molto soddisfatto per questa blindatura dell’ala sinistra del suo schieramento: «Un mese fa - ha detto ai suoi al termine di una giornata campale - ci si aspettava che le polemiche sulla riforma del lavoro sarebbe state tutte interne al partito democratico. Invece non è così». Quello che sta a cuore al premier è portare a casa il decreto prima delle Europee, salvaguardandone la sostanza politica, ovvero una maggiore flessibilità in entrata del mondo del lavoro. «Al di là delle bordate di Sacconi — confida un renziano del primo cerchio — gli imprenditori ottengono una deroga di 36 mesi sull’articolo 18. Il resto appartiene alle dispute ideologiche». E la tesi di Scelta Civica, che sul punto sostiene Renzi contro gli opposti «ideologismi». Il capogruppo montiano alla Camera, Andrea Romano, legge in questa chiave lo scontro a cui si è assistito ieri: «Sacconi si è opposto all’ultima mediazione del ministro Poletti chiedendo l’abolizione dell’articolo 18. Abbiamo visto contrasti che non ci piacciono per niente. Da una parte una sinistra che si illude di poter tornare agli anni Cinquanta e dall’altra il nuovo centrodestra che fa battaglie ideologiche del tutto incomprensibili». La notizia è che stavolta Renzi ha scelto di accontentare la sua minoranza, lasciando all’Ncd solo qualche briciola.
Francesco Bei, la Repubblica 23/4/2014