Paolo Griseri, la Repubblica 23/4/2014, 23 aprile 2014
A CAMERI, NELLA CITTA’ DEL JET. «SE NON DA NOI, LI FARA’ LA MERKEL»
L’altra faccia degli F-35 è la signora Morena, titolare del bar Castello, in piazza Dante Alighieri. Serve le patatine al banco degli aperitivi e sentenzia: «Gli aerei? Che li costruiscano, almeno così ci portano un po’ di lavoro. Tanto, se non li facciamo noi finisce che vanno a produrli da un’altra parte». Così in un colpo solo l’etica, Pax Christi, il pacifismo mondiale, finiscono giù, insieme alle olive. In questo centro di 11 mila anime alla periferia di Novara gli aerei da combattimento sono pane quotidiano da decenni, ben prima degli F-35.
La fabbrica è un pezzo della base militare, storico insediamento dell’aeronautica italiana. «Da qui partivano gli aerei per bombardare l’ex Jugoslavia», ricorda Valeria Galli, Pd, candidato sindaco alle prossime elezioni amministrative. Quelle notti don Tarcisio Vicario, parroco del Duomo, organizzava veglie di preghiera, il rombo dei caccia contro i canti di pace. E ancora oggi il sacerdote non ha cambiato idea: «Bisogna essere equilibrati. Certo, io ho sempre cercato di avere un buon rapporto anche con l’aeronautica. Ma se mi chiede che cosa ne penso del taglio della produzione, io dico che è giusto. Che spendano quei soldi per costruire scuole e ospedali». E i suoi parrocchiani che lavorano alla base? «Ognuno ha la sua idea. Ma guardi che Cameri non si è arricchita tanto con gli F-35».
Eppure sembrava che proprio il caccia Usa avrebbe fatto la fortuna del paese. «Me li ricordo i politici che venivano da Torino a fare la campagna elettorale sugli F-35. Raccontavano che avrebbero portato 10.000 posti di lavoro». Valeria Galli punta il dito contro i politici del centrodestra, a partire dal leghista novarese Roberto Cota, che quattro anni fa prometteva un posto sicuro nella fabbrica dei caccia. «In realtà la forza lavoro oggi occupata a Cameri è di poco più di 300 unità», spiega Pierpaolo Calcagno, delegato Fiom di Alenia. E aggiunge: «Anche mantenendo gli attuali programmi senza tagli, nei prossimi anni i posti di lavoro a Cameri sarebbero non più di 600». Gli attuali 300 sono divisi in tre gruppi: 120 sono trasfertisti. Sono dipendenti dell’Alenia di Caselle che partono ogni mattina da Torino, percorrono 120 chilometri di autostrada e finiscono nei capannoni della base militare. Una vitaccia: «Sì ma noi siamo i più tutelati», spiega Angelo, impiegato e trasfertista. «In fondo se riducono le commesse noi smettiamo di andare a Cameri e torniamo a Caselle». Con una differenza non da poco: «Certo, la busta paga scende. Perché per la trasferta arrivano 1.800 euro al mese in più, quasi
un raddoppio dello stipendio».
Rischia di più Luigi, 37 anni e un figlio di 9. E’ un tecnico: «Se Cameri riduce la produzione, io non ho un’altra fabbrica in cui tornare». Luigi parla ai tavolini del bar Moderno: «Lo so che produciamo armi da guerra. Potrei dire: non è un fatto che mi riguarda, io mi guadagno solo il pane. Ma sarebbe ipocrita. Prima lavoravo nell’aeronautica civile, ho accettato io di andare nel settore militare. Credo che sia giusto che l’Italia abbia un sistema di difesa». Ma è giusto spendere tanto in questi aerei? «Beh, su questo la discussione sarebbe lunga. Ma è una discussione tecnica. Dal punto di vista del principio costruire l’Efa o l’F-35 non cambia, sempre armi da guerra sono».
In realtà i più deboli nella catena produttiva sono i 50 romeni assunti con contratto interinale, i primi a saltare se non verrà rispettato il contratto. Su 300 dipendenti nella fabbrica-caserma di Cameri non ci sono delegati sindacali con i quali trattare: «Stiamo eleggendoli, lo faremo prossimamente», promette Claudio Chiarle segretario della Fim di Torino. Per ora comunque tutti, dentro e fuori la base militare, rimangono sospesi. Carlo, 59 anni, sorseggia il bianco al bancone di Morena: «Facevo il barista alla base militare quando dipingevano i caccia color sabbia per mimetizzarli nella guerra dell’Iraq. E sa che cosa le dico? E giusto che gli F-35 li facciamo noi. Teniamocelo stretto questo lavoro. Altrimenti la Merkel ci porta via anche questo». Lei non ha mai pensato che c’è lavoro e lavoro? «Certo. Ma ci sono lavori che bisogna fare. Oggi faccio il becchino. Crede che sia un lavoro allegro? Eppure qualcuno deve pur farlo, no?».