Elisabetta Ambrosi, il Fatto Quotidiano 23/4/2014, 23 aprile 2014
BRUNETTA È NELL’EMPIREO NEL MONDO DI FELTRI
Peggio di loro fa solo, beccandosi un sonoro due in pagella, Gianfranco Fini, l’ex leader di An di cui Bettino Craxi diceva: “È un vuoto incartato”. Sono politici, imprenditori, giornalisti e attori che conquistano, si fa per dire, gli ultimi posti della classifica del libro scritto a quattro mani da Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi (Marsilio), una spassosa antologia dei personaggi conosciuti da vicino dall’ex direttore di Libero e del Giornale: Alfano “il Coniglione mannaro”, Cuperlo il comunista che ricorda “un incrocio tra Dracula e Pippi Calze-lunghe”, Giuliano Amato “il saltatore di fossi”, Gianni Agnelli “ciofeca d’imprenditore”. E poi ancora, accomunati da un bel tre, quel Licio Gelli che “ancora non ho deciso se sia stato un grande burattinaio o una trascurabile macchietta” e Laura Boldrini, “verso la quale confesso un’idiosincrasia di tipo lombrosiano: mi sta sui marroni”.
Appena sopra Feltri piazza Milena Gabanelli (“Il suo stile giornalistico? Tendere trappole”) e il conduttore “cresciuto a omogeneizzati di coniglio” Fabio Fazio, chiamato Forforina. Quattro in condotta tocca anche al “sindacalista in tweed” Bertinotti e a quel Bagnasco che, secondo l’ex direttore dell’Europeo e dell’Indipendente, non si è reso conto “che il suo atteggiamento pilatesco ha contribuito ad azionare qualche levetta della cosiddetta macchina del fango”. Stroncati da un quattro e mezzo ci sono poi Mario Monti, che “ha impoverito i poveri e salvato i ricchi del Monte dei Paschi”, e “Sua Maestà il re imperatore Giorgio I”, sui cui Feltri dà ragione ha Grillo: “Merita l’impeachment”. Voto poco più alto, cinque, ma giudizio pesante (“Iscariota”) è quello assegnato al politico “capace di tenere la poltrona più del leader coereano Kim Jong-li”, Roberto Formigoni. Al suo confronto ben più simpatico appare “il più grande paraculo che abbia mai bighellonato nel Palazzo”, cioè Casini, e persino Dell’Utri, che “non mise in contatto Berlusconi e Cosa Nostra perché se è vero che la mafia si serviva di lui si sarebbe già estinta da un pezzo”. Accomunati da un cinque anche il premier “di carta velina” Enrico Letta, Pippo Civati (“Ha la faccia del compagno di classe, né cima né asino, che diventa subito il coccolino dei professori”) e persino Renzi, che è riuscito, facendo Poletti ministro, a “strappare la cassa dei compagni annettendosi il cassiere”. Appena prima della sufficienza i “nonsense zoologici” di Bersani e la “regina delle giornaliste con il birignao” Natalia Aspesi, promossi con sei politico invece Santoro (“meglio lui che quel cicisbeo di Floris”), Romano Prodi, Berlinguer, Di Pietro, il malato d’autostima Giulio Tremonti e quel Pigi Battista rimasto “schiavo degli stilemi della sinistra”.
Affollatissima la zona dei senza infamia e senza lode: D’Alema (che, rivela Feltri, “continua ad apparirmi in sogno”), il “cane sciolto” Belpietro (“precisino, diffidente, più presente in tv del segnale orario”) e il direttore De Bortoli “che non ti assume, però ti riempie di elogi”; poi Bossi “fuorviato dagli affetti” e Bondi, “l’unico coerente con le idee del capo anche dopo che il titolare le ha cambiate”. Sempre con sette c’è Lilli Gruber inviata a Baghdad con la “chioma cotonata”, le messe in redazione di Ezio Mauro e poi quel Beppe Grillo che “ha sempre ragione, e questo mi spaventa ” e che scomparirà “quando la politica avrà sconfitto l’antipolitica”.
Salendo verso l’alto incontriamo Brunetta, “che pretende il bacio e il giorno dopo mi si acuisce il mal di schiena”, il “condannato in partenza” Bettino Craxi e poi (voto otto), Della Valle, papa Francesco e Giuliano Ferrara (“Ma a metà dei suoi articoli torno indietro che non ci ho capito un cazzo”). E poi via, fino alla cima della classifica, con Giulio Anselmi, Mario Draghi, i due papi Giovanni XXIII e Wojtyla, Gianni Brera (“Quando morì, provai una strozza indicibile”) ed Enzo Biagi, per finire con il dieci a Montanelli e a Giorgio Armani (“L’unico artista che è riuscito a inventare il nero”) e il dieci e lode a Oriana Fallaci. E Berlusconi? Un “venditore impareggiabile, ma senza il prodotto da vendere. Scarti e scopri che non c’è dentro un santo cazzo”. Nel libro Feltri ammette di essersi schierato dalla sua parte perché non c’erano alternative. Ma quando dopo la firma a direttore del Giornale, nel 1994, “prese per mano sia me che il fratello e pretese che ci mettessimo a cantare E Forza Italiaaa / è tempo di credereee mi sono sentito morire e ho pensato: Dio, che cos’ho fatto, sono spacciato, come ho potuto firmare?”.