Michael Novak, Corriere della Sera 23/4/2014, 23 aprile 2014
LA VITA SPECIALE DEL PAPA UMILE
Giovanni XXIII visse tutta la sua vita secondo i principi del Concilio Vaticano II. In un pontificato durato appena cinque anni, dal 1958 al 1963, fece balenare la possibilità della riunificazione di tutti i cristiani. Seppe parlare ugualmente ai credenti e ai non credenti, e fu compreso da tutti. Divenne il punto di riferimento della Chiesa cattolica romana e attraverso di lui, come attraverso un prisma, l’amore di Dio per l’uomo arrivò a toccare e a incendiare milioni di cuori nel mondo. In un battito di ciglia, diventò quello che la Chiesa tutta deve aspirare a essere. Indicò la strada da seguire ai vescovi. Ispirò i sacerdoti nella cura delle anime e mostrò ai fedeli come avvicinarsi ai loro pastori. Papa Giovanni viveva il Vangelo e insegnava con l’esempio. Molto più arduo era per lui impartire ammonimenti affinché i fedeli facessero una vita consona ai principi delle Sacre Scritture. Per molti, la sua vita fu un istruttivo esempio, anche più importante degli stessi precetti che uscirono dal Concilio.
La forza spirituale di papa Giovanni fu una costante della sua vita e fu avvertita dai padri conciliari anche durante la Seconda Sessione, successiva alla sua scomparsa. Il 21 novembre, il primo relatore, il vescovo spagnolo Jaime Flores Martin esordì con un commento sull’unità dei cristiani: «Questo progetto ci conduce sul sentiero dell’ecumenismo che tanto fu caro a papa Giovanni XXIII». Il 28 ottobre, uno dei giorni più importanti del Concilio, e in una delle occasioni in cui Paolo VI si affacciò nel salone dei lavori, il cardinale belga Léon-Joseph Suenens venne invitato a commemorare papa Giovanni, e lo fece in modo tanto accorato e incisivo da rendere indimenticabile la presenza attiva del defunto Pontefice in seno al Concilio.
Salendo sul pulpito di San Pietro, alla presenza dei patriarchi, cardinali, arcivescovi e vescovi di tutto il mondo, assieme a qualche centinaio di laici, il cardinale pronunciò un’omelia in cui disse tra l’altro: «Quando venne eletto, Giovanni XXIII era apparso un “Papa di transizione”. E difatti si rivelò di transizione, ma non nel significato previsto né nell’accezione ordinaria del termine. Nel giudizio della Storia, egli resta indubbiamente il Pontefice che spalancò una nuova era alla Chiesa e gettò le basi per la transizione dal Ventesimo al Ventunesimo secolo» (...) «Ciascuno dei Padri conciliari conserva ben vivo nel suo cuore il ricordo del nostro ultimo incontro con lui, qui, proprio in questo luogo, accanto alla tomba di Pietro. Ciascuno di noi, mentre lui ci ascoltava, si chiedeva: “È questo l’addio? Il Santo Padre, che ora ci parla, rivedrà mai i suoi figlioli?”. Ci rendevamo conto di raccogliere la sua estrema esortazione, come nell’Ultima Cena...» (...) «La morte di Giovanni XXIII è stata preziosa anche agli occhi del mondo. Il Papa l’ha trasformata in una proclamazione finale di fede e di speranza» (...) «Quando udì piangere attorno al letto i membri della sua famiglia pontificia, il Papa protestò: “Perché piangere? È un momento di gioia questo, un momento di gloria”» (...) «Se volessimo racchiudere la sua essenza in una sola parola, a mio avviso si potrebbe dire che in Giovanni XXIII la natura e la grazia produssero una sintesi vivente. Tutto in lui scaturiva da un’unica sorgente».
Patriarca di Venezia fresco di nomina — ricordava il cardinale Suenens nella sua omelia — papa Roncalli si presentò così ai fedeli: «Desidero parlarvi con la più grande apertura di cuore e con molta franchezza di parola. Sono state dette e scritte cose che sorpassano di molto i miei meriti. Mi presento umilmente da me stesso. Come ogni altro uomo che vive quaggiù, provengo da una famiglia e da un punto ben determinato, con la grazia di una buona salute fisica, con un po’ di buon senso da farmi vedere presto e chiaro nelle cose; con una disposizione all’amore degli uomini, che mi tiene fedele alla legge del Vangelo e rispettoso del diritto mio e degli altri, che mi impedisce di far del male a chicchessia, che mi incoraggia a far del bene a tutti» (...) «Vengo dall’umiltà e fui educato a una povertà contenta e benedetta, che ha poche esigenze, che protegge il fiorire delle virtù più nobili e più alte e prepara alle elevate ascensioni della vita... ma la Provvidenza ha voluto avviarmi per altre strade prima di giungere qui. Mi trasse dal mio villaggio nativo e mi fece percorrere le vie del mondo in Oriente e in Occidente, accostandomi a genti di religioni e di ideologie diverse, a contatto coi problemi sociali acuti e minacciosi e conservandomi la calma e l’equilibrio dell’indagine e dell’apprezzamento, sempre preoccupato, salva la fermezza ai principi del credo cattolico e della morale, più di ciò che unisce che di quello che separa e suscita contrasti».
Nessuno — ricordava ancora il cardinale Suenens — restò sorpreso nel leggere nel suo diario personale riflessioni come la seguente: «Si sono concluse le celebrazioni per il mio giubileo sacerdotale, che si sono tenute qui a Sofia e a Sotto il Monte. Quale imbarazzo per me! Un’infinità di preti già deceduti o ancora vivi dopo venticinque anni di sacerdozio hanno compiuto meraviglie nell’apostolato e nella santificazione delle anime. E io, che cosa ho fatto? Gesù mio, pietà! Ma, mentre mi umilio per la pochezza o il nulla compiuto sino ad ora, alzo gli occhi al futuro. Resta sempre una luce davanti a me; resta sempre la speranza di fare il bene. E così riprendo in mano il pastorale, che d’ora in poi sarà il pastorale della vecchiaia, e vado avanti, incontro a tutto quello che mi riserva il Signore» (Sofia, 30 ottobre 1929). «Vicario di Cristo? Ah! Non sono degno di questo titolo, io, il povero figlio di Battista e Marianna Roncalli, due buoni cristiani, certo, ma così umili e modesti» (15 agosto 1961).
Giovanni XXIII voleva fortemente il Concilio. Diceva che tale desiderio era ispirato dallo Spirito Santo, che lo invitava a raccogliere a Roma tutti i vescovi del mondo.
All’apertura, egli fece una pacata dichiarazione circa il suo «completo disaccordo con tutti i profeti di sventura che prevedono immancabili disastri». Aggiunse: «Non abbiamo motivo di temere; il timore nasce dalla mancanza di fede».
Giovanni XXIII non sapeva esattamente come sarebbero andate le cose. «Quando si tratta di un Concilio — disse una volta sorridendo — siamo tutti novizi. Lo Spirito Santo sarà presente quando i vescovi si riuniranno: staremo a vedere». Difatti, per lui — come indicava il cardinale Suenens nella sua omelia — «il Concilio non era un incontro dei vescovi con il Papa, ovvero un incontro orizzontale», ma innanzitutto — e soprattutto — «l’adunata collettiva dell’intero collegio episcopale con lo Spirito Santo, un incontro verticale, un’apertura totale all’immenso scaturire dello Spirito Santo, una specie di nuova Pentecoste...».
Chi non ricorda — disse ancora Suenens — quella visita al carcere di Rebibbia a Roma? «Tra i detenuti, vi erano due assassini. Dopo aver ascoltato il Santo Padre, uno di loro gli si avvicinò e gli chiese: “Le parole di speranza che lei ha pronunciato valgono anche per me, che sono un grande peccatore?”. Il Papa rispose spalancando le braccia e stringendolo lungamente al cuore. Questo detenuto è certamente simbolo dell’intera umanità, così vicina al cuore di Giovanni XXIII». Disse papa Roncalli nel 1934, mentre si apprestava a lasciare la Bulgaria: «Fratelli miei non vi dimenticate di me perché sempre e comunque resterò un sincero amico della Bulgaria. Secondo un’antica tradizione dell’Irlanda cattolica, la vigilia di Natale ogni famiglia mette una candela accesa sul davanzale, per mostrare il cammino a San Giuseppe e alla Beata Vergine, e per segnalare che lì risiede una famiglia pronta ad accoglierli. Dovunque sarò, anche in capo al mondo, qualsiasi bulgaro che si troverà lontano dalla sua patria e passerà davanti alla mia casa troverà sul davanzale una candela accesa. Se busserà, la porta si aprirà, che sia cattolico o ortodosso. Un fratello dalla Bulgaria, basteranno queste parole. Sarà il benvenuto e troverà nella mia casa la più calorosa e affettuosa ospitalità. Un invito rivolto a tutti gli uomini di buona volontà».
La presenza di papa Giovanni in mezzo ai padri conciliari resta viva non solo nel discorso del cardinal Suenens, ma anche nei ricordi, nel cuore e nell’ispirazione di molti di loro e degli innumerevoli periti (esperti di teologia) che li accompagnavano. Giovanni XXIII dimostrò che un uomo, un sacerdote, un Pontefice, poteva vivere nel secolo Ventesimo e che, nonostante tutte le ambiguità e i compromessi della Storia, sapeva parlare agli uomini di Cristo negli accenti di Cristo, con gesti e azioni che richiamavano alla mente la vita di Cristo. Semplice, umile, buono, per tanti anni ritenuto temporeggiatore, timido e poi improvvisamente coraggioso e attivo, papa Giovanni visse, soprattutto, la sua vita speciale.
Certo, ci sono molti modi di essere se stessi quanti sono gli uomini sulla terra. Giovanni XXIII capiva benissimo la saggezza del compromesso. «Non mancano anime particolarmente dotate di generosità — scrisse nell’enciclica Pacem in Terris — che, trovandosi di fronte a situazioni nelle quali le esigenze della giustizia non sono soddisfatte o non lo sono in grado sufficiente, si sentono accese dal desiderio di innovare, superando con un balzo solo tutte le tappe; come volessero far ricorso a qualcosa che può rassomigliare alla rivoluzione. Non si dimentichi che la gradualità è la legge della vita in tutte le sue espressioni; per cui anche nelle istituzioni umane non si riesce ad innovare verso il meglio che agendo dal di dentro di esse gradualmente».
Il suo stesso cammino, prima di salire al soglio pontificio, fu segnato da progressi graduali. Il Sinodo di Roma, di cui fu eletto a capo nel 1959, non si affrettò in alcun modo a «spalancare le finestre», come fece successivamente il Concilio. Giovanni XXIII appose il suo nome all’anacronistica direttiva Veterum Sapientiae , che imponeva l’insegnamento in latino in tutti i seminari. Fece emanare dal Santo Ufficio un monitum — ancorché assai blando — contro l’opera di Teilhard de Chardin. Quando i padri conciliari elessero pochissimi membri della Curia alle commissioni conciliari, intervenne di persona assegnando a molti di loro i seggi a lui riservati in ciascuna commissione, e nominando un cardinale a presiedere su ognuna di esse. Consentì a un uomo della Curia di ricoprire l’incarico di segretario generale del Concilio. Superando innumerevoli ostacoli, riuscì a mettere in piedi il suo Concilio e ad aprire la Chiesa seguendo l’esempio di Cristo, senza chiedere al mondo di accettarlo, bensì aprendosi la strada nel mondo così com’è. Tenne lo sguardo fisso sull’essenziale e comprese come fare per realizzare i suoi sogni in modo graduale.
Ci sono mille modi per esprimere la verità. Quando Dio decise di rivelare agli uomini il segreto della loro vita e la natura della Sua propria vita, lo fece tramite il Verbo: ma quel Verbo non era un libro o una scuola di pensiero, bensì la vita del Suo stesso Figlio. Così papa Giovanni, come il Verbo da lui servito, ci ha rivelato il mistero dei nostri tempi e del nostro destino, non con un libro o una scuola di pensiero, ma con la sua vita. La vita viene prima di ogni lezione.
La lunga agonia di papa Giovanni è rimasta incisa nel ricordo di tutti coloro che ne furono testimoni. Per la prima volta nella storia dell’umanità, tutto il mondo cristiano, e non solo, si sentì coinvolto negli ultimi giorni di vita del suo Pontefice, consapevole della sua statura di uomo di Chiesa, seguace di Cristo, che offriva le sue sofferenze per ognuno di loro, per amore del Concilio e per la pace. «Ogni giorno è buono per morire», aveva detto. «Ho fatto i bagagli». Ogni quarto d’ora, negli Stati Uniti, i notiziari seguirono il cammino di quest’uomo verso la morte. Il mondo si raccolse nel dolore, nel lutto e nell’amore. Gli uomini assistevano a una buona morte e condividevano insieme la morte di un uomo buono.
(Traduzione di Rita Baldassarre)