Paolo Gradi, Il Messaggero 23/4/2014, 23 aprile 2014
RENDERE ROMA SICURA E FERMARE IL DECLINO
Era ormai evidente a tutti, scandalosamente evidente, che la sicurezza pubblica e il decoro urbano a Roma, capitale d’Italia, gioiello planetario unico e inestimabile, stavano precipitando in una spirale non più sopportabile. Manifestazioni di protesta che nascono pacifiche e che, con calcolata puntualità, trasformano il centro storico in un immenso palcoscenico di guerriglia, ore e ore di assalti alle forze dell’ordine chiamate a fronteggiare gruppi organizzati per azioni spaccatutto, bottiglie incendiarie, mazze micidiali, bulloni e petardi e, su tutto, le dense cortine grigie, irrespirabili, dei lacrimogeni.
Aggiungiamo: qualche reazione scomposta, violenta ben oltre il necessario, da parte di agenti in crisi di nervi. Insomma, nei giorni scorsi, ripetendosi un copione già troppe volte subìto, si è toccato il fondo. Occorreva un “basta” fermo e severo. Lo ha detto ieri al Messaggero il ministro dell’Interno Angelino Alfano: C’è un piano per Roma, è pronto, presto sarà operativo. Se ricorrono buoni motivi per ritenere che una manifestazione, protetta come tale dalla Costituzione, volgerà in violenza programmata, essa sarà vietata, non potrà svolgersi.
All’impegno del prefetto dei prefetti, del vertice del Viminale, si sono aggiunte le parole del sindaco. Ignazio Marino è corso, anzi accorso, incontro all’impegno del ministro. Di più: si è mostrato lieto di cotanta collaborazione. Anzi: ha rovesciato il copione: è finalmente il ministro a schierarsi dalla parte del sindaco.
La cronaca di questi mesi ci racconta dell’altro, è il comprimario che ruba la parte al prim’attore: così è mancata la risposta a gravi problemi che pure sono di primaria competenza del Campidoglio. L’intervento del Viminale, per gran parte, semmai assume la sostanza, di una supplenza verso le inadempienze e i vuoti operativi, in una città dove perfino pagare il biglietto dell’autobus sembrava facoltativo! Così dopo il Salva Roma sul fronte dei bilanci in rosso, arriva un salva Roma governativo anche sul fronte della sicurezza. L’importante, dopotutto, è evitare il si salvi chi può.
Non è certo compito della Celere sgomberare il campo dagli abusivi di ogni genere e di ramazzare via i suck che attaccano il regolare commercio dal centro alla periferia. Tanto si è discettato e discusso di percorsi ciclabili, aree pedonali e ben poco d’altro: come se di un vaso che sta cadendo dal balcone sulla testa di un passante si disquisisse della povera fine dei fiori sciupati nell’urto. Comunque sia il grido di dolore della città ( e adesso anche del suo primo cittadino) è arrivato e si è iscritto nell’agenda degli impegni del governo. “Roma è la vetrina del nostro Paese”, parole del ministro. Si potrebbe aggiungere che questa cartolina, negli anni, è stata sfigurata da politiche per lo meno distratte: l’illegalità tollerata, ancorché sfacciatamente esibita, ha finito per radicarsi nel tessuto sociale assumendo le parvenze di un diritto acquisito e perciò stesso intangibile. Il commercio abusivo di ogni genere (nutrito con tanta merce falsa o peggio rubata) è divenuto fenomeno e come fenomeno è dilagato in ogni parte: si è costruita una ragnatela di solide complicità che hanno invaso ogni comparto. Non soltanto la ricca flotta dei mobili-bar con il contorno si suk con addetti arroganti e aggressivi, mobili-bar ma anche inamovibili verso ogni delibera, piazzati davanti ai monumenti che il mondo ci invidia e che i turisti guardano con rassegnato stupore. C’è e dilaga una sorta di impunità consolidata dall’esperienza, la sicurezza che poco a nulla succederà, e la certezza che ad ogni forza d’urto verso un po’ d’ordine subentrerà la prassi: tutto come prima.
Le lagnanze dei commercianti, certamente danneggiati dal degrado degli affari sporchi, sono state accolte come piagnistei di categoria, da accogliere e da lasciar cadere al tempo stesso.
Ma il ministro va oltre, ben oltre i vetri imbrattati della sua “vetrina”, entra nella domus romana: spaccio a pioggia, risse all’alcool, agguati, rapine in aumento vertiginoso, intere zone della movida governate da una malavita multietnica, padrona del campo, mai impegnata a fare i conti con una reale deterrenza. La legalità è un optional. La sicurezza, questa sconosciuta. Un’indagine statistica rivela che Catania e Palermo, dicasi Catania e Palermo, sono più “tranquille” di Roma. Chi bisogna ringraziare? La mafia?
Da città “vetrina” a città vittima: Roma, la Capitale, vive il paradosso, il rovesciamento della realtà: deve rinunciare alla sua millenaria vocazione verso l’accoglienza più aperta per rinchiudersi in sé stessa, ostaggio incolpevole di una politica del comodo lassez faire che ha solo ingigantito le anomalie.
Certo, il problema non è solo di pulizia (e bisognerà lavorare molto su questo fronte) e di polizia (mancano uomini e mezzi) ma di complessivo coordinamento di tutte le istituzioni, nessuna esclusa. E che nessuna esclusa si senta.
Ci aspettano prove delicate nelle prossime settimane e nei prossimi giorni: centinaia di migliaia di turisti per la santificazione di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, ma anche l’annuncio di cortei collegati alla cruda realtà della crisi economica. Ma è già un fatto che la Roma, Capitale anche della legalità, non starà più solo a guardare.