Nicola Cecere, La Gazzetta dello Sport 23/4/2014, 23 aprile 2014
ITALIA 1934-1938 - DA MEAZZA A PIOLA, LA FESTA RADDOPPIA
«Combattuta vittoria dell’Italia sulla Cecoslovacchia per 2-1 presenti i Principi Reali, il Duce ed una folla imponente. I Calciatori “azzurri” campioni del mondo». Questo il titolone a tutta pagina col quale la Gazzetta di lunedì 11 giugno 1934, XII anno dell’era fascista, celebra il successo della Nazionale nel «nostro» Mondiale, il secondo della storia dopo quello d’esordio in Uruguay quattro anni prima e concluso col trionfo della Celeste. In quel 1934 l’Italia del pallone, affidata alla guida di Vittorio Pozzo, ha la meglio anche sul piano organizzativo coinvolgendo otto città (Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino, Trieste) in una edizione cui prendono parte 16 Paesi, tre in più rispetto al 1930, fra i quali non c’è però la squadra detentrice della coppa Jules Rimet. Una ripicca per la defezione azzurra al Mondiale di Montevideo, imitata da molte rappresentanti del Sudamerica, ma non da Brasile e Argentina, che vengono eliminate al primo turno di un tabellone a sedici .
La Juve Facendo leva su un blocco di juventini il torinese e cofondatore del Torino Vittorio Pozzo assembla una squadra non tecnica ma tosta, in grado di reggere la fatica di un torneo breve: inizio il 27 maggio, conclusione il 10 giugno. Dirigente alla Pirelli, prima a Torino e poi a Milano, dove comincia con successo la carriera di giornalista del quotidiano «La Stampa», poliglotta, ex calciatore in Svizzera, Francia e Inghilterra, tenente degli alpini nella Grande Guerra, il tenace, poliedrico e pragmatico piemontese Pozzo è ancora oggi l’unico allenatore capace di vincere due campionati del mondo, per giunta consecutivi. Ma guidò l’Italia pure alle Olimpiadi di Stoccolma 1912, Parigi 1924 e a Berlino 1936, dove vinse l’oro. L’altra perla di un trittico ineguagliabile così come la sua permanenza-record sulla panchina azzurra: 22 anni complessivi.
Peppino Stella dell’Italia 1934 era Giuseppe Meazza, una mezzala d’attacco di grande classe e dal tiro preciso e potente: a lui è intitolato lo stadio di San Siro. Poi c’erano il portiere Combi, i difensori Monzeglio, Allemandi, Monti e Ferraris IV, i centrocampisti Bertolini e Ferrari (che faceva coppia in mezzo con Meazza), le ali Orsi e Guaita e il centravanti Schiavio, che aveva più volte litigato con Monti: per farli andare d’accordo, Pozzo li mise a dormire nella stessa camera. Sistema di gioco? Il cosiddetto «metodo all’italiana» nel quale i giocatori formavano sul campo una doppia W, invenzione di Pozzo come variante del WM in voga all’epoca. Volendo attualizzarlo, diciamo che c’erano cinque addetti alla fase difensiva e cinque prevalentemente a quella offensiva. L’Italia fece fuori al primo turno gli Stati Uniti (7-1: sorteggio amico) poi dovette giocare due partite in 24 ore contro la Spagna (1-1 e 1-0), un altro 1-0 per piegare a Milano l’Austria e il 2-1 ai supplementari nella finale. Una faticaccia...
Due anni dopo quella squadra si impose all’Olimpiade di Berlino e nel 1938 andò a difendere il titolo mondiale in Francia, subito accolta da un clima di ostilità a causa delle vicende di politica internazionale che di lì a poco produrranno il secondo conflitto mondiale. Pozzo dovette rimpiazzare quasi tutti gli eroi di Roma e in formazione trovò posto anche il giovanissimo Silvio Piola, attaccante straordinario. I superstiti del primo titolo erano Meazza e Ferrari. I nuovi assi sono Olivieri, Foni, Rava, Serantoni, Andreolo, Locatelli, Ferraris II, Colaussi, Biavati .
Libertà Il c.t. aveva isolato il gruppo per due mesi di allenamenti. Arrivati in Francia, gli azzurri stentarono non poco nell’esordio contro i norvegesi e dopo questo match vinto 2-1, Meazza, a nome degli altri, chiese all’allenatore un colloquio franco e rispettoso: «Mister, sono due mesi che non vediamo una donna. Ci lascerebbe un pomeriggio di libertà?». Pozzo ebbe l’umiltà di fare un piccolo passo indietro sulla strada del rigore assoluto e concesse ai giovanotti lo strappo richiesto. Contro la Francia padrona di casa, in maglia nera, sommersi dai fischi del pubblico, gli azzurri si imposero facilmente (3-1) e approdarono alla semifinale con il Brasile. I sudamericani, così sicuri di centrare la finale, si erano accaparrati tutti i posti dell’unico volo Marsiglia-Parigi. Pozzo lo seppe e andò nell’albergo del Brasile per convincere gli avversari a cedergli il viaggio in caso di eliminazione dall’Italia: «Impossibile che accada una cosa del genere». Se ne andò stizzito e raccontò l’episodio nello spogliatoio. Beh, l’Italia si impose ben al di là del punteggio (2-1) e a Parigi ci arrivò in treno.
Contro una formidabile Ungheria, rappresentante di un calcio danubiano orfano nell’occasione dell’Austria (la politica…), i ragazzi di Vittorio Pozzo giocarono una gara esemplare soprattutto nel secondo tempo e alzarono la coppa cantando «Giovinezza». Il duce li ricompensò con 8.500 lire di premio, meno della metà di quanto ricevuto quattro anni prima a Roma: ormai le italiche risorse economiche erano destinate alla guerra .