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 2014  aprile 23 Mercoledì calendario

DAL 1914 A HOLLANDE. LA GRANDE GUERRA DELLE DONNE FRANCESI


L’anniversario è doppio, quindi troppo ghiotto per lasciarselo sfuggire. Tanto più che le femministe francesi sono più toste delle italiane, o almeno molto più visibili. Quelle, tostissime, del collettivo «Osez le féminisme» festeggiano in un colpo solo i settant’anni del voto alle donne (concesso nel 1944, effettivo dall’anno seguente) e i cento del clamoroso plebiscito indetto dalle suffragette francesi, nel 1914. Due tappe di una lunga storia, peraltro molto accidentata perché il Paese che ha inventato i diritti dell’uomo è stato singolarmente reticente su quelli della donna.
Il 26 aprile 1914, 505.972 donne francesi, guidate da Hubertine Auclert, si autoconvocarono ai seggi per esprimersi sul suffragio femminile. Ovviamente stravinse l’«oui». Ma i maschietti continuarono a far finta di non sentire dall’orecchio della parità, poi dopo pochi mesi scoppiò la Grande guerra e i francesi (e le francesi) ebbero altro a cui pensare.
Nel dopoguerra, la situazione non cambiò. Quando vinceva la gauche, l’Assemblée nationale votava il voto alle donne, ma il Senato conservatore lo rispediva al mittente. Grottesco, se si pensa che nel governo del Front populaire di Léon Blum c’erano delle sottosegretarie, quindi le donne potevano dirigere la nazione ma non rappresentarla nelle aule parlamentari.
Ci volle un’altra guerra mondiale per arrivarci: l’articolo 17 dell’ordinanza del 21 aprile 1944, a Francia non ancora liberata, stabiliva che «le donne sono elettrici ed eleggibili allo stesso modo degli uomini». In Italia stava succedendo lo stesso, ma c’è poco da vantarsi. In Nuova Zelanda le donne votano dal 1893 e in Turchia, che uno non s’immagina proprio all’avanguardia nella parità dei sessi, dal 1920 (il merito è ovviamente di Atatürk).
Se le suffragette francesi non presero mai iniziative così clamorose come quelle inglesi, la battaglia per l’emancipazione da questa parte della Manica cominciò molto prima. Almeno dalla scrittrice Olympe de Gouges, che approfittò della Rivoluzione per pubblicare una sua «Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina» in cui chiedeva l’eguaglianza non solo politica ma sociale. «La donna ha diritto di montare al patibolo: deve avere egualmente quello di montare alla Tribuna», diceva. Fu accontentata, ma solo per la prima parte del programma: Robespierre, che era misogino, la spedì alla ghigliottina nel 1793 (e tuttora le sue discendenti non riescono a spedirla al Panthéon, dove i maschi sono sempre la stragrande maggioranza degli illustri sepolti additati all’ammirazione nazionale).
Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti della Senna e molti voti femminili nelle urne. Sabato, le femministe parigine celebreranno il centenario del «voto» del 1914 con una giornata di feste e di riflessione. E, nonostante l’impegno per la parità di Hollande (metà del governo è donna), fanno notare che le deputate sono solo il 26,9%, le senatrici il 22,1 e le presidentesse di regione due su 22. Olympe de Gouges avrebbe tuttora qualcosa da ridire.

Alberto Mattioli, La Stampa 23/4/2014