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 2014  aprile 24 Giovedì calendario

ADDIO A ROMILDA BOLLATI IL FASCINO DISCRETO DELLA CULTURA

[In coda l’ultima lettera di Cesare Pavese] –

Cesare Pavese si innamorò di lei, giovanissima e bellissima, scrivendole quelle «lettere a Pierina» che sono state per molto tempo un piccolo mistero nella storia dell’Einaudi. Negli anni eroici del primo dopoguerra, allo Struzzo, erano un po’ diffidenti verso quella presenza elegante e discreta che trascorreva in punta di piedi per i corridoi della casa editrice dove il fratello Giulio, entrato nel ’49, stava rapidamente diventando un grande protagonista, e nel tempo qualche volta anche l’antagonista dell’altro Giulio, cioè Einaudi. Poi, su iniziativa della celebre «Titta», temuta madre di Achille Occhetto, il gelo si sciolse e divenne finalmente una di loro.
Romilda Bollati di Saint Pierre si è spenta lunedì, a Torino. Oggi il funerale, che la famiglia ha voluto in forma privata. C’è però un versante pubblico, importante, non solo dal punto di vista imprenditoriale ma anche e soprattutto da quello culturale. Romilda Bollati se n’è andata a 82 anni, da presidente della casa editrice Bollati Boringhieri, l’ultima impresa cioè del fratello Giulio, acquistata da lei nel 1987. Giulio Bollati la diresse fino alla morte, nel ’96, e la sorella ne continuò caparbiamente il lavoro. Solo nel 2009 decise di cederla, scegliendo il gruppo editoriale che offriva maggiori garanzie di continuità, di indipendenza e di rilancio, e cioè la Gems delle famiglie Mauri e Spagnol.
I risultati le hanno dato ragione, sia sul piano culturale sia su quello imprenditoriale, terreno dove peraltro aveva imparato a muoversi molto presto, quando alla morte del primo marito si ritrovò a dover gestire la Carpano. Era una donna forte, grande ammaliatrice dotata di una straordinaria energia; e nello stesso tempo non le piaceva apparire. In una delle rare interviste (detestava la scena, amava riservatezza e understatement) confessò a Mirella Appiotti, su Tuttolibri: «Sono sempre stata lo spirito pratico di mio fratello». Definendo non solo una personaggio, ma anche una visione della vita, un ruolo, un destino.
Legatissimi, i fratelli Bollati – tre, con una sorella più giovane – erano originari di Parma. La guerra, la lunga prigionia del padre, situazioni difficili anche economicamente avevano fatto sì che Romilda raggiungesse Giulio a Torino, e qui si fermasse. Divenne quasi per caso indossatrice per una importante sartoria, furono anni di educata bohème, di molte letture e di molti sogni, con il clan einaudiano degli Anni Cinquanta al gran completo, da Calvino a Vittorio Foa, da Massimo Mila a Carlo Levi, dalla Ginzburg alla Romano, le presentazioni interminabili, le vacanze a Bocca di Magra dove l’autore di Cristo si è fermato a Eboli si esibiva addentando e trangugiando polipi vivi.
Passano gli anni, e le strade dei due fratelli proseguono parallele. Mentre Giulio diventa condirettore dell’Einaudi e inventa collane come il «Nuovo Politecnico» o la «Pbe», Romilda sposa l’industriale Attilio Turati. Vedova, si ritrova a capo di una grossa realtà economica come la Carpano e Baratti, ovvero lo storico Punt & Mes e i cioccolatini. Niente di più torinese, si direbbe. In realtà, un gruppo internazionale. Il suo fascino era considerato irresistibile. L’innamoramento, non corrisposto, di un Pavese ormai disperato dopo la fine della storia con l’attrice americana Constance Dowling, ce la tramanda poco più che adolescente come personaggio letterario, ingenuo e indifeso, in quel testo enigmatico che sono, appunto, le Lettere a Pierina (nomignolo derivato dal Saint Pierre del cognome). Niente di meno realistico. Una volta a Capri, questi sono invece ricordi suoi, Severino Gazzelloni suonò per lei seduto al bar, dopo il concerto, solo perché aveva notato che non era in sala. Essere invitati da lei a Palazzo Carpano, a Torino, non era solo statuto mondano; e non era questione di grandi patrimoni, di aristocrazia o di borghesia.
Nel 1982 si risposò, ma lo seppero in pochi, sul momento. Si unì con Antonio Basaglia, politico democristiano e più volte ministro: matrimonio segreto, a Venezia; rito solo religioso, cioè non concordatario, non valido per lo stato civile. Appartenevano a mondi differenti, culturalmente e politicamente. Volevano stare lontani da qualsiasi forma di pubblicità e di pettegolezzo. La sorte aveva però in serbo una prova durissima: poco più d’un anno dopo, Bisaglia morì in un banale incidente, sulla barca davanti a Portofino, con le ovvie conseguenze sui media, le dietrologie, le dicerie. Giulio, intanto, aveva lasciato l’Einaudi, prima per il Saggiatore poi per il gruppo Mondadori.
Una grande avventura editoriale e culturale era alle porte. Paolo Boringhieri, anche lui un einaudiano della prima ora, era disposto a cedere la casa editrice fondata nel ’57 sulla base di un’attenzione particolare alla psicoanalisi e all’integrazione tra sapere scientifico e filosofico. Fu quasi naturale per i fratelli Bollati accettare la sfida e nell’87 lanciarsi nella nuova avventura. Insieme, come sempre. Da una parte lui, l’intellettuale lucido e irruento, e accanto lei, il suo «spirito pratico», come sempre appena un po’ dietro le quinte. E come sempre, efficacissima.

Mario Baudino, La Stampa 24/4/2014



L’ULTIMA LETTERA (SCRITTA DA CESARE PAVESE A ROMILDA BOLLATI)
Cara Pierina,
[...] tu, per quanto inaridita e quasi cinica, non sei alla fine della candela come me. Tu sei giovane, incredibilmente giovane, sei quello che ero io a vent’otto anni quando, risoluto di uccidermi per non so che delusione, non lo feci - ero curioso dell’indomani, curioso di me stesso - la vita mi era parsa orribile ma trovavo ancora interessante me stesso. Ora è l’inverso: so che la vita è stupenda ma che io ne sono tagliato fuori, per merito tutto mio, e che questa è una futile tragedia, come avere il diabete o il cancro dei fumatori. Posso dirti, amore, che non mi sono mai svegliato con una donna mia al fianco, che chi ho amato non mi ha mai preso sul serio, e che ignoro lo sguardo di riconoscenza che una donna rivolge a un uomo? [...] Non si può bruciare la candela dalle due parti - nel mio caso l’ho bruciata tutta da una parte sola e la cenere sono i libri che ho scritto. Tutto questo te lo dico non per impietosirti - so che cosa vale la pietà, in questi casi - ma per chiarezza, perché tu non creda che quando avevo il broncio lo facessi per sport o per rendermi interessante. Sono ormai aldilà della politica. L’amore è come la grazia di Dio - l’astuzia non serve. Quanto a me, ti voglio bene, Pierina, ti voglio un falò di bene. Chiamiamolo l’ultimo guizzo della candela. Non so se ci vedremo ancora. Io lo vorrei – in fondo non voglio che questo – ma mi chiedo sovente che cosa ti consiglierei se fossi tuo fratello. Purtroppo non lo sono. Amore.
Cesare Pavese