Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La riforma delle pensioni tiene la Francia in una specie di stato d’assedio. Venerdì i gendarmi hanno riaperto con la forza la raffineria di Grandpuits (Seine-et-Marne) che, ferma come le altre undici da 11 giorni, stava compromettendo i rifornimenti di carburante. Ci sono stati scontri a Lione, il porto di Marsiglia è paralizzato e la città sembra Napoli nel suo momento peggiore, cumuli di rifiuti ovunque a causa dello sciopero dei netturbini. Martedì poi torneranno in campo gli studenti.
• Che cos’ha di terribile questa riforma?
Alza l’età pensionabile minima da 60 a 62 anni e la massima da 65 a 67. A partire dal 2018. I socialisti si sono concentrati sul fatto che Sarkozy è andato avanti a tappe forzate praticamente impedendo la discussione sia all’Assemblea nazionale (la Camera) che al Senato. L’altro giorno il Senato ha dato il via libera quasi definitivo con 177 voti contro 153.
• Perché “quasi” definitivo?
L’iter prevede ancora che domani si riunisca la commissione mista Assemblea-Senato per uniformare il testo e sottoporlo all’approvazione definitiva martedì. Passerà poi all’esame della Corte costituzionale. Diciamo che dovrebbe essere operativo intorno alla metà di novembre. Non è neanche una riforma definitiva. L’altro ieri è stato approvato un emendamento che permetterà di riaprire il discorso a partire dal primo trimestre del 2013. L’idea è quella di rivedere l’intero edificio, da cima a fondo e una volta per tutte, con l’obiettivo di arrivare a un sistema a punti che permetta di ritirarsi quando si vuole e nelle condizioni che si preferiscono. Mantenendo intatto il regime a ripartizione, naturalmente. Di capitalizzazione non vuole sentir parlare nessuno.
• Che differenza c’è?
Nel regime pensionistico a capitalizzazione si riceve una rendita commisurata ai versamenti, come con qualunque assicurazione. È quello generalmente in uso nel settore privato dei paesi anglosassoni. Nel regime a ripartizione, invece, l’entità della pensione non è commisurata completamente ai versamenti, ma piuttosto alle ultime retribuzioni. Della rendita infatti si fanno carico le generazioni attive. Il sistema a ripartizione è bellissimo, ricco di solidarietà e senso sociale. Che succede però se la popolazione attiva diminuisce e quella pensionata aumenta? Che succede se, a un certo punto, i pensionati risultano più numerosi di quelli che lavorano? Interrogativi talmente fastidiosi, che in genere si evitano con cura. L’innalzamento dell’età pensionabile di Sarkozy, se paragonato con quello tedesco (67 anni), o con quello nostro (65) è modesto. Nella micidiale falcidia decisa da Cameron e da Osborne in Inghilterra, c’è anche la pensione a 66 anni a partire dal 2020.
• Come mai manifestano anche gli studenti?
Se i vecchi continuano a lavorare, per i giovani non c’è posto. La protesta ha fatto emergere come leader un ragazzo di 16 anni, Victor Colombani (niente a che vedere col direttore di Le Monde) vicino ai socialisti. Dice: «Il governo ci sta rubando il futuro. Estendere fino a 62 anni l’età della pensione significa sacrificare quasi un milione di posti di lavoro per i giovani. Vogliamo una riforma più giusta, che tenga in considerazione gli anni di studio e i periodi di precariato e di disoccupazione forzata». Il 23% di chi ha meno di 25 anni è disoccupato.
• Non ci sarà sotto qualche manovra politica contro Sarkozy? Qualcuno che ne approfitta per soffiare sul fuoco?
Bernard Henry-Lévi ha definito la riforma “inevitabile” anche se può risultare “sgradevole”. «Non è una questione di ragione. È un problema di necessità. Senza la riforma, in pochi anni il sistema pensionistico francese salterebbe. E la sinistra lo sa». Elisabeth Dupoirier, che insegna presso la Fondazione nazionale studi politici di Parigi, ha ricordato che prima dell’estate «tutti i sondaggi mostravano una sorta di rassegnazione dei francesi verso la necessità della riforma». Il governo s’è perciò trovato spiazzato dalle manifestazioni. L’allungamento della vita media è un problema dappertutto e difatti la legge sulle pensioni andrà rivista periodicamente in tutti i paesi per adattarla ai nuovi equilibri demografici. Secondo previsioni dell’Ocse e del Ceps, la nostra spesa pubblica per le pensioni, per esempio, passerà dal 19,7% del 2000 al 33% del reddito nazionale del 2050 (media Cee: 12,6-20,9). Dopo di che, per rispondere alla sua domanda, qualcuno che soffia sul fuoco ci sarà di sicuro. La lotta politica, come lei mi insegna, è sempre la lotta politica. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 24/10/2010]
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