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 2010  ottobre 24 Domenica calendario

Il Giornale, domenica 24 ottobre 2010 Come possibile icona sostituiva della Madonna pellegrina di quarantottesca memoria, Mara Carfagna, ministro per le Pari opportunità, sembra avviata sulla buona strada

Il Giornale, domenica 24 ottobre 2010 Come possibile icona sostituiva della Madonna pellegrina di quarantottesca memoria, Mara Carfagna, ministro per le Pari opportunità, sembra avviata sulla buona strada. Per rendersene conto basta entrare nell’ufficio romano del suo portavoce, Paolo Emilio Russo, in largo Chigi, dove si accumulano come tanti ex voto i quadri a olio inviati dai devoti di tutta Italia con velleità artistiche. Nel più maldestro, che vorrebbe ispirarsi a Ernesto Treccani, la Carfagna è irriconoscibile. Nel più riuscito, che si rifà ad Andy Warhol, è riconoscibile per via degli occhi strabuzzati che la fanno assomigliare a Janet Leigh accoltellata nella doccia di Psyco. Questa degli occhi del ministro, due lanterne perennemente spalancate sul mondo, è una delle tante leggende metropolitane, e nemmeno la più perfida, che nel corso degli anni sono state cucite addosso alla donna angelicata del governo Berlusconi. C’è chi ha azzardato l’abuso di cocaina. Chi un esoftalmo da ipertiroidismo, a dispetto del collo alla Modigliani che non presenta la minima traccia di gozzo. Chi una retrazione palpebrale corretta da un intervento di blefaroplastica malriuscito, insinuazione che indirettamente ferisce soprattutto Gian Rocco Carfagna, il fratello maggiore (due anni di più) e anche l’unico, il quale fa il chirurgo estetico a Salerno. Lei sorride: «Sono semplicemente molto miope. Dovrei portare occhiali da 10 diottrie. Ho rimediato con le lenti a contatto. Però arriva un momento della giornata in cui non le tollero più». Appena 11 metri, la larghezza di via del Corso, dividono il dipartimento per le Pari opportunità da Palazzo Chigi, occupato dal presidente del Consiglio che - per restare ai paragoni religiosi - ha definito Mara Carfagna «una Maria Goretti». Il ministro, 35 anni il 18 dicembre, non ricorda se conobbe Berlusconi nel 2001 o nel 2002. Il primo incontro avvenne a Palazzo Grazioli, residenza privata del premier, al seguito del padre, il professor Salvatore Carfagna, preside delle superiori e militante di Forza Italia, che s’era fatto ricevere dal Cavaliere per esporgli una questione scolastica nella quale era coinvolta, quando si dice il caso, la magistratura rossa. S’era da poco laureata in giurisprudenza all’Università di Salerno, sua città natale, e aveva alle spalle dieci anni di pianoforte al conservatorio, un diploma in danza classica presso la scuola del San Carlo di Napoli, un periodo di formazione come ballerina a New York, una partecipazione al concorso di Miss Italia nel 1997 e uno sbiadito curriculum di soubrette e conduttrice fra Rai e Mediaset. Tutto il contrario della sfolgorante carriera politica che quell’incontro le dischiuse: coordinatrice del movimento femminile di Forza Italia in Campania nel 2004; deputata nel 2006; rieletta nel 2008; ministro dall’8 maggio dello stesso anno per garantire a tutti i cittadini uguali diritti indipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla religione, dall’origine etnica, dalle condizioni personali e sociali, dalla disabilità, dall’orientamento sessuale, «un tema che nell’agenda politica è spesso considerato erroneamente di serie B e invece è prioritario, perché contraddistingue il livello di civiltà e di democrazia di un Paese». Se è prioritario, come avrà fatto la Repubblica italiana a far senza del ministero per le Pari opportunità per mezzo secolo, fino al 1995? «Molte delle mie deleghe erano attribuite alla presidenza del Consiglio». Non è una contraddizione che il ministro per le Pari opportunità sia contraria alle quote rosa? «Credo che nessuna donna sia favorevole a vedersi reclutata per l’appartenenza a un genere anziché per il suo talento». Come disse Stefania Craxi, quello che conta è portare al governo le quote grigie, dal colore della materia cerebrale. «Infatti. In Italia vi è uno squilibrio di rappresentanza. Nonostante questo Parlamento abbia visto aumentare la presenza femminile del 3-4 per cento e al governo siedano per la prima volta cinque donne, l’evoluzione è molto lenta. Ma bisogna tener conto della storia: le donne si videro garantire il diritto di voto solo nel 1946; l’autorizzazione maritale che obbligava la moglie a chiedere al capofamiglia il permesso per comprare, ipotecare, alienare beni immobili o per contrarre mutui fu abolita nel 1919; le disposizioni di legge sul delitto d’onore furono abrogate nel 1981; il diritto di famiglia fu riformato nel 1975». I cittadini di religione musulmana devono avere le stesse opportunità dei cittadini di religione cattolica? «Ovvio. La libertà religiosa è garantita dalla Costituzione. Semmai dovrebbe avvenire la stessa cosa nei Paesi dove i cristiani sono perseguitati e possono pregare solo negli scantinati delle ambasciate». Allora perché insieme con Gianfranco Fini lei ha chiesto che nelle moschee i sermoni vengano tenuti solo in italiano invece che in arabo? Non lo sa che l’arabo è la lingua sacra dell’Islam? «Sì, lo so, ma sono troppe le moschee trasformate in centrali dell’odio. Anzi, bisognerebbe istituire un registro degli imam fai da te che inneggiano alla guerra santa. Ogni libertà trova un limite nella libertà altrui. Dove si celebrano le messe in latino, i sacerdoti tengono le omelie in italiano e non predicano la distruzione dell’Occidente». S’è dichiarata favorevole a una legge che vieti il burqa. In base a quale principio una donna islamica non dovrebbe avere pari opportunità con un’adolescente italiana che gira per strada in hot pants? «Il burqa non mi allarma come simbolo religioso, che peraltro non lo è nemmeno, quanto come modello di sottomissione della donna contrario ai principi stabiliti dalla nostra Costituzione e dalle nostre leggi». Non c’è già l’articolo 5 della legge 152 del 1975 a vietare «qualunque mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo»? «La giurisprudenza in questi anni ha fatto rientrare le tradizioni religiose fra i giustificati motivi. Ecco perché c’è bisogno di una nuova legge che lo vieti in maniera specifica». Intanto ha fatto esporre la gigantografia di Sakineh Ashtiani sulla facciata del ministero. «Mi pareva giusto mobilitare l’opinione pubblica e sollecitare le autorità iraniane a riflettere su quanto sia lesiva dei diritti umani la barbarie della lapidazione». Sulla lapidazione siamo d’accordo. E anche la pena di morte è una barbarie. Ma lei ha dichiarato: «Finché Sakineh non sarà salva o libera il suo volto ci guarderà dal palazzo del governo italiano». Perché la magistratura iraniana dovrebbe liberare una donna condannata per l’uccisione del marito? «Il caso presenta molti punti oscuri. Tenga presente che il capo d’imputazione è stato cambiato due volte: prima adulterio, poi concorso in omicidio. Questo fa presumere un processo sommario e una sorta di accanimento». Per le pari opportunità avrebbe dovuto intervenire anche a favore di Teresa Lewis, la ritardata mentale giustiziata in Virginia per aver partecipato all’omicidio del marito e del figliastro. «Non creda che non mi sia mobilitata. Il giorno prima dell’esecuzione ero a New York per partecipare alla 65ª assemblea generale delle Nazioni Unite. Mi sono informata sui possibili passi da compiere, però mi è stato spiegato che non c’era più nulla da fare». A un convegno ebbe a dichiarare che «i gay sono costituzionalmente sterili» e fu ricoperta d’insulti. Ora ci va d’amore e d’accordo. Sono cambiati loro o è cambiata lei? «Ci fu un equivoco sull’avverbio. Citavo il professor Francesco D’Agostino, giurista, il quale sostiene che non vi sono ragioni sociali per dare riconoscimento alle coppie omosessuali, in quanto questo tipo di convivenze, pur essendo lecite, non hanno rilievo pubblico, perché non esiste un autentico interesse della società a tutelare unioni che sono costitutivamente sterili. In seguito è maturato un rapporto sereno e schietto con quel mondo. Il governo Berlusconi è in assoluto quello che ha fatto di più contro la discriminazione degli omosessuali». Appena insediata rifiutò il patrocinio al Gay pride. Oggi lo darebbe? «Non lo darei nemmeno oggi. Non credo che le istituzioni debbano patrocinare una manifestazione che è stata ripetutamente contrassegnata da oscenità e da insulti rivolti al Papa e alla Santa Sede». Anna Paola Concia, parlamentare del Pd, dice che state lavorando alla legge contro l’omofobia già bocciata un anno fa. «È una collega di grande equilibrio e sensibilità. Stiamo studiando una formulazione che sia inattaccabile dal punto di vista costituzionale e che contempli un’aggravante per tutti quei reati che vengono commessi con finalità di discriminazione in base all’orientamento sessuale, alla disabilità o all’età». Leggo sul sito del suo ministero: «L’omofobia è una malattia dalla quale si può guarire». È convinta di questo? «Può essere un atteggiamento o una malattia. Dipende dal grado di avversione». Allora dovrà far correggere per decreto lo Zingarelli 2011, che alla voce «omofobia» scrive: «Avversione per l’omosessualità e gli omosessuali». Nessuno accenno a malattie da curare. «Convocheremo una commissione d’esperti per capire se dietro l’omofobia c’è una malattia. Se dovessi essermi sbagliata, chiederei scusa». Per «avversione» lo stesso dizionario dà questa definizione: «Viva ostilità, antipatia». Perché dovrebbe essere reato nutrire antipatia verso gli omosessuali ma non, chessò, verso i cacciatori? (Si spazientisce). «Che c’entra? Stiamo parlando di fattori discriminanti previsti dall’articolo 10 del Trattato di Lisbona: razza, lingua, origine etnica, religione, orientamento sessuale, età e disabilità. Se uno picchia una persona per il colore della sua pelle, io credo che la legge debba marcare il disvalore sociale di quell’azione». Stiamo parlando di antipatia, non di botte. «L’avversione può arrivare anche alla violenza». Così finisce per dar ragione a Camillo Langone, che s’è scagliato contro «la destra alla moda omosessualista di Mara Carfagna». «Facciamo chiarezza: l’aggravante scatterebbe solo per i reati, non certo per le opinioni. Sono contraria a sanzionare i reati d’opinione». Di quali diritti pensa che debbano godere i gay? «Il diritto di andare a trovare il partner in ospedale o in carcere. Il diritto di subentrargli nel contratto di locazione in caso di morte. E altri». La aiuto. Baciarsi in pubblico? «Il cattivo gusto si può riscontrare anche nelle coppie eterosessuali. Questi non sono diritti, ma libertà. La Costituzione prevede la libertà di baciarsi in pubblico». Dichiarare la propria omosessualità agli alunni durante l’ora di lezione nella scuola pubblica? «Non mi sembra che sia previsto come reato». Far proselitismo all’insegna dello slogan «Gay è bello»? «Non rientra fra i diritti di cui parlavo prima, ma anche questo non è un reato». Sposarsi? «No». Adottare bambini? «No» Poter riconoscere legalmente figli avuti mediante fecondazione eterologa e uteri in prestito? «È vietato dalla legge 40 del 2004. E se non ci fosse già stato un referendum a confermarla, sarei assolutamente contraria». Chi ha paura della parità nei luoghi di lavoro? «Tutte le persone che tendono alla conservazione dello statu quo. Gli studi dimostrano che se 100.000 donne potessero accedere al mercato del lavoro il prodotto interno lordo crescerebbe dello 0,4%. Spero che ne tenga conto anche il nostro ministro dell’Economia, Giulio Tremonti: al di là degli aspetti di equità, includere conviene». Nell’estate di due anni fa Massimiliano Cordeddu chiese il suo intervento affinché agli uomini fosse offerta la pari opportunità di partecipare ai concorsi Rai per annunciatrici tv. Non mi risulta che siano in servizio «signorini buonasera». Dal che si deduce o che le pari opportunità a volte sono impossibili o che il suo ministero conta poco. «Uno c’è stato: Livio Beshir. Ma i cambiamenti radicali necessitano di tempo per essere attuati. Non credo che gli annunciatori della Rai siano fra le priorità del Paese». Mestiere difficile, le pari opportunità. Una lettera anonima contenente escrementi è appena stata recapitata ad Alessandra Servidori, consigliera nazionale di parità al ministero del Lavoro. «Un atto ignobile. L’ho incoraggiata a continuare con lo stesso impegno». L’affronto peggiore capitato a lei da quando è entrata in politica qual è stato? (Ci pensa a lungo. Sospira). «L’affronto peggiore... Uhm. Non sono il tipo da star lì a rimuginare. Me ne infischio alla grande. Ho un carattere strutturato e spalle larghe, a dispetto dell’apparenza. Mi sento ferita ogniqualvolta si distorce la realtà dei fatti». Ha poi querelato Sabina Guzzanti per le volgarità dette sul suo conto due anni fa in piazza Navona, quando durante la manifestazione «No Cav» la paragonò a Monica Lewinsky? «C’è un’udienza a breve, ma non ricordo quando». E ha chiesto un milione di euro di risarcimento? «Sì. Ma non voglio nemmeno occuparmene, se ne interessano solo gli avvocati. Il mio unico obiettivo è ristabilire la verità, dimostrare che quell’accostamento fu diffamatorio, ingiurioso e non rispondente al vero. Se solo la Guzzanti producesse due righe in cui chiede scusa per le infamie pronunciate e riconosce la loro falsità, chiuderei la questione già domattina. Quello che m’interessa è un pezzo di carta in cui, nero su bianco, rimanga a futura memoria che ho subìto senza motivo una violenza verbale inammissibile». Riferendosi alle sue pose sexy uscite sul mensile Maxim nel 2001, il padre della Guzzanti, Paolo, già deputato del Pdl, l’ha definita «calendarista alle Pari opportunità». «Non era un calendario, bensì un pubbliredazionale per la Ponte Vecchio Gioielli, un’azienda orafa di Firenze. E non mi fu nemmeno pagato, perché avevo un legame personale col titolare. Lo feci volentieri come amica sua e della famiglia». Non si sprecano i talenti naturali in questo modo. «Mi faceva piacere dare un contributo a un’azienda in crescita». Quando rivede in circolazione le immagini non prova un po’ di fastidio? «No, perché non ho fatto nulla di male. Ai miei nipoti un giorno potrò dire: guardate quant’era carina nonna. E se qualche perditempo s’imbatte in quelle foto su Internet, non penso di offrire un cattivo spettacolo». A volte non si sente perseguitata dalla sua bellezza? «L’aspetto gradevole è un vantaggio, non uno svantaggio». Cesare Salvi, ex vicepresidente del Senato, se n’è uscito con questa frase: «Sono un uomo felice, ho una moglie di sinistra che a volte per cambiare si traveste da Mara Carfagna». «Ma veramente? Un possibile movente potrebbe essere individuato nella follia». Massimo Gramellini sulla Stampa, dopo la vittoria di Berlusconi nel 2008: «Io sul muro tengo il ritratto di Kennedy e non ho alcuna intenzione di incollarci sopra Mara Carfagna». «Non capisco perché dovrebbe farlo». Avendo un padre preside e una madre insegnante, è stata costretta a sudare sui libri: 60 alla maturità scientifica, laurea in legge con 110 e lode. Eppure i giornali l’hanno fatta passare per una ex starlette senza cervello. Che lezione ne ricava? «Che nelle redazioni domina la superficialità. Comprendo la diffidenza e lo stupore per un percorso politico che non è quello classico di chi proviene dalla militanza. Ma oggi c’è un nuovo modo per selezionare la classe dirigente. Ciò consente di cooptare giovani e donne che con le vecchie liturgie restavano ai margini della politica». Filippo Facci ha scritto di lei: «Maria Rosaria Carfagna è ufficialmente bella e punto. Potrebbe anche essere un genio, una mente: ma il curriculum è oggettivamente imbarazzante». (Ride di gusto). «Guardi, le biografie imbarazzanti sono altre. Non vengo né da Oxford né dalla Columbia University, è vero, tuttavia credo che un politico abbia principalmente il mandato di dare risposte, risolvere problemi, realizzare progetti. Ciò che conta è il risultato. Saremo giudicati per il lavoro svolto e da questo punto di vista mi sento a posto. Se poi il maestro Facci ritiene che io non sia all’altezza del ruolo, pazienza. La libertà di pensiero è sacrosanta». Quand’era iscritta a giurisprudenza sognava di diventare magistrato. Batte un cuore giacobino, in quel petto? «Sono una maniaca del principio di giustizia. Di fronte a un torto, anche il più piccolo, perdo le staffe». Per fortuna non è diventata pubblico ministero. «Sarei stata terribile. Qualche volta mi faccio paura, tanto sono inflessibile». Berlusconi la voleva nominare portavoce del governo. Perché non ha accettato? «Perché c’è già Paolo Bonaiuti, che se la cava benissimo. E poi avrei dovuto essere portavoce e contemporaneamente ministro. È già difficile far bene una sola cosa. Il cumulo delle cariche non mi piace». È vero che il Cavaliere, prima di nominarla ministro, la mandò a presentarsi al presidente emerito Francesco Cossiga e che lei tremava come una foglia? «No. Avevo conosciuto Cossiga in precedenza. Accettò di firmare la prefazione del mio libro Stelle a destra. Mi ha dedicato il suo tempo, s’è prodigato in consigli». Ma lei come arrivò all’ex capo dello Stato? «Grazie a Italo Bocchino. La prima volta che Cossiga mi ricevette a casa sua, nel quartiere Prati, mi disse: “Ricòrdati che in politica si perdona tutto, tranne la bellezza”». (Imita l’inflessione sarda). «Poi soggiunse: “Ma tu vai avanti per la tua strada, perché sei una donna estremamente intelligente e questo alla lunga pagherà”. Io mi aspettavo d’incontrare un uomo burbero, arrogante. Invece mi ha circondato di una tenerezza commovente. Oggi mi manca tanto. Sento di volergli un gran bene». Si maligna che in passato ci sia stato del tenero fra lei e il napoletano Bocchino, capo dei pretoriani di Fini. Su Facebook vi hanno persino dedicato un gruppo intitolato «Sosteniamo l’amore fra Italo Bocchino e Mara Carfagna». «Si maligna su tutto e su tutti. Italo è stato importante per la mia formazione politica. Poi sono venute meno le ragioni di una convergenza e abbiamo preso strade diverse. Restano la stima e la gratitudine. La politica non è il primo valore della mia vita. Discuto, litigo, non sono d’accordo con quello che dice, ma non rinnego la nostra amicizia». Scusi se torno su argomenti triti e ritriti. Nel 2007 il Cavaliere le fece quel complimento galeotto durante la serata dei Telegatti: «Se non fossi già sposato, la sposerei subito», e lei rispose: «Le direi di sì senza esitazioni se fossimo coetanei e non fosse già sposato». Adesso non è più sposato. «Però s’è aggiunta un’altra pregiudiziale: è troppo attratto dal fascino femminile. Io sono una meridionale rigidissima. Il mio uomo deve rigare dritto senza tentennamenti di nessun genere». Non sapevo che Berlusconi fosse diventato sensibile al fascino femminile solo da pochi mesi. «Be’, diciamo che allora questa propensione non era così evidente. Per cui non potrei mai andarci d’accordo. Una delle cose che mi piacciono del mio fidanzato (Marco Mezzaroma, amministratore delegato del gruppo Mezzaroma costruzioni, ndr) è la sua serietà, che va oltre la fedeltà». Crede d’aver avuto una qualche parte nella crisi coniugale del premier? (Espressione stupefatta). «Assolutamente no». Però quella galanteria di Berlusconi scatenò la reazione di Veronica Lario, che nella lettera aperta alla Repubblica chiese al marito pubbliche scuse. «Credo che dietro la lettera vi fosse ben altro. Non ero Cenerentola ospite del principe azzurro. Stavo a cena con decine di persone e non sedevo neppure al tavolo del presidente. Andai a salutarlo perché s’era fatta mezzanotte e io a quell’ora torno a casa. Berlusconi, che aveva intorno una quindicina di commensali, nel congedarmi parlò con orgoglio delle nuove leve portate in Parlamento e disse che ero brava, preparata e onesta, talmente onesta da considerarmi una donna ideale da sposare. Soltanto la malizia ha potuto trasformare in caso mediatico un complimento innocente pronunciato in un contesto pubblico». Il Cavaliere ha anche dichiarato che «Mara è una persona di santi principi». Se osa paragonarla alla martire Maria Goretti, che si fece uccidere per difendere la sua purezza, dovrà pur disporre di qualche prova, non crede? «Attenzione ai paragoni blasfemi. Quello che Berlusconi mi rimprovera è un’eccessiva rigidità. Dice che sono così», (batte le nocche sul tavolo), «troppo dura». «Con me non è mai passato dalle parole ai fatti, ma a volte mi ha fatto arrossire». Lo dichiarò lei a Mario Prignano di Libero, oggi al Tg1. «Berlusconi è incline alla battuta galante, talvolta sopra le righe. Ha un carattere estroverso, mentre io sono molto riservata ed è facile prendermi in contropiede». Lei ha detto di considerarlo come uno zio. Fosse in vita il regista Salvatore Samperi, ci farebbe un remake: «Grazie zio». «Non lo considero né uno zio, né un papà, né un nonno. È semplicemente il presidente del mio partito, il capo del mio governo, una persona cui sarò riconoscente a vita non tanto per la nomina a ministro quanto per avermi offerto l’opportunità di scoprire la mia vera passione: la politica». Perché il giorno del suo compleanno le mandò a casa il famoso chef Antonello Colonna a prepararle la cena per gli ospiti? «Questa è un’altra delle tante bugie in circolazione. Si figuri, a quell’epoca abitavo in un miniappartamento di via Cortina d’Ampezzo che misurava appena 45 metri quadrati. Dove li mettevo tutti quegli invitati? Andai io nel ristorante di Colonna e ovviamente pagai il conto, fra l’altro decisamente salato, tanto che dissi a me stessa: qui, mai più!». Perché si fa chiamare Mara anziché Maria Rosaria? Che cosa non le piace del suo nome di battesimo? «Non è che non mi piaccia. Era il nome della mamma di mio padre, morta quando lui aveva 7 anni. Siccome mio zio ha chiamato una figlia con lo stesso nome, si poteva creare qualche confusione fra cugine». Il quotidiano tedesco Bild l’ha proclamata «la ministra più bella del mondo». Contenta? «Non mi cambia la vita. Sempre meglio di un cazzotto in faccia». Ma secondo un sondaggio del settimanale Diva e Donna la più bella è Stefania Prestigiacomo col 23,4%. Lei soltanto seconda col 18,2%. «Mi piacerebbe che facessero anche la classifica dei più belli del Parlamento, così ci divertiremmo». Il suo desiderio nel 2002 era di rinascere per «essere 10 centimetri più alta e portare la taglia 38 anziché la 42». Oggi? «A quell’età si dicono tante stupidaggini. Se potessi tornare indietro studierei con ancora maggior impegno e viaggerei di più all’estero». Secondo il professor Marco Klinger, chirurgo plastico della clinica Humanitas di Milano, interpellato da Novella 2000, da un esame delle sue foto di ieri e di oggi risulterebbe che lei s’è rifatta sopracciglia, sguardo, zigomi, naso, labbra e seno. (Ride). «È tutto di madre natura, per fortuna. Se fra qualche anno dovessero insorgere esigenze particolari, non mi sottrarrei. Ma non sono una fanatica della perfezione». Ho letto da qualche parte che il suo uomo ideale è Johnny Depp. «Non più. Basta ideali: mi accontento del reale. L’uomo che ho mi piace e mi basta». A maggio le nozze col suo fidanzato Marco Mezzaroma erano date per sicure entro l’anno. Deve affrettarsi, tempus fugit. «Entro l’anno non ce la faremo. Come tutti i maschietti, all’inizio tentava di sottrarsi alle sue responsabilità. Ma l’ho incastrato. Adesso mi sposerebbe domattina. Il matrimonio sarà celebrato in primavera. Quando è uscita la notizia, peraltro falsa, di una nostra crisi sentimentale, è andato su tutte le furie e mi ha pregato di rettificare. Io gli ho risposto: ti sta bene, così la prossima volta ti sbrighi a fare le cose nei tempi giusti. Non è che alla nostra età possiamo tirarla tanto in lungo». Invidia la sua collega Mariastella Gelmini che ha avuto una figlia subito dopo essere convolata a nozze? «L’invidia è un sentimento corrosivo che non ho mai provato in vita mia. Però ho tenuto in braccio per una buona mezzora la piccola Emma e ho riflettuto molto sul fatto che l’orologio biologico corre». Hanno scritto che da bambina leggeva sui giornali solo la pagina dell’oroscopo. Con tutti i dolori che le riserva la politica, non ha la tentazione di tornare a farlo? «Mai letto un oroscopo. Non mi appassiona per niente. Oltretutto sono profondamente cattolica e l’oroscopo offende il mio sentimento religioso. Mi attengo alle Sacre Scritture: “Non vi rivolgete ai negromanti né agli indovini”». Il Messaggero ha svelato che lei a 20 anni s’è fatta leggere le carte da Miriam, l’astrologa di fiducia della conduttrice Antonella Clerici: «La maga ci ha così azzeccato che Mara, per evitare brutte notizie, ha giurato di non volere più conoscere il suo futuro». «Questo è vero. All’epoca in cui Antonella e io lavoravamo insieme a Domenica in, quindi 1997 o 1998, andammo a cena con questa sua amica astrologa. Però manco mi ricordo quale fu la predizione e di sicuro non la tenni in alcun conto». Non ho capito una cosa: perché lasciò la Tv? «A 20 anni era un modo per pagarmi gli studi, per rendermi indipendente. Ma ho raggiunto risultati di pura sopravvivenza. Mi sono accorta che non poteva essere la mia professione. Non ho le doti né attitudinali né caratteriali per svolgerla. Io la sera non vedo l’ora di tornare a casa, altro che andare a ricevimenti e vernissage». Se dovesse chiudere con la politica, che lavoro farebbe? «Bella domanda». (Ci pensa). «Qui è già difficile capire dove saremo fra un mese... Mi rimetterei a studiare per conseguire l’abilitazione e diventerei avvocato». Chi ha conosciuto dei politici del passato eletti in Campania? «Ciriaco De Mita, Paolo Cirino Pomicino, Antonio Bassolino. E Rosa Russo Iervolino, che ormai fa parte del passato». Ma non è ancora sindaco di Napoli? «Per poco». Chi la sostituirà? «Sarei disponibile a candidarmi a patto che cambiassero gli attuali vertici del Pdl in Campania». Io ho conosciuto Francesco De Martino, Antonio Gava, Francesco De Lorenzo, Vincenzo Scotti, Clemente Mastella. Dilettanti, al suo confronto: alle regionali di quest’anno lei ha avuto 55.740 preferenze, la più votata in Italia, e ha distaccato di 40.000 voti Alessandra Mussolini, che ha un cognome più memorabile del suo, se permette. Com’è possibile? «La cifra che ha trovato sul mio sito non è aggiornata: le preferenze sono state oltre 57.000. Come ho fatto? Visitando 49 Comuni in un mese, partecipando a 169 appuntamenti, percorrendo 4.878 chilometri, incontrando 2.477.000 elettori, girando casa per casa fino a perdere due chili. È l’unico modo. Non ne conosco altri». Tolgo il disturbo. Ho dimenticato di chiederle qualcosa? «A parte che numero di scarpe porto, nulla, mi pare».