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 2010  ottobre 24 Domenica calendario

STRAGI, TORTURE, CIVILI USATI COME SMINATORI" IRAQ, ECCO LE PROVE DEI CRIMINI DI GUERRA - LONDRA

Un bagno di sangue, con oltre 109 mila civili uccisi. Gli Stati Uniti e i loro alleati che chiudono gli occhi di fronte a torture ed eccidi commessi dall´esercito iracheno. Gli stessi soldati americani coinvolti direttamente nella morte di donne e bambini innocenti ai posti di blocco, di civili inermi mandati a verificare la presenza di mine sulle strade, di prigionieri che alzano le mani per arrendersi. È la nuova sfida lanciata da WikiLeaks all´America, attraverso quasi 400 mila documenti riservati sulla guerra in Iraq. Tre mesi dopo le rivelazioni sul conflitto in Afghanistan, il "sito della soffiate" torna dunque alla carica. E per l´occasione riappare in pubblico il suo fondatore, Julian Assange, l´uomo a cui il Pentagono cerca di chiudere la bocca, l´australiano misterioso e controverso che tutti inseguono e molti temono.
La nuova infornata di indiscrezioni pubblicate da WikiLeaks fornisce un quadro devastante della guerra in Iraq. Dall´inizio del conflitto al 2009, affermano i documenti pubblicati, sono morte più di 109 mila persone; tra queste 66 mila, ossia più della metà, erano civili. Tra queste, oltre 15 mila hanno perso la vita in incidenti mai riportati. Fra i maggiori responsabili di queste stragi sono i soldati iracheni alleati degli Usa, che scatenano violenze efferate in particolare contro i prigionieri sotto la loro custodia. I detenuti vengono percossi, malnutriti, frustati, torturati; ad uno vengono tagliate le dita e dissolte nell´acido. Le forze occidentali sono a conoscenza degli abusi, ma tacciono. I soldati americani uccidono almeno 681 civili innocenti, tra cui donne e bambini, ai check-point. Civili iracheni sono mandati avanti su strade minate, con la scusa di "pulirle dai rifiuti", in realtà come cavie umane. Non mancano indiscrezioni sul coinvolgimento dell´Iran: nella fornitura di armi ai ribelli sciiti, e nell´appoggio al governo di Nouri al-Maliki in cambio dell´influenza di Teheran su Bagdad. Tra i 400 mila documenti ce ne sono anche un migliaio sulle truppe italiane in Iraq, oltre a rivelazioni sulla liberazione della giornalista Giuliana Sgrena e l´uccisione dell´agente dell´intelligence Nicola Calipari che ne mediò il rilascio.
Dai documenti risulta che l´esercito americano ha tenuto un registro delle vittime civili della guerra in Iraq, ma finora è rimasto segreto. Adesso, grazie alle rivelazioni di WikiLeaks, ci saranno negli Usa e in Gran Bretagna azioni legali per portare sotto processo gli autori degli abusi. Il governo iracheno minimizza: «Niente di nuovo, cose che già si sapevano». Il segretario di Stato americano Clinton, il Pentagono e il ministero della Difesa britannico invece fanno la voce grossa, accusando WikiLeaks di rivelazioni che mettono in pericolo la vita di soldati e personale americano e britannico.
Pallido e magro, nei sotterranei dell´hotel londinese in cui convoca la stampa internazionale, Julian Assange risponde così: «La prima vittima della guerra è la verità, e sempre più spesso le guerre lanciate da paesi democratici cominciano con una serie di menzogne. Il nostro obiettivo è smascherare le menzogne e ristabilire la verità. Non è vero che mettiamo in pericolo i soldati americani. Un rapporto della Nato ha dovuto riconoscere che non un solo militare alleato è a rischio per i documenti che abbiamo pubblicato sull´Afghanistan, e abbiamo preso le stesse precauzioni riguardo all´Iraq». E le voci di dissenso all´interno di WikiLeaks, con tecnici e personale che l´avrebbero abbandonato contestando i suoi metodi? «Non date retta alla campagna di certi tabloid e di certi ambienti per screditarci». Quali sono le lezioni dell´Iraq? «Una guerra dichiarata in modo illegale si è trasformata in un bagno di sangue, con costanti violazioni dei diritti umani e dello stato di diritto». Lei è preoccupato per la sua sicurezza, si sente personalmente in pericolo? «Stati Uniti e Gran Bretagna vogliono cambiare le leggi per incastrarmi». Ossia per sbatterlo in prigione. Lui non indietreggia: «Pubblicheremo altri documenti riservati», promette. Ma dopo la conferenza stampa, uscito a dare interviste sulla riva del Tamigi, s´innervosisce alla vista di un elicottero che vola basso sopra le nostre teste: «Sono a disagio», confida, «torniamo dentro». Come se da un momento all´altro qualcuno potesse arrestarlo, o peggio.