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 2010  ottobre 24 Domenica calendario

«IL TROTA L’HO ALLEVATO IO CON MARONI VECCHIE RUGGINI»

-[Intervista a Marco Reguzzoni]
« Le dà fastidio la sigaretta?». In effetti sì, ma come glielo dici? «Ora però non scriva che fumo, sennò mia moglie mi uccide». E l’occhio casca subito sulla fede nuziale, che cozza un po’ con la faccia da pischello. A 39 anni, Marco
Reguzzoni, è già sposato da dieci, presidente dei deputati leghisti, il più giovane capogruppo alla Camera dopo essere stato il più giovane presidente italiano di provincia a Varese, a 31 anni. E oggi è uno degli uomini più potenti della Lega, il più vicino al Sole di Gemonio. Ma guai a chiamarlo enfant prodige. È come se uno in politica gli desse del parvenu. «Se i giornali scrivono che ho fatto la storia della Lega come Bossi, Maroni e Giorgetti, non sono proprio l’ultimo arrivato», dice al taccuino del cronista perché il gotha leghista intenda. Ai baroni del Carroccio il rampollo del Senatùr fa lo stesso effetto dell’aglio sui
vampiri. Lui lo sa. E ci gode.
Marco Reguzzoni, il cocco del Capo.
«Meno male... Pensa se gli stavo sulle sca-
tole. Cosa faceva, mi frustava?».
Non faccia il finto modesto.
«Ma no, io sono cresciuto con Bossi. Conosce tutti i miei limiti, che sono tanti».
Aridaje...
«Anche qualche pregio. Tra noi c’è un rapporto di vecchia data fatto di grande stima. Mia per lui, intendiamoci. Ma lo stesso rapporto, l’Umberto
ce l’ha con decine e decine di persone nella Lega».
Come ha fatto ad entrare nel suo cerchio magico?
«Sono nella Lega da vent’anni. Quando facevo il segretario provinciale a Varese, Bossi mi chiamava cinque volte al giorno. Mi conosce da quando ero ragaz-
zino, per lui sono un libro aperto».
È vero che è entrato nelle grazie del Capo perché fu preso in simpatia dalla moglie? «Manuela è la tessera numero uno della Lega lombarda. Anche lei mi conosce da vent’anni e sa i miei pregi e i miei difetti. Ma il cerchio magico non esiste».
Sè...
«Prima dicevano che c’era Cota, adesso che ci sono io. Scusi, che cerchio magico è?». Un cerchio magico dal quale lei ha cacciato Cota... «Frottole giornalistiche».
Lei è stato uno dei più vicini a Bossi nella malattia. Cosa le è rimasto impresso di quell’esperienza? «I sotterranei dell’ospedale di Varese. In parecchi momenti la situazione sembrava irrimediabile. Come scrisse un cronista del posto, “aleggiava una cappa sorda e grigia sulla città”», pausa di commozione.
Ha mai lanciato un «vaffa» al Capo?
«Io non mi permetterei mai. Invece non si contano le volte che lui ha mandato a quel paese me. È un numero a quattro, cinque zeri». Il rapporto preferenziale che Bossi ha con lei ha creato
parecchi mal di pancia nel Carroccio.
«Quando mai».
Lei ha fatto il miracolo di compattare i colonnelli leghisti che non si erano mai sopportati prima. «Il 10 per cento sono divergenze d’opinione, il 90 per cento sono cavolate dei giornali». Prende in mano un quotidiano e legge un titolo: «Liti interne al Carroccio, ma l’epicentro resta Varese». Non vorrà mica negare la rissa che ha sfiorato con Maroni all’ultimo Consiglio federale della Lega...
Glissa passando all’articolo: «“Reguzzoni ha chiesto il commissariamento della provincia di Varese”». Non voleva commissariare la segreteria provinciale della Lega per piazzare un suo uomo?
«Tutte le province della Lombardia sono andate al voto. Discutevamo se eleggere o no il nuovo segretario provinciale della Lega a Varese prima delle Amministrative. Maroni ha chiesto di rinviare, io di eleggerlo subito. È passata la linea di Bossi, favorevole al rinvio che ho appoggiato anch’io, pur rimarcando un distinguo sulla segreteria. Ma un conto è una divergenza di vedute, altro è il commissariamento della segreteria provinciale, che io non ho mai chiesto».
E perché Maroni ha gridato alla «lotta di potere»?
«Io e lui abbiamo punti di vista diversi, ma il resto delle robe che dicono non stanno né in cielo né in terra». Sentiamo: come sono i suoi rapporti con il capo del Viminale?
«Maroni è una risorsa molto importante per la Lega. Il nostro rapporto ha subito alti e bassi perché quando nel ’94 io facevo il segretario provinciale a Varese, cioè a casa sua, lui era ministro dell’Interno...».
E lei cercò di scippargli il feudo.
«No, è che lui allora era in rotta totale con Bossi, quindi ci furono momenti di tensione fortissima tra noi. Oggi è tutto superato, abbiamo solo divergenze d’opinione limitate alle questioni locali».
E con Giancarlo Giorgetti i rapporti come sono?
«L’ho portato io nella Lega, l’ho candidato io alla Camera». E adesso aspira al suo ruolo di segretario nazionale della Lega, dicono.
«Falso. Io non miro a niente, perché dalla Lega ho già avuto tantissimo. Probabilmente più di molti altri. C’è sempre stato un candidato unico alla segreteria della Lega lombarda, che si decide prima del congresso e si vota per acclamazione».
A proposito di voto, voi leghisti le volete o no le elezioni anticipate? «No, semmai le subiremmo. Vogliamo realizzare il programma per cui siamo stati eletti, in particolare il federalismo fiscale».
Un leghista anomalo. Bossi e Maroni chiedono di andare al voto un giorno sì e l’altro pure... «Questo perché, con la costituzione di un nuovo gruppo, Fini ha complicato parecchio la situazione. Non è che noi siam qui a scaldare la poltrona. Quello che temiamo di più è l’impaludamento. Se il leader di Fli continua ad affossare ogni provvedimento, non si potrà che andare al voto».
Se l’aspettava da Fini?
«No, ha colto tutti di sorpresa. La cosa andava risolta
subito, tornando alle urne ad aprile. Ma oggi ci troviamo ad avere una larga maggioranza sia alla Camera che al Senato». Alla Camera mica tanto...
«Il governo ha preso 342 voti sulla fiducia».
Ma se poi i finiani voteranno contro i singoli provvedimenti? «O questo governo o le elezioni. Questa è la linea dei leghisti».
Test del leghista duro e puro: per lei quelli al sud del Po sono meridionali o terroni? «Meridionali». Leghista moscio. Traduzione di S.P.Q.R.
«Senatus populusque romanus».
Moscissimo. Non è degno allievo di Bossi, che ha tradotto: «Sono porci questi romani». «Non riapriamo vecchie polemiche, per carità». Lei è andato al banchetto della trippa che ha sancito la pace tra Bossi e il sindaco di Roma Gianni Alemanno? «Sì, ma ho mangiato solo polenta».
Pronostico: quanto dura il Cav al governo?
«Fino alla fine della legislatura».
Chi sarà il successore di Berlusconi?
«Berlusconi».
Ok, passiamo alla risposta ufficiosa.
«Berlusconi».
Vuole negare che voi leghisti vedreste molto meglio Giulio Tremonti a Palazzo Chigi? «Oggi non è in discussione». Domani?
Risata: «Chi vivrà vedrà».
In Tremonti batte un cuore verde o azzurro?
«Non lo so. È un federalista convinto, cosa che è assolutamente fondamentale per noi leghisti». Molti ministri, infatti, protestano perché lui apre i cordoni della borsa solo per il federalismo.
«A me sembra che non li apra mai».
Chi sarà il successore di Bossi?
«Bossi».
Nel senso di Renzo?
«Nel senso di Umberto».
Non Marco Reguzzoni?
«Assolutamente no. È impossibile per una questione di caratteristiche personali». Perché? «Non ho il fiuto né la capacità di Bossi».
E perché uno dovrebbe buttarsi in politica se non per arrivare a fare il leader? «Io l’ho fatto per dare un contributo a una squadra che cerca di cambiare la società».
Vabbè.
«Giuro. Presi la tessera della Lega a 15 anni, colpito da Bossi e dalle istanze del suo movimento». Enfant prodige o l’aveva scambiata per la Lega calcio? «Sapevo benissimo cos’era. Il primo volantino che presi in mano si chiamava Lombardia autonomista ed era un po’ il giornalino della Lega. Il titolo a nove colonne era “Scuola coloniale basta”».
Quando conobbe Bossi?
«Proprio quando venne a presentare la Lega parlando della Scuola coloniale a Busto Arsizio, nella sala Zappellini, nell’‘86. Era una riunione un po’ carbonara, ci saranno state in tutto venti persone».
Che impressione le fece il Senatur?
«Mi colpì l’audacia con cui parlava di argomenti che allora erano bestemmie». Allora lei credeva nella secessione? «Un vero leghista è indifferente alla secessione». Provi a dirlo a Mario Borghezio.
«Anche lui sa che il federalismo cambia così profondamente lo Stato da renderlo molto leggero. Lo Stato nazionale è superato. Invece, cito Gianfranco Miglio, la Padania è una struttura adeguata a gestire tutta una serie di servizi. Io non sono mai stato secessionista». Ambizioso sì, però.
«Ma no! Ho solo l’ambizione di giocare in prima squadra. Una squadra grandiosa il cui capitano è e resta Bossi». In Lega,invece, più di qualcuno dice che proprio per la sua ambizione sfrenata lei, più di tutti, ha spinto per la candidatura di Renzo Bossi alle Regionali.
«L’ho fatto perché lo conosco da quando aveva cinque anni, e credo sia un ragazzo con molte qualità, che ha il vantaggio di essere cresciuto nella Lega». Non l’ha fatto per captatio benevolentiae nei confronti del Capo?
«Io faccio il dirigente della Lega da vent’anni. Non ho bisogno di arruffianarmi Bossi spingendo il figlio». Ma se ha cercato di scalzare Paolo Grimoldi dalla guida dei giovani leghisti per far spazio al Trota...
«È falso. Il Consiglio federale, non io, ha richiamato il gruppo giovani a rispettare il limite d’età per la dirigenza. Siccome Grimoldi ha 35 anni, è ampiamente fuori tempo massimo».
Vero che ora avete intenzione di lanciare Renzo come vicesindaco di Milano? «Non esiste». Resta il fatto che i big della Lega sono incavolati neri e la base di più.
«Non direi».
Ascolti Radio Padania, molti gridano al nepotismo.
«Nepotismo sarebbe stato candidare Renzo in una lista bloccata». Di fatto lo era, visto che è stata depurata da tutti i candidati più forti nelle preferenze.
«Fantasie non degne di commento».
Ma almeno lei la gavetta l’ha fatta?
«Ho fatto il responsabile dei giovani leghisti a Busto Arsizio che non avevo ancora 18 anni. Appena maggiorenne, sono diventato vicesegretario di sezione, segretario provinciale più volte a Varese, commissario un po’ ovunque, poi responsabile delle feste della Lega. Direi che di gavetta ne ho fatta abbastanza».
Va ancora alle feste padane ad affettare il salamino?
«I salumi adesso li prendiamo già tagliati. Ma all’epoca, siccome mio padre era macellaio, sapevo affettare di tutto. All’ultima festa di Busto ho servito la birra». Lei lavorava in macelleria?
«Sempre. Quando facevo il segretario provinciale mi mantenevo aiutando i miei in macelleria il pomeriggio e il sabato». Sa macellare un abbacchio?
«La carne è un po’ difficile da tagliare. Io mi occupavo della salumeria, per cui so perfettamente disossare un prosciutto crudo». Manifesti ne ha mai attaccati?
«A migliaia».
La sua prima azione politica?
«Quando la Lega ancora non esisteva, io presentai una piccola lista al liceo classico di Busto: Lista mia, per piccina che tu sia, mi sembri una badia». Terribile.
«Una roba goliardica. Prima dell’‘89 c’era la contrapposizione cattolici-ciellini contro gente di destra. La mia era una lista anti ideologica». Non avrà preso un voto...
«Invece la mia lista prese due seggi su tre. E siccome la prima volta ero il solo candidato, il secondo lo regalammo. Faccio parte della generazione che ha compiuto 18 anni nell’’89: l’anno di Piazza Tienanmen e della caduta del Muro di Berlino. Il mio impegno politico nasce nel crollo delle ideologie».
Lei non è figlio d’arte.
«Mio padre non ha mai preso una tessera di partito».
E come ha preso il suo arruolamento nel Carroccio?
«All’inizio è rimasto molto sorpreso, pensava che fosse una mattana giovanile. Ma né lui né mia madre mi hanno mai ostacolato». Non è figlio, ma marito d’arte sì. Ha sposato la figlia di un leghista della primissima ora: Francesco Speroni. «Nella Lega ho trovato tutto: amici, amore, famiglia». Come ha conosciuto sua moglie?
«A una festa della Lega. È nata un’amicizia che poi è diventata amore. Ci siamo fidanzati dodici anni fa». Crede che i coniugi Bossi l’avrebbero accolta in casa se non fosse stato il genero di Speroni?
«Facevo il segretario provinciale della Lega da diversi anni quando mi sono fidanzato con Elena. Quando l’ho conosciuta ero il responsabile organizzativo di tutta la Lega. Ho un’amicizia e una familiarità con l’Umberto che prescinde dalle parentele acquisite». È gelosa sua moglie?
«Io sono geloso di lei, sono siciliano in questo. Lei non può esserlo». Perché no? «Quando ero presidente di provincia, a Varese, c’erano 1.500 dipendenti, di cui 900 donne e parecchie molto carine. Quindi lei non può essere gelosa». Quanti amori ha avuto nella vita?
«Un po’» ride.
Era così reticente anche da piccolo?
«No, ero molto vivace. Ma anche adesso».
Quella volta che l’ha fatta veramente grossa?
«Alle gite del liceo ho fatto di quei casini...».
Tipo?
«Mentre il vicepreside stava facendo una ramanzina agli studenti per la pessima condotta, noi entrammo nella sala dell’albergo in giacca, cravatta e boxer». Sospensione?
«No. Ma dopo di noi, per anni, il liceo classico di Busto non è più andato in gita». Si è laureato in Ingegneria al Politecnico di Milano. È mai stato bocciato a un esame?
«Decine di volte».
Per forza, sempre a pensare a Bossi...
«I primi tre anni pensavo solo a studiare. Quando a 23 anni diventai segretario provinciale, in un periodo difficile per la Lega, tra il ’93 e il ’96, la politica mi rapì. Infatti mi sono laureato a 33 anni. Ricordo che, quattro anni dopo aver fatto l’esame scritto di Tecnologia meccanica, mi chiamò il professore e mi disse: “Se non viene a dare l’orale adesso, le annullo tutto”».
E lo fece?
«Sì. Partivo da 30 e presi 19».
Ha avuto una virata manageriale quando Giuseppe Bonomi la portò in Sea nel ‘99. La vulgata narra di un Bossi inferocito: «Marco, dove c... vai?». «Per me è sempre stato importante svolgere una professione al di là della politica, perché così, il giorno in cui la Lega dovesse dirmi che non servo più, avrei un’attività alla quale tornare. Questo è stato un grande insegnamento di Miglio e di Bossi».
L’Agenzia delle entrate ha contestato a una sua società 342mila euro di tasse non versate. E’ una cartella pazza o lei è un evasore fiscale? «È stato fatto un errore dal mio commercialista o dall’Agenzia delle entrate. C’è un contenzioso in corso, ma la cifra è molto inferiore».
Il peggior reato che ha commesso nella vita?
«Qualche scritta sui muri».
Cosa mai avrà scritto...
«Grande Nord».
E che reato è?
«La scritta era alta quattro metri».