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 2010  ottobre 24 Domenica calendario

Quando De Gasperi querelò Guareschi - Stupisce che il Cav citi in giudizio la giornalista Milena Gabanelli per il servizio tv sul­la magione di Antigua

Quando De Gasperi querelò Guareschi - Stupisce che il Cav citi in giudizio la giornalista Milena Gabanelli per il servizio tv sul­la magione di Antigua. Non du­bito che abbia le sue ragioni per sentirsi offeso dalle allusio­ni malandrine di Report . Però non capisco perché proprio lui si rivolga ai magistrati per ot­tenere giustizia. Se c’è uno che diffida dei giudici -e con otti­me ragioni- è appunto il Cav. Come fa adesso a conservare tanta fiducia in loro da sperare di averne soddisfazione nella circostanza?Delle due l’una:o il Cav se ne impipa della coe­renza e fa una sceneggiata per dare risalto alla sua indignazio­ne o al fondo, pover’uomo, si illude anche lui di trovare final­mente un giudice a Berlino. La speranza,si sa,è l’ultima a mo­rire ma, in ogni caso, si dimo­stra un ingenuo. L’antipatia che i magistrati hanno per lui è assodata ed entrando volonta­ri­amente in un’aula di tribuna­le non fa che portare la testa al capestro. Non se ne esce: o ha una dose cavallina di inco­scienza o un ottimismo da in­cosciente. Fatta la premessa, trovo inve­ce infondate le critiche dei soli­ti noti per l’iniziativa. Ne elen­co alcune per dire da che pulpi­to piovono. Di Pietro: «Berlu­sconi querela solo perché Ga­banelli gli ha fatto una doman­da ». Il segretario della Federa­zione della stampa, Franco Sid­di: «Le querele non fermeran­no le notizie, né le domande». Giuseppe Giulietti, notorio prezzemolo sui pasticci Rai: «La querela è una forma di cen­sura ». A parte che tutti costoro smarronano evocando una querela mentre il Cav ha fatto una causa civile,l’idea suggeri­ta è che un politico di rango non trascina un giornalista in tribunale. Ne va della libertà di informazione perché troppa è la disparità di forze tra un po­tente e uno scribacchino. C’è del vero e, personalmente, de­testo queste iniziative minac­ciose dei politici. Meglio sareb­be stato se il Cav avesse lascia­to perdere. Ma da qui a impan­­carsi, ne corre, visto il numero di quelli che hanno preceduto il premier sulla cattiva strada. A cominciare da Di Pietro che con le cause ai cronisti si è arric­chito più che con la destrezza immobiliare. E poi quel bel to­mo di Siddi, sindacalista della nostra categoria: oggi si sveglia contro il Berlusca, ma era in sonno profondo quando Gian­fr­y Fini pochi mesi fa ha quere­lato Il Giornale . Da Siddi, al­l’epoca, nemmeno una paro­la. Siamo alle solite. Quello che agli altri è lecito, al Cav è vietato. Se Fini, presidente del­la Camera, chiede risarcimen­ti milionari difende l’onore e il suo buon diritto. Se è l’altro a farlo, intimidisce e si sottrae al confronto con la libera stam­pa. Miserie della polemica poli­tica e del giornalismo asservi­to. Ammettiamo però che un ca­po di governo abbia doveri maggiori e gli spetti un partico­lare senso della misura. E dun­que che oggi sia giusto mettere alla gogna il Berlusca per la Ga­banelli. Già, ma ricordate co­me si comportò da premier Max D’Alema contro Giorgio Forattini, il celebre vignetti­sta? Era il 1999, Max stava a Pa­lazzo Chigi, e Giorgio lo ritras­se mentre «sbianchettava» i nomi, apparsi nella lista Mitro­khin, degli italiani al servizio del Kgb.D’Alema,che ormai si dava arie di antisovietico, que­relò inviperito Forattini e gli chiese un risarcimento di tre miliardi. Nessuno a sinistra gli dette sulla voce. Ai sacri princi­pi, dalla libertà di parola a quel­­la di satira, fu messo il silenzia­tore. Anzi, quando Bruno Ve­spa volle dedicare all’inquie­tante faccenda una puntata di Porta a Porta , la Rai la vietò con una scusa: una mini elezio­ne alle porte. In realtà, era pura piaggeria verso Max. A ingiun­gere lo stop, furono il presiden­te Roberto Zaccaria, un dc sini­strorso oggi deputato del Pd, e Pierluigi Celli, piazzato alla di­rezione generale per assecon­dare gli umori della conventi­cola dalemiana. Sapete come reagì alla censura prezzemolo Giulietti, quello che oggi stig­matizza il Cav per la sua rabbia contro Report ? Sentenziò: «È tutta una provocazione!» e il provocatore, a suo dire, era Ve­spa che osava discutere la que­rela di D’Alema. Pensate se, in analoghe circostanze, fosse stata rinviata una trasmissio­ne di Michele Santoro. Ma è la legge non scritta della Rai: Bru­no alle ortiche, Michele invece non si tocca altrimenti il preto­rello di turno ne ordina la riam­mi­ssione in prima serata col tri­plo dei riflettori accesi e pubbli­co urlante a comando. Dunque, con buona pace dei difensori improvvisati del­la libertà di stampa, D’Alema premier si comportò allora co­me oggi il premier Berlusconi. Ma siccome il Cav è un caso speciale che merita sempre un trattamento particolare, è sta­ta fatta un’ulteriore distinzio­ne. Poiché lui invoca per sé, fin­ché governa, la liberazione dei processi - vedi lodo Alfano - è scorretto che ne infligga uno a chi lo insulta. L’idea è del vice­direttore del Corsera , Pierluigi Battista che in un editorialino ha usato questo argomento per attaccare il Mostro della Brianza. Una tesi così sottile da raggiungere lo spessore di una carta velina. Ora, a parte il fatto che il lodo Alfano è di là da veni­re e probabilmente non ci sarà mai, gli annali sono pieni di premier querelanti che non po­te­vano a loro volta essere chia­mati in giudizio. Fino al 1993 è stata in vigore l’immunità parlamentare pie­na voluta dai Padri costituenti che prevedeva la sottrazione dei parlamentari ai processi senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza. Eso­neri che arrivavano col conta­gocce per i pesci piccoli e mai per le alte cariche, come - po­niamo - pezzi da novanta tipo Ciriaco De Mita o Alcide De Ga­speri che di fatto erano coperti da un super lodo Alfano. Ebbe­ne tanto Ciriaco quanto Alcide - nonostante lo scudo che li proteggeva - querelarono fior di giornalisti. Da presidente del Consiglio, De Mita se la pre­se negli anni Ottanta con In­dro Montanelli che gli dette del «boss irpino» in un articolo di fondo. Indro si beccò una lie­ve condanna accolta con sde­gno dai lettori del Giornale che dirigeva e col complice silen­zio dalle odierne prefiche del­la libertà di parola. Negli anni Cinquanta, De Gasperi pre­mier ci andò giù molto più du­ro. Indignato con Giovannino Guareschi che- forse prenden­do fischi per fiaschi - lo aveva accusato di avere sollecitato i bombardamenti alleati su Ro­ma nel 1943, lo querelò. Guare­schi fu condannato a un anno di carcere che si fece per inte­ro, rifiutando per tigna, convin­to delle sue ragioni, di chiede­re la grazia. Ora con questi precedenti, c’è adesso chi sale in cattedra per dire che il Berlusca è l’Atti­la della libertà di stampa, l’uni­co capo del governo che abbia mai trascinato un cronista in tribunale, l’eccezione antide­mocra­tica in un mare di virtuo­si rapporti tra politica e giorna­lismo. Non c’è che una spiega­zione a tanta smemoratezza: una malafede al cubo.