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 2010  ottobre 24 Domenica calendario

TRA TOPI E MANAGER

Immaginate di essere un topo. Costretto in un labirinto le cui pareti di diversi colori sono associate a dolorose scariche elettriche di diversa intensità. Il vostro compito è di aggirarvi nel labirinto cercando il percorso più sicuro, cioè il meno doloroso. Dovete imparare la strategia migliore associando scarica e colore. E impararla in fretta. È ragionevole supporre che tanto più intensi gli shock inflitti, quanto più saremo motivati ad apprendere. Viceversa, tanto meno significative le scariche elettriche, quanto più ce ne staremo indifferenti a bighellonare in giro per il labirinto.

Ora immaginate di essere un manager strapagato (se non lo foste già) che alla fine di ogni anno gode di bonus e stock option in quantità. Gli economisti ci insegnano che per uomini e topi esiste una relazione diretta incentivi e performance. Più saremo motivati a raggiungere un obiettivo e più lavoreremo per conseguirlo. Grandi bonus per grandi traguardi. Logico, no?

Sebbene intuitivamente plausibile, questa logica non tiene alla prova dei fatti. Perlomeno non del tutto. Infatti si è potuto constatare – attraverso un rigoroso esperimento con topi e labirinti reali – che se gli shock/incentivi sono blandi, effettivamente i topi non sono abbastanza motivati e imparano con notevole pigrizia. Se gli incentivi sono di media intensità i topi si ingegnano a imparare le regole del labirinto con notevole sagacia. Ma – ed è un ma decisivo – se le scariche elettriche sono alte o molto alte la performance risulta peggiore (attenzione: non marginalmente decrescente, ma proprio notevolmente inferiore). Difficile dire cosa accada nella mente dei topi, quello che si osserva è che rimangono immobili e inetti (forse sopraffatti dall’unico pensiero delle scariche) incapaci di mettere a punto una qualunque strategia. Gli incentivi e lo stress dominano interamente la scena, non c’è spazio per alcun apprendimento.

Vero è che le scariche elettriche non sono un sistema particolarmente diffuso per incentivare le persone a lavorare di più, ma, al di là degli aspetti morali di giustizia distributiva, quello che qui ci interessa è se effettivamente incentivi finanziari di grandi proporzioni portino con sé una migliore perfomance. In breve e nello specifico: topi e managers reagiscono agli incentivi allo stesso modo o in modo differente? Come scoprirlo?

La risposta e – forse ancora più interessante – il modo per ottenerla, la trovate nel riuscitissimo secondo libro di Dan Airely (The Upside of Irrationality), autentico manifesto sull’importanza degli esperimenti nelle scienze sociali come antidoto contro i luoghi comuni, i dogmi, i falsi miti e l’ampio campionario di comportamenti sbagliati (irrazionali) che governano gli affari e la politica di tutti i giorni. Certo, mettere a punto esperimenti nel mondo che ci circonda e non semplicemente per topi di laboratorio, e inoltre chiedere ai dati empirici che se ne ricavano di servirci da guida per migliorare le politiche sociali e le istituzioni è un progetto non solo molto ambizioso, ma anche niente affatto banale. Ci vuole, per cominciare, creatività e genio investigativo. Qualità che, come potrete ora constatare voi stessi, non mancano ad Airely.

Il problema di un esperimento basato su incentivi di tipo monetario è che questi incentivi devono essere autentici e significativi; quindi per definizione costano cari. Ci vuole cioè un budget che nessuna università metterebbe mai a disposizione. A meno che non si riescano a usare meno soldi dove questi possono comperare molto di più. Per quanto ne so, quello di Airely è il primo esperimento la cui produzione è stata de-localizzata in India! Più precisamente a Madurai e nelle aree rurali circostanti dove lo stipendio mensile medio è di 500 rupie (circa 8 euro). L’esperimento prevedeva che i partecipanti guadagnassero premi in denaro in proporzione ai punteggi conseguiti nello svolgere più volte una serie di compiti che richiedevano capacità di risoluzione di problemi, concentrazione, memoria e creatività. I partecipanti venivano casualmente assegnati a tre diversi gruppi di incentivi: nel gruppo con bonus basso potevano guadagnare da zero fino a una cifra pari a un giorno di stipendio; bonus medio fino a due settimane di stipendio, bonus alto, fino a cinque mesi di stipendio, ovvero una autentica fortuna.

Risultato: i soggetti dei primi due gruppi risultarono quelli che produssero le migliori performance (e i migliori guadagni complessivi) non distanziandosi molto tra loro. Evidentemente un giorno di paga era una cifra che già massimizzava la loro motivazione in relazione al compito da svolgere. Invece i soggetti del gruppo straordinariamente ben pagato – esattamente come i topi sotto scarica elettrica elevata – mostrarono il più basso livello di perfomance (e conseguirono guadagni complessivi peggiori degli altri due gruppi sebbene ogni loro esercizio li retribuisse relativamente molto di più). Come per i topi, anche in questo caso, «l’esperienza risultò così stressante che restarono paralizzati dalla pressione».

Motivare le persone con il denaro può funzionare nel caso di compiti routinari e meccanici. Ma non funziona e, anzi, ha un effetto opposto quando il compito richiede un rudimentale impegno mentale, come mostra l’esperimento indiano e come si suppone nel caso di top manager.

Indicando la via con questa e molte altre ricerche dai risvolti mai scontati, Airely esorta quindi il lettore a «dubitare delle proprie intuizioni e a progettare i propri esperimenti fai da te: poni domande; esplora; gira le pietre; metti in dubbio i tuoi comportamenti; quello della tua azienda, dei politici, di chi governa. Questa è la grande speranza delle scienze sociali». Ma, al di là delle speranze, una miglior comprensione, per esempio, dei meccanismi psicologici che legano retribuzioni, motivazioni, stress, creatività e performance avrà anche la forza di migliorare la società? Qui a prevalere è una nota di disincanto: infatti, spesso «è difficile fare capire a una persona qualcosa quando il suo salario è basato proprio sul fatto che non la capisca».