Francesco Piccolo, Il Sole 24 Ore 24/10/2010, 24 ottobre 2010
CETO MEDIO RIFLESSIVO
Paul Ginsborg apre Salviamo l’Italia (Einaudi, pagg. 134, € 10,00) con un episodio autobiografico: la scelta di diventare cittadino italiano compiuta poco meno di due anni fa – con gli amici increduli che gli chiedevano se era sicuro. Ginsborg non soltanto è un grande storico che si occupa del nostro paese da decenni, ma è anche impegnato in modo concreto nella riflessione e nei tentativi di rinascita attraverso la politica. Combinando studi e passioni, professione e impegno civile, costruisce un percorso di salvezza paragonando di continuo lo stato delle cose dell’Italia di oggi ad alcuni eventi della storia risorgimentale; una rinascita può prendere le mosse dalla verifica storica di come e quando questo paese ha preso forma. L’approdo del ragionamento è il seguente: coloro che hanno seguito Mazzini e hanno combattuto con Garibaldi avevano due caratteristiche; rappresentavano una rivoluzione generazionale e provenivano in larga parte dal ceto medio. Oggi, dice Ginsborg, il ceto medio rappresenta la maggioranza della popolazione. All’interno di esso individua quella categoria ormai nota che è il «ceto medio riflessivo», una definizione precisa e comunque facilmente individuabile di un’Italia minoritaria che però può guidare la ricostruzione, grazie a consapevolezza e capacità critica.
La passione con la quale Ginsborg si occupa di questo paese, il volontario candore, dipende senz’altro dal fatto che sia un italiano novissimo. E che quindi non sente sulle spalle la responsabilità dello stato delle cose. Qui le strade tracciate dalla storia si dividono, quindi, così come lui separa il ceto medio riflessivo dal ceto medio. Sia chiaro: non è un errore che fa Ginsborg, ma è l’errore che ha fatto il ceto medio riflessivo; si è staccato dal resto dell’Italia, si è costruito un’isola pensando che soltanto rappresentando un’alternativa totale al paese presente si possa osservarlo e combatterlo. E di conseguenza, come esorta Ginsborg, salvarlo.
Invece, il ceto medio riflessivo fonda le radici nella piccola, media e alta borghesia, cioè quella parte del paese che ha operato le scelte che ci ritroviamo. Hanno (abbiamo) le stesse responsabilità, sono (siamo) partiti dal medesimo punto per poi diventare – dividersi in – berlusconiani e antiberlusconiani, per semplificare. Alla base c’è un carattere comune e perfino la spinta propulsiva del benessere, che ha reso possibile sia la crescita del ceto medio sia, dal suo interno, la parte più consapevole; ma il ceto medio riflessivo ha fatto un salto troppo agevole, si è liberato delle radici comuni con eccessiva disinvoltura, si è sfilato repentinamente dalla corresponsabilità degli eventi. Questi quindici anni non ci riguardano, è lo slogan; noi stiamo aspettando che rinsaviate per accompagnarvi da un’altra parte, per guidarvi nella ricostruzione.
Ecco: questa guida sarebbe davvero illuminata se di una larga percentuale di responsabilità dell’Italia come ce la ritroviamo ora, se ne facesse carico. Invece, il ceto medio riflessivo rifiuta sdegnoso il carico dell’Italia della Seconda Repubblica, così come del resto aveva rifiutato nella sostanza anche il carico della Prima. E per questo, forse, non è in grado di rappresentare sul serio ciò che dovrebbe rappresentare.
Sia chiaro: non voglio dire che siamo tutti uguali, che abbiamo tutti le stesse colpe. C’è senz’altro una differenza radicale tra chi vuole salvarlo, il suo paese, e chi vuole affossarlo. Ma nonostante tutto, tirarsi fuori da ciò che ci ritroviamo di concreto nel presente, vuol dire non credere che sia il frutto di un cammino condiviso, anche se doloroso o combattuto; bensì un caso fortuito del destino che ci ritroviamo senza avervi preso parte. Soltanto così si può immaginare di rappresentare l’unica virtù possibile, la coscienza linda, immacolata, del paese.
L’errore di fondo sta nel pensare che l’Italia fosse divisa in modo netto e agguerrito anche prima di adesso. Tutt’altro. Fino a pochi anni fa i valori condivisi erano tantissimi e costituivano il nucleo fondante. Per salvare l’Italia, forse, converrebbe prima di tutto – sfruttando quell’elemento caratteristico che Ginsborg individua nella mitezza, citando l’elogio di Norberto Bobbio – capire le cause di tale non improvvisa divisione; che equivale a mettersi in gioco non come giudici, ma come corresponsabili. Quello sì, sarebbe un vero punto di partenza per una rinascita collettiva.