Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Gli americani sono molto allarmati per le promesse rivelazioni di Wikileaks. Ecco alcune delle dichiarazioni di ieri: «È un’iniziativa molto pericolosa» (Mike Mullen, capo di Stato maggiore della Difesa), «Una mossa irresponsabile che mette delle vite in pericolo» (Philip Crowley, portavoce del Dipartimento di Stato), eccetera. Hillary Clinton ha telefonato al suo collega cinese Yang Jiechi e altri alti funzionari Usa si sono messi in contatto con le cancellerie dei vari paesi per avvertirli di quello che stava capitando, compresa la nostra.
• So che ne abbiamo già parlato, ma – le chiedo scusa – non mi ricordo bene che cos’è questo Wikileaks.
Un sito svedese diretto da Julian Assange, un hacker inseguito da un mandato di cattura internazionale per violenza sessuale, che per non farsi prendere cambia continuamente casa. Ha cominciato quest’estate mettendo in rete 400 mila file riguardanti la guerra in Iraq. Già rendere disponibile una simile quantità di documenti è, dal punto di vista informativo, assai dubbio: come raccapezzarsi all’interno di una tale massa di parole? Infatti, Assange manda in anteprima una scelta delle cose che giudica più interessanti ai quotidiani (per esempio il “New York Times”), i quali in genere pubblicano. Stavolta farà avere le sue rivelazioni, oltre che al NYT, allo Spiegel, al Guardian, a Le Monde e a El Pais. Anzi, si dice che questi giornali siano già in possesso del materiale.
• Alla stampa italiana niente?
Indiscrezioni di ieri sera sostenevano che solo il 5% di tutta questa roba riguarderebbe l’Europa. Si tratta di files che concernono soprattutto il Medio Oriente e l’Asia, nessuno dei quali classificato come “top secret”. La metà sarebbe senza livello di segretezza, il 40,5% sarebbe “confidenziale”, 15.652 sarebbero “segreti”. È sempre una bella massa di roba. Il periodo di riferimento è il triennio 2006-2009. Altre voci dicono che si tratterebbe soprattutto di e-mail piratate al Secret Internet Protocol Router (SIPRNet). Migliaia di funzionari statunitensi che si scambiano notizie da i quattro angoli del globo e non stanno certo lì a pesare le parole. Le ambasciate e i consolati Usa nel mondo sono 297. Cose sull’Italia ce ne dovrebbero essere: Washington ha avvertito noi, come gli altri, che questa documentazione potrebbe danneggiarci perché contiene riferimenti ad aspetti dei rapporti bilaterali che erano stati mantenuti segreti perché delicati o controversi.
• Si potrebbe, per esempio, scoprire che gli americani non ci amano poi così tanto?
Si sa già – senza bisogno di Assange – che gli Stati Uniti ci considerano un paese inaffidabile. E Obama non ha troppa simpatia per Berlusconi, il quale l’altro giorno ha gridato al complotto internazionale pensando tra l’altro a Wikileaks e al caso Finmeccanica.
• Finmeccanica? Gli americani manovrano i giudici italiani?
Un’ipotesi che mi parrebbe forte. Però è vero che Finmeccanica è malvista oltreoceano per i suoi traffici con i russi e i loro amici. Appena entrato alla Casa Bianca, Obama ha cancellato la commessa per gli elicotteri che era stata vinta dall’azienda di Guarguaglini. Stiamo comunque, per ora, alle dichiarazioni di Frattini (ministro degli Esteri) e La Russa (ministro della Difesa). Frattini: «La solidità dei rapporti con gli Stati Uniti è basata su una collaborazione che riguarda interessi e valori condivisi». La Russa: «Qualsiasi cosa venga fuori, non sarà certo un documento di Wikileaks a interrompere o anche solo a peggiorare il consolidato rapporto con gli Stati Uniti». Frattini: «Non c’è un complotto contro l’Italia, non c’è un unico burattinaio, ma elementi molto preoccupanti che sono una combinazione di informazioni inesatte e di enfatizzazione mediatica di fattori negativi per l’Italia». La Russa: «Escludo che gli americani ce l’abbiano con noi, gli abbiamo appena mandato altri duecento istruttori in Afghanistan».
• Se il periodo è veramente 2006-2009 c’è di mezzo anche Prodi.
Sì, i leader più citati sarebbero Prodi, Berlusconi, Fini e Giuliano Amato. Gli ambasciatori americani a Roma, tra il 2006 e il 2009, sono stati Ronald Spogli e David Thorne. Spogli, prima di andarsene, ci fece una ramanzina terribile: «Italia stai attenta, rischi di andare a sbattere, non potrai mantenere il tuo status di potenza economica se i tuoi risultati rimarranno così bassi, se la tua università continua ad essere una tragedia nazionale, se non ti darai un piano energetico nazionale che possa essere realizzato senza tener conto dei cambi di governo […] Una burocrazia lenta, un mercato del lavoro rigido, la criminalità organizzata, la corruzione, la lentezza della giustizia, la mancanza di meritocrazia». Figuriamoci cosa scriveva nelle sue mail private. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 28/11/2010]