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 2010  novembre 28 Domenica calendario

INTERNET, TUTTO ESAURITO. NELL’ESTATE 2011 NON CI SARA’ PIU’ POSTO —

Partiamo da un’immagine architettonica e, dunque, rassicurante: il Web è una biblioteca. Muri e librerie per l’archiviazione di dati, storie, simboli, trasmissione del sapere. L’obiezione arriva immediata: ma la rete non era infinita? Allora un’immagine liquida per esprimere il senso del web potrebbe essere la Biblioteca di Babele di Borges (Finzioni): contiene tutti i libri con tutte le combinazioni possibili (quasi infinite) di tutti i simboli del linguaggio umano. Non è questo che fanno, cioè combinare e ricombinare all’infinito stralci di «altro», gli aggregatori, i vari Google News, i social network come Facebook e Twitter? Ebbene per quanto catastrofico possa sembrare la «Babele.com», la biblioteca universale, sta finendo. Nel senso architettonico del termine: tra pochi mesi, nell’estate del 2011, termineranno i 4,3 miliardi di indirizzi dell’attuale protocollo su cui si basa l’infrastruttura Internet, l’Ipv4.
A lanciare l’allarme non è stata una Cassandra o un tecnofobo, ma Vinton G. Cerf, vicepresidente e chief Internet Evangelist per Google, ma soprattutto uno dei padri riconosciuti del web con Robert Kahn. I due ingegneri, tanto per dire, hanno ricevuto la «Presidential Medal of Freedom», la più alta onoreficenza Usa. «Sappiamo che lo spazio sta finendo — ha detto Cerf che da qualche giorno ha lanciato una campagna di sensibilizzazione partendo dalla Casa Bianca — è il momento più critico da quando abbiamo avuto l’idea della Rete». Lo scorso ottobre risultava libero solo il 5% dello spazio. È come se fossimo vicini all’ultimo libro "pubblicabile". Ma la realtà è meno letteraria e più commerciale, come ha svelato lo stesso Cerf: «È come tentare di vendere un telefono non potendo più assegnare un nuovo numero». Ogni computer, nuova stampante o smartphone collegato a Internet ha bisogno di una porta di accesso all’infrastruttura, un indirizzo dell’Ipv4. Quando era stato introdotto nel 1981 nessuno immaginava cosa sarebbe diventata la Rete e il numero 2 alla 32esima (4,3 miliardi) sembrava infinito. Poi l’esplosione di collegamenti e interconnessioni è sfuggito al controllo tanto che Internet è la più grande industria quotata a Wall Street (basta aggregare le capitalizzazioni di società come Microsoft, Google, Apple, Amazon, Cisco). Non è un problema di server in Siberia, di allocazione dei dati, della nuova frontiera del cloud computing, cioè della virtualizzazione dei dati. E non è nemmeno la suggestiva quanto provocatoria «fine del Web» annunciata da Wired Usa lo scorso agosto.
Il problema qui è antico quanto la matematica. Per alcuni studi fino al 2003 sono stati prodotti 40 exabit (10 alla 18esima) di dati. Dal 2003 ne vengono prodotti 800 in più. Ogni anno. È dal ’98 che una task force sta studiando l’Ipv6, il nuovo protocollo: lo spazio passerebbe a 2 alla 128esima (4 trilioni). Ma è sui ritardi del passaggio e dello sviluppo di questo protocollo che Cerf sta richiamando l’attenzione. Alcuni lo usano, ma i due mondi per ora non comunicano. Il buco dell’estate 2011 potrebbe anche essere presa filosoficamente come una pausa di riflessione su una delle più grandi invenzioni dell’umanità. Anche perché, a ben vedere, la «Babele.com» è già uno spazio finito: chi va oltre alla seconda pagina di ricerca di Google? Ma per Cerf «non potremo più aggiungere online una nuova persona»: se è vero che Internet è la nuova rete elettrica mondiale sarebbe come spegnere la luce a una parte dell’umanità.
Massimo Sideri