FRANCESCO SEMPRINI, La Stampa 28/11/2010, pagina 19, 28 novembre 2010
Haiti, il miracolo di Suor Marcella - Saio bianco, crocefisso in legno, un paio di sandali e due cellulari sempre accesi
Haiti, il miracolo di Suor Marcella - Saio bianco, crocefisso in legno, un paio di sandali e due cellulari sempre accesi. Così suor Marcella Catozza combatte la battaglia quotidiana in aiuto dei diseredati di Waf Jeremie, lembo estremo di Cité Soleil, periferia delle periferie della capitale di Haiti, zona rossa dove la polizia non si azzarda ad entrare. La religiosa della Fraternità delle missionarie francescane è artefice di un’impresa straordinaria, una sorta di «miracolo terreno», tanto che c’è chi la vorrebbe candidare alla presidenza del Paese. Grazie a lei e all’aiuto di organizzazioni per lo più italiane, tra cui Avsi, Coopi e l’Albero della Vita, è nato «Vilaj Italyen» un villaggio dove vivono oltre un centinaio di famiglie strappate dal degrado delle baraccopoli e dalla minaccia delle gang. «Siamo entrati qui in punta di piedi, per vincere la diffidenza della gente, c’è voluto molto tempo», dice suor Marcella ricordando che sino a qualche tempo fa questa zona, considerata la «discarica della capitale», era off-limits per chiunque. Tutto inizia con l’alluvione del 2005: lei e altri volontari si mettono a cercare nel fango delle bidonville sette persone disperse, sei bambini e una donna. «Eravamo completamente sporchi, da buttare, e la gente del posto è venuta con taniche d’acqua per pulirci, mi dissero che dovevo tornare bianca come quando ero arrivata. Avevo capito di aver conquistato la loro fiducia». Degli scomparsi non si ha più traccia, ma da quel momento Suor Marcella diventa una di Waf Jeremie. Grazie a finanziamenti di privati italiani, affitta un ex deposito di carbone dove realizza un ambulatorio e una scuola per i bambini del quartiere, con i più grandi coinvolti nel progetto. «Il primo è stato Alex che tuttora è il mio braccio destro, poi sono arrivati gli altri, quelli che ora vengono chiamati i boys di Suor Marcella. Il metodo funziona, è necessario responsabilizzare questa gente e coinvolgerla». Poi però arriva il terremoto, il bacino d’acqua su cui poggia l’ex deposito crolla e con esso il sogno di suor Marcella. «Sembrava tutto finito, ho pensato che il buon Dio avesse in mente altri progetti per me». Ma nel momento in cui la missionaria sta per cedere, arriva la grande sorpresa, una straordinaria quantità di aiuti dall’Italia. «Non mi ero mai trovata a dover gestire tanto denaro. Ho pensato subito a cosa potesse servire di più, la risposta era chiara: case e scuola». Inizia a prendere forma «Vilaj Italyen»: dalle baracche la gente viene spostata nelle tende portate dalla Protezione civile, e sulle rovine delle vecchie baracche sorgono 122 case in muratura, un ambulatorio - in questi giorni trasformato in primo soccorso per i malati di colera - una mensa sociale che ogni giorno sfama 400 persone e distribuisce 30 mila litri di acqua potabile. Poi c’è la scuola, «Regina della pace», un parco giochi per bambini e persino un campo di calcetto dove tra pochi giorni avrà inizio il torneo di Natale «perché - dice suor Marcella - nonostante tutto la vita continua, specie per i piccoli». È questo lo spirito disuor Marcella, originaria di Busto Arsizio, e da una vita in prima linea nel Sud del Mondo. Unaspecie di guerriero dal velo bianco, serena quando racconta come si affronta una vita piena di ostacoli, forte quando la si vede combattere la sua battaglia quotidiana. «Non mi importa chi ho davanti, questa gente viene prima di tutti», ci dice mentre abbraccia i bimbi che giocano tra i vicoli del villaggio. Dopo dieci anni in Albania e cinque in Amazzonia, nel 2005 arriva la nuova sfida, conquistare la periferia delle periferie di Port-au-Prince. «La sicurezza è la priorità in questo quartiere, senza di quella nessuno verrebbe ad aiutarci». Come c’è riuscita? «Responsabilizzando la gente, ho spiegato che se, ad esempio, avessero rubato i medicinali dell’ambulatorio, sarebbero stati loro stessi a rimetterci perché non li avremmo potuti più curare». Non teme le ritorsioni di gang o la delinquenza comune: «Qualche tempo fa una delle nostre volontarie è stata rapinata. Io ho chiamato i responsabili del villaggio e ho spiegato che avrei chiuso l’ambulatorio finché non fosse stato restituito tutto. Ho chiuso per una settimana. L’ottavo giorno la refurtiva è stata posata davanti al cancello». Il coraggio di suor Marcella è anche quello di non scendere a compromessi se in gioco ci sono i destini del villaggio italiano e della gente di Waf Jeremie. «Non si può venire qui e pensare di essere i padroni. Alcune grandi organizzazioni sono arrivate per aiutarci nell’emergenza colera e hanno creduto di poter disporre a proprio comodo delle nostre strutture. Non è così». Dall’inizio dell’epidemia, l’ambulatorio - 39 posti - ha ospitato centinaia di persone, arrivate anche da lontano: «Ma quando tutto sarà finito, questo posto deve tornare alla vita di sempre, abbiamo molti progetti da realizzare». A differenza di altre iniziative umanitarie che operano sull’isola, «Vilaj Italyen» non è la risposta a un’emergenza, ma il riscatto di chi sembrava condannato alla schiavitù eterna della misera. Un riscatto reso possibile anche dal «miracolo italiano» di Suor Marcella Catozza, il guerriero col velo che ha conquistato la periferia delle periferie.