FERDINANDO SALLEO, la Repubblica 28/11/2010, 28 novembre 2010
QUEI MESSAGGI CIFRATI CHIAVE DELLA DIPLOMAZIA
- «I miei dispacci indecifrabili non hanno alcuna importanza»: così recitava, ma nel terso francese della corrispondenza diplomatica del giovane regno, il telegramma che il ministro degli Esteri, il generale Durando, aveva inviato al ministro d´Italia ad Atene, conte Mamiani, il quale aveva probabilmente chiesto la ripetizione di qualche telegramma che non si era potuto decifrare. Con questo memento destinato a inculcarci la modestia venivamo accolti quando entravamo in carriera. Se i dispacci del ministro non avevano importanza, figurarsi quelli che ci preparavamo a inviare, soprattutto pensando a quanto pochi sarebbero stati i nostri lettori.
Infatti, somiglia per certi aspetti a quella del giornalista la professione del diplomatico quando svolge le proprie valutazioni sul paese dove è stato inviato, sulla sua società, sull´economia e la cultura e soprattutto sul suo governo. Certo, scrivere per un solo lettore, anziché per le migliaia che leggono i giornali, è frustrante ed è paradossalmente quello che passa per la mente di un ambasciatore ogni volta che riferisce al ministro degli Esteri, al capo del Governo, al Presidente. Ma quanto è diverso il caso quando l´ambasciatore invece riferisce sul negoziato quotidiano che conduce per il proprio paese con il governo di accreditamento, e soprattutto quando, vero culmine della missione, suggerisce al proprio governo una linea di condotta da adottare, senza però poter prevedere se sarà ascoltato.
Tuttavia, dai rapporti che inviavano gli ambasciatori della Serenissima, lontani mesi di navigazione da Venezia, al tempo reale in cui si trasmettono oggi i telegrammi che le ambasciate inviano alla propria capitale sono trascorsi i secoli che la tecnologia ha scandito, ma la sostanza dei dispacci non è molto cambiata: riferire, valutare, proporre. La quantità dei telegrammi è aumentata esponenzialmente insieme con l´articolazione e l´intricatezza dei rapporti internazionali che spaziano ormai in tutti i campi dell´attività umana, quando la pace e la guerra, la sicurezza e la prosperità sono dimensioni strettamente collegate tra loro e la globalizzazione ha reso porose le frontiere e imposto la collaborazione in tutti i campi. Ormai, i dispacci sono redatti per la più parte dai colleghi che curano ciascun settore, poi rivisti, ricondotti a unità politica e firmati dall´ambasciatore che ne assume la piena responsabilità, ma conservando la sigla del redattore. Le due maggiori ambasciate in cui ho servito, Mosca e Washington, inviano oltre un migliaio di telegrammi l´anno di cui almeno un terzo hanno carattere lato sensu politico e sono inevitabilmente cifrati, il che ancora cinquant´anni fa avvelenava la vita dei giovani colleghi che dovevano fare l´operazione a mano sui cifrari o su macchine cifranti primordiali. Oggi, l´informatica ha risolto il problema consentendo di scrivere su apparecchiature sicure. O almeno così riteniamo…
Il traffico telegrafico, in partenza e in arrivo, viene effettuato senza soluzione di continuità all´ufficio cifra e telecomunicazioni da esperti cifratori muniti del nulla osta di sicurezza, appartenenti alla Farnesina o all´Arma dei Carabinieri. La classifica dei messaggi - con terminologia crescente, per esclusivo uso d´ufficio (cioè non destinato al pubblico), riservato, riservatissimo, segreto e segretissimo, quest´ultima classifica molto rara e protetta da speciali garanzie - corrisponde all´argomento trattato e alle valutazioni espresse. Il rimanente traffico telegrafico in chiaro riguarda materie non riservate, compresa la rassegna stampa quotidiana che talune ambasciate sono indiziate con sarcasmo di rimaneggiare e trasmettere in cifra come informazioni acquisite autonomamente.
Il destinatario formale dei dispacci è il ministro degli Esteri: la Farnesina invia poi «ai Palazzi» (Quirinale e Chigi) una raccolta dei più importanti, alle altre Amministrazioni quelli di competenza.
Lo strumento diplomatico principale a disposizione dell´ambasciatore è, per antica tradizione, un rapporto inviato direttamente al ministro degli Esteri - in rari casi al capo dello Stato dal quale gli ambasciatori mutuano la legittimità, o al capo del Governo - sotto forma di lettera personale, il «Signor Ministro», come si suole chiamarlo, in cui si consegnano i giudizi più confidenziali, quelli in cui l´ambasciatore esprime le valutazioni più gravi, negative se necessario, sulla situazione generale e su quella del paese dove opera, come sullo stato delle relazioni bilaterali e formula suggerimenti d´azione anche non privi di rischio per la propria posizione personale e per il proprio governo, ove divenissero noti al governo del paese dove opera o al pubblico.
L´utopica proposta di Woodrow Wilson contro la diplomazia della confidenzialità del tessuto negoziale - open covenants, openly arrived at - è stata discreditata da quasi un secolo per l´inevitabile deriva demagogica e propagandistica che rende più facili i conflitti: il caso del nucleare iraniano o quello della lotta contro il terrorismo e la proliferazione lo mostrano oggi chiaramente, se pur ve ne fosse stato bisogno. Ne impediatur legatio: nell´antica regola che ravvisa nella completa libertà di pensiero e d´azione dell´ambasciatore, nel solco delle sue istruzioni, la necessaria base dell´efficacia della missione diplomatica in cui deve quindi collocarsi la confidenzialità del rapporto con il proprio governo. Le istruzioni che l´ambasciatore riceve dalla capitale, uno Stato che parla per suo tramite, sono l´espressione più alta della sovranità politica nell´azione internazionale; i giudizi e le proposte che l´ambasciatore invia alla sua capitale partecipano del processo di formazione della volontà politica di un soggetto internazionale sovrano. In questo senso, la violazione della riservatezza della corrispondenza diplomatica è un precedente assai grave e pericoloso, un vulnus che può mettere a repentaglio la stabilità e la sicurezza dei rapporti tra le nazioni. Spetterà agli storici giudicare di quei fatti, della saggezza e della leggerezza, quando il tempo lo consentirà.