Antonella Rampino, La Stampa 28/11/2010, 28 novembre 2010
Un giorno incontro Jack Welch, il grande capo della General Electric. Jack, ma tu che fai altissima tecnologia nel militare, perché fabbrichi pure frigoriferi? “Proprio perché produco armi bisogna che ci sia un mio frigorifero in ogni casa americana”, mi rispose
Un giorno incontro Jack Welch, il grande capo della General Electric. Jack, ma tu che fai altissima tecnologia nel militare, perché fabbrichi pure frigoriferi? “Proprio perché produco armi bisogna che ci sia un mio frigorifero in ogni casa americana”, mi rispose. Sa, dopo l’89 il civile era strategico per un’azienda che operava nel militare, e noi abbiamo sempre cercato un’equilibrio anche perché subivamo il cosiddetto “dividendo della pace”. Era finita la Guerra Fredda...». Pescare nelle memorie di Fabiano Fabiani, che in Finmeccanica ha avuto due vite, e devono essere state le sue migliori se ancora dice «per me la Rai è stata la moglie, e Finmeccanica l’amante, l’esperienza più bella perché lì si produceva, si facevano i fatti capisce?», è come rovistare nella memoria di un dinosauro. Di questa sua amante proprio non vorrebbe parlare, ma quando la nomina - Finmeccanica - si erge dritto su se stesso e fa lo sguardo dell’aquila. «Ai miei tempi, con Prodi, questo avevamo deciso: metà civile, metà militare». Oggi, si capisce, non è più così. «Intendiamoci, Guarguaglini ho ragione di stimarlo come un bravo dirigente, e per giunta di formazione tecnologica...». Ce ne sono stati altri così? «Viezzoli ebbe l’idea di un’alleanza tra Alfa Romeo e Nissan, purtroppo la realizzazione fu piena di difetti ma c’era il progetto lungimirante di un’alleanza con i giapponesi...». «Vede» argomenta Fabiani fendendo a lunghi passi via Veneto, «io temo che su questa fase nella vita dell’Italia si abbattano i files di Wikileaks. Per il resto, il mercato dell’industria militare non è un mercato vero, semplicemente perché i mercati li fanno i governi. Non sono, come scrivete voi giornalisti, le imprese come Finmeccanica a fare politica internazionale. È il contrario. I governi si prenotano come acquirenti di programmi, soprattutto europei, e le imprese si preparano». Ecco, l’Europa. Forse è cambiata la geopolitica, forse è cambiata la politica estera italiana, che guarda e conta sempre meno a Bruxelles, e si volge invece verso Paesi come la Libia, la Russia, il Pakistan... «I governi hanno sempre fatto promozione. Tutti, non solo quello attuale. E poi certo, sapere che ho venduto un sistema di controllo aereo o ferroviario a un Paese diventa uno strumento importante di politica estera. Perché resti legato alla tecnologia italiana, alla mia manutenzione. E cosa crede, che non facessimo missioni all’estero anche noi?». Mi ricordo, sì, «mi ricordo una missione di Andreatta in Estremo Oriente, Malesia, Indonesia, e un paio col generale Franco Angioni, anche in Australia... Andreatta, da ministro della Difesa cercava fondi anche al di là dei tagli di bilancio, spulciava e magari vendeva qualche immobile, e sosteneva moltissimo la politica di difesa europea». Stagione di grandi acquisizioni europee, gli anni OttantaNovanta di Fabiano Fabiani in Finmeccanica. Sistemi civili, fabbriche automatizzate, sistemi di comando e controllo, missilistica, apparecchiature biomediche, robotica, microelettronica... «I francesi avevano una passione per la St Microelectronics, e prendemmo Bailey negli Stati Uniti, la Westland in Gran Bretagna che poi rafforza l’Agusta, Hartmann&Brown in Germania per il controllo dei processi continui...». Tutto finito? «No. Molte di quelle aziende sono state dismesse dopo di me. Ma Guarguaglini è stato bravo ad acquisire la Drs per essere presenti sul mercato americano, e a completare l’acquisizione della Westland inglese». I tempi scorrono, i decenni si accavallano. Fabiano Fabiani poi, prima di essere denominato come «l’Etrusco», riserva della Repubblica imperitura se anche Tommaso Padoa-Schioppa gli chiese alla bella età di 78 di farsi un paio di mesi in Rai, della quale per un soffio non diventa presidente, era addirittura «Napoleone». «Basta con quel Napoleone», urlò Bettino Craxi bloccandogli per tre anni la cessione dell’Efim. «Era un bellissimo accordo con Fiat, cedevamo la motoristica militare e ci prendevamo l’energia. Niente. Andarono da Craxi, e fu battaglia». L’Efim, azienda socialista perché alla presidenza filava un psi via l’altro. Fabiani legò con un socialista solo. «L’avevo conosciuto per la vendita dell’Alfa Romeo. Fino a quel momento, Finmeccanica fatturava 4mila miliardi di lire, dopo è volata sino ai 12mila di quando l’ho lasciata, ormai 16 anni fa. Fu Giuliano Amato a trasferirci le attività militari e ferroviarie di Efim, una decisione coraggiosa perché Efim era appunto un condominio socialista, e io un democristiano amico di Andreatta e Prodi». E fu Prodi, invece, a conferire all’azienda di Stato tutto il manifatturiero della Stet, «le elevatissime tecnologie di Selenia ed Elsag». Bei tempi? Un caratteraccio lei, un caratteraccio lui... «Convincemmo Prodi a quotarci in borsa, per una società pubblica è un elemento qualificante, sa? E poi così ci sganciavamo un po’ dall’Iri...». Oggi però basta un’inchiesta di «Report» per perdere il 5 per cento a Piazza Affari, per non dire di quelle dei magistrati... «Mi dispiace moltissimo per le indagini, spero proprio in un accertamento di non responsabilità. E quando si tratterà di sostituire Guarguaglini, il più lontano possibile, spero proprio che il successore sarà scelto all’interno. Finmeccanica non può essere guidata se non da chi ha nella propria storia quella cultura di gruppo, quell’attenzione ai mercati, e sì, anche quella tensione alle relazioni internazionali...».