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 2010  novembre 28 Domenica calendario

LUC BESSON

Grandi sogni, grandi progetti, grande entusiasmo: tutto, in Luc Besson, è bigger than life. Il tono di voce calmo, la sobrietà dei gesti, non devono ingannare: dietro la superficie tranquilla si nasconde una forza prepotente, inquieta, sempre protesa in avanti. «Il segreto di tanta energia - chiarisce subito - è nella mia condizione di eterno innamorato. Del cinema, che non perderà mai la capacità di farci sognare. E delle donne, più interessanti e più vicine al segreto dell´esistenza di noi uomini». Una duplice passione - il grande schermo, la metà femminile del mondo - che caratterizzano sia la personalità che la carriera del regista, sceneggiatore e produttore. Un cineasta che rappresenta meglio di chiunque la vocazione multiculturale, cosmopolita e nomade della settima arte. Un francese zingaro che ha realizzato film in almeno tre continenti, con attori e autori di ogni nazionalità. Ma anche un prodigioso talent-scout di attrici: tra loro la Natalie Portman appena undicenne di Leon, la Anne Parillaud di Nikita, la Milla Jovovich de Il quinto elemento e di Giovanna d´Arco.
«Adoro le signore spiazzanti - rivela - forti, toste, politicamente scorrette, lontane dal cliché della fragilità. Mi piacciono quelle che urlano, che fumano, che menano le mani. Che sanno difendersi da sole: anche senza un´arma in pugno». E di personaggi così, per il grande schermo, lui ne ha creati tanti. In un continuo rimando tra cinema e realtà che emerge anche da questa lunga e appassionata conversazione romana, al tavolino di una stanza dell´Hotel Eden. Un colloquio in cui, tra una tazza di tè e l´altra, il cinquantunenne Besson - barba ispida, giacca casual, T-shirt nera - descrive così la genesi delle sue pellicole: «Tutto ha origine sempre da un colpo di fulmine. È una love story: cammini per strada, vedi una donna, ti colpisce, non puoi fare a meno di seguirla. Perdi la testa. Lo stesso mi accade quando mi imbatto in un personaggio, in un libro, in un fumetto che mi piacciono: scatta qualcosa, dentro di me. Devo per forza trarne un film, e non vedo l´ora di cominciare».
Un rapporto quasi erotico, con l´oggetto del suo lavoro. Forse anche per questo Besson - uomo dalla vita sentimentale inquieta - ha spesso unito cinema e legami personali, condividendo il set con tutte e tre le sue mogli. La prima, Anne Parillaud, madre della sua primogenita Juliette, ha dato volto e corpo a Nikita. La seconda è Milla Jovovich, top model che lui ha trasformato in star degli action-movie. La terza, l´attuale, è Virginie Silla, che gli ha dato tre bambini e che ha prodotto il suo Adèle e l´enigma del faraone: «Per me non è difficile avere un rapporto professionale con le donne che amo: avere accanto la mia partner, durante le riprese, non ha mai influenzato il mio modo di lavorare. Nel caso di Virginie tutto è andato particolarmente liscio: ci univa l´amore per il progetto. E poi il boss era lei, è lei che mi ha assunto. L´unica differenza, in questi casi, è che puoi permetterti di baciare davanti a tutti la produttrice o la protagonista del film…».
Attenzione, però: Besson tiene molto a sottolineare che il confine tra il privato e il professionale è sacro. «Moglie o non moglie, quando esco dal set e torno a casa stacco il telefonino, e il lavoro me lo lascio completamente alle spalle. Negli ultimi dieci anni, non ho mai invitato a cena da me qualcuno che fa parte del business. Tengo molto a preservare da ogni contaminazione la mia vita personale: so essere anche molto aggressivo, nel difendere i miei spazi». E in questi territori intimi protetti con tanta foga ha un ruolo fondamentale la sua attività prediletta: la scrittura. «È la mia droga - rivela - non posso stare nemmeno un giorno senza scrivere. Per questo la sceneggiatura è la parte del mio lavoro che amo di più, rispetto alla regia o alla produzione. Primo, perché quando scrivi sei solo. Secondo, perché sei libero: come scrittore posso immaginare una scena con ventiduemila cammelli che avanzano, come produttore al solo pensiero mi viene un attacco di cuore! Terzo motivo, il più importante: nello scrivere siamo tutti uguali. Nel mondo ci sono sei miliardi di persone che hanno la possibilità di prendere carta e penna e scrivere qualcosa. Come regista, invece, non sono uguale agli altri, sono un privilegiato: ho un bagaglio di esperienza, e un budget, che tanti colleghi più giovani non possono permettersi».
Ci sono valori che Besson sente nel profondo e che probabilmente sono legati alle sue origini, all´elemento in cui è praticamente nato: l´acqua. Figlio di due istruttori di sub, Luc da bambino e adolescente vive un´esistenza girovaga, nei vari Club Med dove i suoi genitori vengono ingaggiati. Anche lui sceglie il mare come destino, vuole diventare biologo specializzato in delfini, ma un incidente gli preclude la possibilità di immersioni. Così cambia completamente, va a Parigi, si trasferisce negli Usa, a ventiquattro anni realizza il primo lungometraggio, Le dernier combat. E se qualche tempo dopo il suo amore per l´oceano viene celebrato anche al cinema, in The Big Blue (1988), ancora adesso ammette di non aver mai superato l´attrazione quasi ipnotica per il passato: «Spesso la gente mi dice che io nel cuore sono rimasto un bambino. Ed è così: sento ancora molto le emozioni e i desideri della mia infanzia, ne ho una memoria precisissima. Di allora mi è rimasta la voglia di esplorare, di cercare, di non fermarmi».
Un´inquietudine impossibile da placare. Anche se, nel lavoro, un punto fermo c´è: lo schermo cinematografico è e deve restare grande. «Credo ancora nella magia della visione collettiva, nel buio della sala. Sono per la teoria della separazione dell´in e dell´out. Ci sono cose che devi fare dentro casa: il sesso, guardare la tv. E poi ci sono le attività esterne: shopping, teatro, passeggiate al parco. Per me guardare un film fa parte di questa seconda categoria: il rito per cui duecento persone, insieme, tengono gli occhi incollati a uno schermo di ventri metri. Voglio questa emozione. È come per il calcio: alla pay-tv o allo stadio, sono due esperienze completamente diverse». E non è un desiderio destinato a spegnersi: «Non solo le persone della mia età, anche un ragazzino di dieci anni avrà sempre voglia di sognare davanti al grande schermo. Altro che morte del cinema: la fiaba, il c´era una volta l´uomo li coltiva da milioni di anni, da quando i primitivi cominciarono a fare disegni nelle caverne - la prima forma mai esistita di drive-in. Quelle che proprio non mi interessano sono le piccole storie per piccoli schermi (blackberry, cellulari): le rispetto, ma non fanno per me».
E non è solo una questione estetica. Perché in gioco c´è un altro valore fondamentale: la possibilità di scelta. «La cosa bella del cinema è la pluralità. Io come spettatore voglio essere in grado di scegliere tra l´ultimo Woody Allen, un vecchio Fellini o il mio Adèle e l´enigma del faraone. Dipende dal giorno, dallo stato d´animo. È questa la vera ricchezza che abbiamo. Ed è per questa forma di libertà che dobbiamo combattere: il pericolo è avere dappertutto lo stesso film, stile Transformers. Sia chiaro, non ho niente contro questo genere di pellicole: andare coi figli a vederle è un´esperienza molto piacevole. Diciamo che vorrei vivere in un mondo in cui ci sono sia i ristoranti a tre stelle che i fast food; le Ferrari, ma anche le smart car».
È un fiume in piena, Besson. Torrenziale, nel parlare delle sue passioni. Ancora di più quando si passa ai progetti. Che sono tanti: «Come produttore ho in lavorazione una sorta di Nikita in salsa messicana, con protagonista la Zoe Saldana di Avatar, e una pellicola di fantascienza con Guy Pierce. Poi tra il 2011 e il 2012 voglio fare una storia alla Inception: all´epoca de Il quinto elemento gli effetti speciali erano primitivi e non ho potuto realizzare tutto ciò che volevo». Ma la più faraonica, tra le sue iniziative, è la costruzione della prima Cinecittà francese: «Era assurdo che il mio Paese, leader europeo con 251 film prodotti ogni anno, non avesse i suoi studios, come i vostri di Roma, o gli inglesi Pinewood, o i tedeschi Bavaria. Così sette anni fa ho avuto l´idea di metterli su io: sono attualmente in costruzione (verranno inaugurati nel maggio 2012) a Saint-Denis, periferia parigina dura, pericolosa. Ma che per me è meglio di tante altre: ci vive gente meravigliosa».
Anche sull´argomento banlieue, dunque, un punto di vista per nulla benpensante. Poco in linea con le posizioni del suo governo: «Purtroppo la Francia sta virando pericolosamente verso destra. Pensiamo alle misure anti-rom di Sarkozy, avanzate per motivi biecamente elettorali. Se c´è chi ruba, sbattiamolo in galera: ma colpire indiscriminatamente tutti i neri, tutti gli ebrei, un intero popolo, è inaccettabile». E mentre pronuncia queste ultime parole, una sfumatura dura, metallica, trapela - per la prima e unica volta - dalla sua voce tranquilla.