Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Oggi il ministro Grilli riferisce in Parlamento sull’affare Mps, e si limiterà a dire, quasi certamente, che la banca, come ha già ribadito ieri Bankitalia, non sarà commissariata, che il suo ministero non aveva compiti di vigilanza, dato che questa spetta appunto alla Banca d’Italia, che non vi sono pericoli di sistema perché i 3,9 miliardi presi in prestito da Siena saranno più che sufficienti a parare i troppi colpi di questi anni. Ieri il titolo, partito alla garibaldina, s’è sgonfiato nel corso delle contrattazioni e alla fine ha chiuso piatto. L’Europa ci invita a stare attenti, la corsa a farsi ridare i soldi di parecchi correntisti è rallentata rispetto ai primi giorni, si aspetta che la magistratura trovi le prove della tangente, su cui tutti giurano, senza però avere riscontri (per ora).
• Ingroia ha detto che sente l’odore delle tangenti.
Sì, e ha aggiunto che bisogna farla finita con l’intreccio tra politica e banche. La bustarella, si dice, sarebbe di due miliardi o di un miliardo e mezzo. Avrebbero pappato non solo i toscani, ma anche gli spagnoli. L’attuale amministratore delegato di Siena, Fabrizio Viola, incontrando ieri la stampa estera, ha tuttavia negato che nell’operazione Antonveneta siano state trovate tracce di mazzette. I giudici stanno studiando un rapporto di otto pagine consegnato loro da Nicola Scocca, che fu direttore finanziario della Fondazione, mandato via alla vigilia dell’acquisto di Antonveneta perché l’operazione non gli piaceva. Scrive Scocca: tra il 2001 e il 2005 la Fondazione Mps «si stava comportando come una famiglia che spendeva più di quanto si fosse posto come obiettivo di guadagno nel medio-lungo termine, in altre parole stava erogando non guadagni bensì patrimonio». Scocca ha ragione, secondo i pm: il patrimonio di Mps era di 13 miliardi nel 2005 ed è oggi di uno. I magistrati pensano che, oltre al resto, ci siano state manovre per far lievitare il valore del titolo in Borsa.
• Naturalmente bisogna considerare che i valori di Borsa sono precipitati per tutti, e in qualche misura in tutto il mondo.
Al momento della fusione, Intesa Sanpaolo valeva 100 miliardi e oggi si colloca a stento sopra i 20.
Cioè è scesa di un quinto, mentre il Monte è precipitato di tredici volte. È l’effetto di quella impressionante sequenza di derivati con cui la dirigenza senese ha abbellito i conti, chiuso i bilanci in (falso) attivo e distribuito dividendi. Di questi derivati se ne scopre in pratica uno al giorno: dopo Nova Italia, Santorini e Alexandria sono spuntati anche Patagonia e Anthracite. Mentre il prestito da un miliardo (travestito da aumento di capitale) con cui si sono finanziati per l’acquisto di Antonveneta si chiama «Fresh», cioè «Floating rate equity-linked subordinated hybrid preferred securities». Sulla natura dei troppi derivati dovremmo saper tutto il 6 febbraio: quel giorno è stato convocato apposta un cda delle banche. Intanto sappiamo che i Btp gravati da derivati o simili ammontano a un valore di 17 miliardi. Secondo giudizi che vengono dalla Banca d’Italia, in pancia al Monte ci sono 6,8 miliardi di titoli di qualità così bassa che non sarà possibile presentarli alla Bce come garanzia per altri finanziamenti.
• Secondo Grillo, le perdite ammontano a 14 miliardi.
Il presidente Profumo, però, gli ha dato subito sulla voce.
• Mi spiega questo intreccio con la Fondazione, che non mi è proprio del tutto chiaro?
È una storia lunga. Un tempo esisteva un bel gruppo di banche pubbliche, totalmente controllate dai partiti. All’inizio degli anni Novanta i conti di queste banche erano talmente malmessi che il presidente del consiglio del tempo – Giuliano Amato – le affidò a Fondazioni che avrebbe operato con calma per privatizzarle, cioè venderle. Passati una ventina d’anni, le Fondazioni (88 in tutta Italia) stanno ancora lì a baloccarsi e lucrare con i loro istituti di credito. I partiti non sono affatto usciti di scena: sono loro a nominare i vertici delle Fondazioni, le quali stanno bene attente a mettere alla testa delle banche dei loro omologhi. A Siena la cosa raggiunge un picco grottesco: su 16 consiglieri, 14 sono di nomina politica. E nel cda del Monte i due terzi degli amministratori sono politici.
• Mi spiega anche questa smania di Mps di comprarsi Antonveneta?
Nasceva dal bisogno di crescere e tener testa ai concorrenti che ingigantivano grazie alle fusioni. Ma sposarsi con Mps era impossibile per chiunque: la condizione preliminare di ogni matrimonio era che il nuovo soggetto stesse a Siena e lasciasse le redini del comando alla Fondazione. Che ha sempre badato a tener fuori nuovi soci: avrebbero portato capitali freschi, ma messo in pericolo il controllo. Ieri tuttavia dalla Fondazione hanno fatto sapere di esser pronti a scendere sotto quel 34% custodito tanto gelosamente. Il problema è che bisognerà anche cambiare lo Statuto: in questo momento nessuno può possedere più del 4% della banca, fatta eccezione, naturalmente, per l’attuale socio di maggioranza.
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