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 2013  gennaio 29 Martedì calendario

«UCCELLI SULL’AEREO E MALTEMPO». E LE COMPAGNIE NON PAGANO I RITARDI

Sei atterrato con un forte ritardo e vuoi essere risarcito? In bocca al lupo. Se ricevi qualche soldo sei tra quei pochi, pochissimi, che ce la fanno. Almeno in una prima istanza. Perché, per il resto, è una lunga serie di «no». E per le ragioni più diverse. Dagli stormi di uccelli che si sarebbero abbattuti contro il velivolo alle tempeste che consiglierebbero di non decollare. Dalla ruota forata ai bagni fuori servizio. Dai vetri scheggiati alle porte interne che non si chiudono. E mentre prima molte compagnie almeno rispondevano, ora, se possono, non lo fanno più. «Oppure allestiscono una trafila lunga e complicata che scoraggia il consumatore».
Uno studio mette nero su bianco le cifre e alcuni dei responsabili del fenomeno. E spiega come le cose siano peggiorate, paradossalmente, dopo il 23 ottobre 2012: il giorno in cui la Corte di Giustizia europea ha ribadito che i passeggeri di voli che atterrano con ritardi superiori alle tre ore — «a meno di cause di forza maggiore o eventi eccezionali» — hanno diritto a una compensazione pecuniaria «tra i 250 e i 600 euro».
La sentenza, per ora, non sembra aiutare molto. «Soltanto l’8,4% dei passeggeri viene risarcito», sintetizza la ricerca curata da Flight-delayed.co.uk, sito che affianca i clienti nella richiesta danni alle compagnie aeree. E l’altro 91,6%? «La loro domanda viene respinta oppure ignorata». Le «cause di forza maggiore» o le «circostanze straordinarie» sono le principali motivazioni che portano le società a dire no: tra questi c’è un 40% delle risposte che si appella a «difficoltà tecniche imprevedibili». Termine generico che, «soltanto dopo una richiesta più approfondita — precisa il dossier — scopriamo trattarsi spesso di bagni intasati o portelloni difettosi». «Nonostante la Corte di Giustizia europea abbia stabilito che le "difficoltà tecniche" non possono valere come giustificazione per non risarcire i passeggeri, molte aziende continuano a farlo», spiega Raymond Veldkamp, portavoce di Flight-delayed.co.uk.
I dati si riferiscono al periodo luglio-dicembre 2012, prendono in esame una cinquantina di compagnie aeree e le richieste di 10.412 passeggeri. Il 23 ottobre, almeno a leggere le cifre, sembra aver cambiato molte cose. «Da quel giorno le società sono diventate meno collaborative». È crollato, per esempio, il numero delle risposte alle richieste di risarcimento entro le sei settimane obbligatorie. «Se prima otteneva una replica il 45,4% dei clienti, dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea il tasso è sceso al 24,1». «Colpa» più dei «colossi» che delle low cost. In parallelo, sono aumentati i rigetti per «condizioni meteo avverse» (dal 3,8 al 12,1%), per l’«arrivo in ritardo del velivolo» (dal 4,8 al 6,3%), per «collisione con uno stormo di uccelli o altri oggetti» (dall’1,1 al 4,5%) o senza un motivo (dal 6,5 al 7,6%).
«In prima battuta le compagnie tendono di rispondere sempre di no, anche se il passeggero ha ragione», spiega Maurizio Amerelli, giurista dell’associazione Altroconsumo. «Ma più il consumatore va avanti nella richiesta di indennizzo, più c’è la possibilità che l’azienda presti attenzione». Non sempre è così. Soprattutto per tre motivi. Il primo: «Molti decidono di non fare nulla perché scoraggiati dalla lunga trafila», ragiona Amerelli. Il secondo: «Le richieste vengono fatte individualmente, quando sarebbero più forti quelle in gruppo». Il terzo: «In pochi conoscono le norme europee a tutela del consumatore». Soltanto il 7% dei viaggiatori, secondo Flight-delayed.co.uk. «Quando si verifica un disservizio le compagnie aeree dovrebbero informare i clienti delle cose che possono fare — continua il giurista di Altroconsumo — ma questo non succede sempre». Quindi che fare se il volo arriva quattro, cinque ore dopo? «Intanto conservare il biglietto: sembra banale, ma in molti se ne sbarazzano troppo presto», suggerisce Amerelli. Poi bisogna «raccogliere una prova fotografica del ritardo, scattando un’istantanea al tabellone dell’aeroporto». Quindi «cercare di coinvolgere anche altri passeggeri dello stesso volo». Poi aspettare. E, a leggere il report di Flight-delayed.co.uk, incrociare le dita.
Leonard Berberi