Filippo Ceccarelli, la Repubblica 29/01/2013, 29 gennaio 2013
ADDIO QUARESIME E PENITENZE FISCALI ECCO I GIORNI DEL PROFESSOR PROMESSA
Ah, le tasse, le tasse! Per un pugno di voti, o forse più di un pugno, Mario Monti in campagna elettorale dice: avevamo scherzato. O magari era l´opinione pubblica a non aver compreso bene.
I sacrifici, la quaresima, la penitenza, l´austerity, il rigore, «stringere la cinghia» spiegava il presidente del Consiglio assicurando nella conferenza stampa di fine 2011 che la lotta all´evasione era «una priorità assoluta» del governo, «una lotta senza quartiere» aggiungeva a Che tempo che fa. E a un certo punto, dopo i blitz a Cortina, a Portofino, a via Montenapoleone, a Firenze e a Roma, il tema fiscale, le cartelle di Equitalia, tutto s´era in qualche modo intrecciato al dramma dei suicidi. Studi, statistiche, è vero, non è vero.
Ah, le tasse! Però Monti teneva duro. Se la prese anche con il «buonismo», alleato del peggio. Il 30 di aprile, dopo che l´astuto Alfano aveva protestato con lo Stato troppo lento a dare e troppo svelto a chiedere, e quelle anime perse dei leghisti avevano addirittura rilanciato la disobbedienza fiscale, beh, la conferenza stampa del presidente del Consiglio s´era aperta con le seguenti parole: «Vorrei iniziare con una parola di sdegno».
E già. Guai a incoraggiare giustificazioni, alzate di testa e speranze in materia fiscale. Chi ha cancellato l´Ici, proseguiva l´altero tecnocrate senza menzionare quel demagogo e sprecone di Berlusconi, l´ha fatto senza valutarne le conseguenze; ergo le responsabilità dell´odierna pressione fiscale pesano sul governo di centrodestra. «Tutti invocano la riduzione delle tasse, sembra quasi - suonava la gelida indignazione di Monti - che il governo si diverta a mantenerle elevate».
Ora, divertirsi no. In fondo Giulio Andreotti nel 1977 si limitò a stampare dei francobolli con l´articolo 53 della Costituzione: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Ma la trovata filatelica, evidentemente, non valse a rallentare l´evasione, come si capì di lì a poco allorché il ministro Visentini, che pure era un signore, ebbe a qualificare il sistema fiscale nel suo complesso: «uno schifo».
E tuttavia nella segnaletica e nell´immaginario pre-elettorale del Governo dei Sapienti le tasse giocavano un ruolo tutt´altro che secondario. Non si arrivava ai ragionevoli eccessi di Tommaso Padoa Schioppa che a suo tempo (2007) riconobbe: «Dovremmo avere il coraggio di dire che le tasse sono una cosa bellissima e civilissima». Né a quelli, decisamente più grotteschi, toccati nel 1996 quando ancora l´euro-tassa non era stata ufficialmente emanata e il ministro Visco fece emettere una nota in cui si dava conto dell´arrivo di fax di soddisfazione: «C´è addirittura gente che, esonerata perché a basso reddito, ha chiesto di poter offrire un contributo volontario, sia pure in proporzioni ridotte» proseguiva l´indimenticabile comunicato.
E tuttavia Monti non perdeva occasione per manifestare il proprio disappunto dinanzi all´espressione «mettere le mani nelle tasche»: oltre che stupida, la trovava diseducativa. E al meeting di Comunione e liberazione - che con il senno di poi non era proprio la sede più adatta per dirlo - comunicò di aver raccomandato ai dirigenti della Rai di mettere al bando in tv la parola «furbi» per indicare gli evasori fiscali, la pedagogica esortazione trovando la sua ragione nel fatto che «non si possono trasmettere nemmeno in modo subliminale i disvalori che distruggono la società italiana».
Ecco, con ragionevole approssimazione si può dire che la fisco-latria montiana proseguì fino al giorno in cui, fatto osservare che pure la detestabile Imu era una creatura che Berlusconi aveva dovuto promettere all´Europa, il premier disse, più o meno: chi la vuol togliere, poi dovrà raddoppiarla. Era appena il 23 dicembre scorso.
Poi, come tutti sanno, e ancora di più lo sanno tutti quelli che sono discesi e saliti in campo, è cominciata appunto la campagna elettorale. E allora, anche sulle tasse: trallallero e trallallà.