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 2013  gennaio 29 Martedì calendario

AL VERTICE ABI ARRIVA PATUELLI “VOLTO PAGINA”

La missione di Antonio Patuelli? «Voltare pagina», come ha spiegato ai tanti che ieri lo hanno chiamato per congratularsi della sua designazione a nuovo presidente dell’Associazione bancaria italiana.
Voltare pagina dopo il pur prevedibile scivolone di Giuseppe Mussari, il suo predecessore inchiodato sulla via di Siena ad opache manovre di bilancio nel Monte dei Paschi. E voltare pagina presto per superare il fatto che - di questo Patuelli è ben conscio - nella lunga storia dell’Abi non c’è stata traccia, almeno dal secondo dopoguerra in poi, di un presidente dimissionario.

Missione difficile, insomma, quella del vulcanico e poliforme imprenditore agricolo-ex-parlamentare-banchiere, che ormai da qualche lustro ha abbandonato il Palazzo, ma di palazzi ne frequenta molti, continuando a guidare la Cassa di Ravenna. Lui conta, come sa bene chi lo conosce, di rifarsi ai suoi numi tutelari Luigi Einaudi e Giovanni Malagodi. Il primo che con le sue opere, a partire da «La difficile arte del banchiere», sostiene Patuelli, offre tutt’oggi una guida «culturale ed etica» a chi svolge la professione di amministrare i soldi altrui, il secondo di cui il presidente designato dell’Abi fu allievo quando lo stesso Malagodi da banchiere si trasformò in politico, per insegnare ai suoi discepoli «che Tocqueville aveva vinto su Marx». Cenni biografici di un uomo che alla sua biografia dedica estrema attenzione. Tanto per capirsi Patuelli conserva meticolosamente archiviati, tutti gli articoli di giornale che parlano da lui, ritagliati dai dieci quotidiani circa che ogni giorno, da venticinque anni, sfoglia con attenzione. Facile così che non sbagli una data, come quella del 9 febbraio ’94 in cui dichiarò in un’intervista che, contrario alla nuova legge elettorale, non si sarebbe ricandidato «Da allora ho stracciato tutte le tessere e non ne ho più prese, ho fatto solo il presidente della banca», è la risposta standard a chi gli domanda se con la sua nomina all’Abi le commistioni tra credito e politica non finiranno per aumentare.

Del resto sarebbe un errore incorniciare il banchiere Patuelli alla sola dimensione politica e alla sua tradizione liberale in una terra peraltro mazziniana come quella di Romagna, dove infatti - ha ricordato spesso - «venivo eletto con i resti». Come banchiere - da ben diciott’anni è presidente della Cassa di Ravenna, fondata nel 1840 dal conte Ippolito Rasponi Delle Teste - ha saputo anche portare la piccola cassa di risparmio romagnola a un invidiabile stato di salute. Molta diffidenza verso la finanza creativa, e altri strumenti alla moda sono diventati - di questi tempi - altrettanti punti a favore per i 26 mila soci che sul sito della banca, a testimonianza del suo rapporto con la terra e l’agricoltura, trovano anche le previsioni del tempo. Così non suona casuale l’inciso di una delle ultime comunicazioni, lo scorso settembre, al mercato: «Il gruppo Cassa non ha mai privilegiato l’alto rischio, né l’uso dei derivati, sostiene la sana e prudente economia produttiva, vieta le stock option al proprio interno e le liquidazioni che eccedano il contratto nazionale di lavoro». Una sorta di contromanifesto, alla luce delle ultime vicende senesi.

Politico - almeno in passato - e banchiere, dunque. E proprio alla luce di questa doppia vita - come il suo maestro Malagodi, anche se l’ordine dei fattori è invertito Patuelli è di sicuro un uomo che sa trattare con sicurezza quella materia sfuggente che è il potere. I cronisti finanziari meno giovani se lo ricordano già un quarto di secolo fa trattare le questioni e le nomine del credito in nome del Pli. In questi anni è stato attivissimo come vicepresidente dell’Acri - a fianco dell’ancora più attivo Giuseppe Guzzetti che adesso dovrà probabilmente lasciare, mentre da vicepresidente dell’Abi ha inventato proprio il «lodo Patuelli» che stabilisce l’alternanza al vertice tra grandi e piccole banche e di cui diventa adesso, oltre che il teorico, il primo sperimentatore empirico. Non parlategli, però, di «sistema bancario». Tra le convinzioni più radicate del presidente designato c’è proprio quella che di «sistema» delle banche non si possa parlare: ci sono i grandi gruppi, le piccole casse, quelle straniere e le popolari. «L’Abi - ha spiegato più volte - è l’unica associazione che riunisce imprese tutte in concorrenza tra loro e che fanno lo stesso mestiere». Anche se - è il corollario non enunciato ma espresso dal cambio della guardia - in modo assai diverso.