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 2013  gennaio 29 Martedì calendario

L’ULTIMA BATTAGLIA DI SHARON DIRCI CHE C’È VITA NEL COMA

[L’ex premier e generale israeliano è da 7 anni in stato vegetativo; i medici: dà segni di «intensa attività cerebrale». Così comunica con i familiari] –
Ariel Sharon è vivo anche se, al momento, ancora non lotta insieme a noi. L’ex primo ministro di Israele, ex non perché sconfitto alle elezioni ma perché messo fuori gioco da una terribile emorragia cerebrale per arginare la quale è stato sottoposto a due lunghe, non risolutive operazioni chirurgiche, dopo 7 anni dall’entrata in coma ha ricominciato a comunicare con i suoi cari.
Purtroppo non si tratta di bei discorsi, di grandi chiacchierate, ma di mute reazioni alla voce del figlio Ghilad e alle immagini della villa di famiglia. Dopo sette anni di immobilità, i macchinari di un centro medico della biblica Bersabea (che i media italiani chiamano Beer Sheeva per irreligiosità o semplicemente per ignoranza dell’Antico Testamento) hanno registrato una vivace attività cerebrale in colui che veniva considerato in stato vegetativo irreversibile.
Questa può sembrare una notizia di politica estera (diciamo la verità: quanti sono gli italiani che, senza il soccorso di enciclopedie cartacee o elettroniche, saprebbero entrare nei dettagli della vita di Ariel Sharon?) e invece è una notizia di politica tout court. Se in questa campagna elettorale la politica esistesse davvero, se non fosse tutta assorbita dall’economia, dalla crisi, dalle tasse di Monti e dalle banche di Bersani (argomenti importantissimi, per carità, però non esaustivi), ci sarebbe materia per una grande battaglia ideale.
Che fra l’altro non sarebbe troppo lontana dalla sensibilità di Berlusconi, personaggio a cui fra cent’anni verranno dedicate strade non perché fondatore di alcune televisioni o capo di alcuni governi ma perché nel febbraio 2009 cercò di salvare la vita di Eluana Englaro con un decreto- legge che il presidente Napolitano si rifiutò di firmare con scuse farisaiche che fra molto meno di cent’anni gli varranno l’inferno: girone degli ignavi, se mi ricordo bene Dante. Anche Eluana da anni non si alzava dal letto, anche Eluana era viva come Sharon e come chi in questo momento scrive e come voi che in questo momento leggete: vivere non è sinonimo di sgambettare, si può sussistere nelle più svariate condizioni fisiche e mentali e chi ha la fortuna di camminare e parlare dovrebbe avere il buon gusto di non arrogarsi il diritto di considerare morto chi non cammina e non parla però respira e forse si emoziona come il vecchio politico israeliano quando sente la voce del figlio.
Che cosa sappiamo noi della vita interiore di Eluana Englaro? Forse negli ospedali in cui era ricoverata non c’erano le sensibilissime attrezzature che hanno segnalato il pensiero di Sharon, ma non fingiamo che sia questo il problema: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, anche se il cervello di Eluana avesse fornito un significativo sussulto i nichilisti al potere avrebbero detto che non è vita quella, che bisognava assolutamente spegnerne la fiammella in nome della cupidigia di morte che spinge questa tristissima Europa verso l’estinzione.
In Italia abbiamo avuto un caso non troppo dissimile da quello di Sharon, protagonista Beniamino Andreatta. Ve lo ricordate? Come Sharon era un politico, come Sharon era corpulento, come Sharon disponeva di una famiglia generosa che preferiva averlo vivo (anche se non troppo in forma) piuttosto che morto. Il ministro democristiano è morto dopo sette anni di coma e non furono sette anni di nulla ma sette anni di dialogo silente coi famigliari e gli amici in visita, e chi lo nega produca un esame di risonanza magnetica funzionale che mi smentisca. Sette anni, intervallo di tempo tipicamente biblico, come quello intercorrente fra l’emorragia cerebrale di Sharon e la sua altrettanto cerebrale reazione: forse non significa nulla o forse significa che la morte non ha fretta, che siamo noi a volerci sbarazzare il più velocemente possibile di chi non è abbastanza performante.
Le cronache mediche riportano risvegli molto ritardati, c’è il caso di un giovane belga vittima di un incidente d’auto risvegliatosi dopo 23 anni 23. Difficilmente, vista l’età avanzata, sarà questo il caso del politico israeliano (anche se Bersabea è in Terra Santa, terra di resurrezioni), eppure, ne sono certo, la sua mente non sta comunicando soltanto al figlio ma anche a noi, apparentemente così remoti dal punto di vista geografico e sentimentale. Sharon, vecchio combattente, si sta sforzando di dirci che i vivi non sono morti: concetto semplicissimo che però i cervelli dell’Europa eutanasiaca non riescono ad afferrare.