Giuseppe Chiellino, IlSole24Ore 29/01/2013, 29 gennaio 2013
«UNA STORIA DI OCCASIONI MANCATE»
Andrea Morante, oggi socio di minoranza e a.d. di Pomellato, conosce bene la storia recente del Monte dei Paschi. Tra il 1993 e il 2008 ha guidato l’investment banking di Credit Suisse First Boston per il Sud Europa e ha seguito le principali privatizzazioni italiane. È stato a lungo advisor della Fondazione Mps e nel 1999 (mentre con Franco Bernabè difendeva Telecom dall’opa di Colaninno) ha portato in Borsa il Monte.
Una storia fatta di occasioni mancate, scelte sbagliate e ingerenze della politica nella gestione della banca. È così?
Per il Monte Paschi un matrimonio con un’altra banca è subito apparso come un test difficile per due principali motivi: il terrore della Fondazione di perdere il "controllo" inteso come maggioranza assoluta e il forte ed incestuoso legame col territorio che rendeva, per definizione, complessi i matrimoni con partners di un’altra "contrada".
Quali sono queste occasioni mancate?
La forte spinta alle aggregazioni bancarie che prevaleva in quel periodo ha fatto sì che anche la Fondazione analizzasse, in ritardo, una serie limitata di opzioni strategiche: Bnl, San Paolo di Torino, Abn Amro, Capitalia e AntonVeneta.
Perché sono saltate?
Il matrimonio con Bnl è saltato poco prima di entrare in chiesa, principalmente perché la Fondazione senese non ha voluto diluire il suo controllo sotto il 30% come suggerito da Banca d’Italia. La decisione invece di puntare sull’AntonVeneta è stata probabilmente dettata da due considerazioni: era uno dei pochi targets disponibili e poteva essere acquisita "cash" senza quindi tutte le complessità di convivenza associate ad un "matrimonio".
E Capitalia? Paura di Geronzi?
L’aggregazione con Capitalia era forse la più interessante fra quelle contemplate perché Capitalia aveva, all’epoca, una valorizzazione molto bassa, la Fondazione avrebbe potuto mantenere un controllo relativo e la Banca d’Italia l’avrebbe vista di buon occhio. Ma è stata scartata subito per timore gestionale e per timore reverenziale nei confronti di Cesare Geronzi, che rischiava di occupare la poltrona della presidenza.
Il legame con la politica è stato determinante in questa serie di decisioni quanto meno condizionate dal rapporto stretto con gli enti locali?
I legami fra i decision makers e la politica sono sempre difficili da stabilire o evidenziare. Comunque le nomine dei presidenti di Fondazione e di MPS sono sempre state di appannaggio politico. Anche dopo la quotazione.
È vero che la decisione su AntonVeneta è stata presa senza fairness opinion?
Mi risulta che la decisione di acquisire AntonVeneta sia stata presa in maniera autonoma dalla Fondazione e dalla banca. Se vi è stata una fairness opinion sarà stata richiesta a cose fatte e quindi a valle di una decisione di prezzo già convenuta. Temo che la combinazione dell’assillo di dover fare qualcosa e della tempistica sfortunatissima siano state alla base di un’acquisizione disastrosa. Comprare una banca non è un esercizio facile come il Monte aveva già sperimentato con la Banca del Salento.
Tornano in mente Banca 121 e le vicende "4 You e "My Way". Ma anche il collegio elettorale di Massimo D’Alema, Gallipoli. Hanno prevalso anche in questo caso logiche di appartenenza politica?
Nel caso della Banca del Salento, oltre al prezzo eccessivo pagato, ha giocato contro la decisione strategica di investire in una banca con una cultura nuova ed aggressiva totalmente diversa da quella del Monte, con problematiche di rigetto. Mettere il capo della Salento (de Bustis, ndr) a capo del Monte fu un doppio errore.
Mussari è arrivato al Monte dopo quella operazione. Quali sono le responsabilità dell’avvocato-banchiere?
La responsabilità principale è quella di coloro che hanno affidato un mandato così importante in un periodo così complesso ad un avvocato penalista che non aveva allora competenza bancaria e quindi non aveva un curriculum bancario adeguato per le responsabilità decisionali che gli venivano assegnate. A Mussari invece si può forse addebitare il fatto di essere stato molto decisionista e troppo sicuro di sé senza essere un banchiere di mestiere. Anche per Mancini (attuale presidente della Fondazione) ci si può porre la stessa domanda: ha il curriculum vitae e le competenze strategiche e gestionali per gestire attivi patrimoniali così importanti? D’altra parte, è qualcosa che si osserva spesso nella politica, di destra e sinistra, che incarichi vengano assegnati senza porre come prerequisito la reale competenza o l’esperienza.
Nelle sue parole c’è risentimento per non aver chiuso dossier importanti...
Più che di risentimento, parlerei di delusione per la forte distruzione di valore in un’importante azienda bancaria italiana. L’Ipo del ’99 si fece a 3,85 euro, oggi il titolo vale meno di 30 centesimi… Il colpo per Siena e la Toscana è duro da assorbire.
Lei ha lavorato per molti anni dall’estero sull’Italia. Questa vicenda peserà sulla reputazione del mercato finanziario e del sistema bancario italiani?
Le vicende del Monte Paschi sono sempre state viste con sospetto ed incomprensione da parte degli investitori ed operatori internazionali. L’andamento della quotazione azionaria ha sicuramente confermato i sospetti e le ultime vicende sono fortemente imbarazzanti. Detto questo, nel settore bancario internazionale ne abbiamo viste di tutti i colori e quindi non mi preoccuperei troppo di quello che pensano all’estero ma di rilanciare il Monte.