Fabrizio Massaro, Corriere della Sera 29/01/2013, 29 gennaio 2013
TROVATO SUL CONTO DEL MANAGER UN TESORO DI VENTI MILIONI —
Soldi all’estero. Presunte tangenti ottenute dalle operazioni di finanziamento del Montepaschi. Lo scudo fiscale per ripulirle. L’ipotesi investigativa della Procura di Siena, che da mesi indaga su presunte tangenti o «premi» ai manager della banca nell’ambito delle operazioni di tesoreria dell’istituto, ha portato ai primi risultati concreti. Una massa enorme di denaro, circa 20 milioni di euro, è stata rintracciata come possibile provento di mazzette ed è considerata riconducibile all’ex direttore dell’area finanza di Mps, Gianluca Baldassarri.
L’ex manager dell’istituto, rimosso dal nuovo amministratore delegato Fabrizio Viola subito dopo il suo insediamento a Rocca Salimbeni nel gennaio scorso e poi licenziato a marzo con una buonuscita di 800 mila euro (come da verbale del consiglio d’amministrazione dell’aprile 2012), era da tempo nel mirino per le spericolate operazioni in derivati che hanno ingabbiato la finanza di Mps, specialmente nei momenti più drammatici della crisi di liquidità di fine 2011. Il sospetto è che alcune di quelle operazioni siano state realizzate con modalità — per esempio attraverso il ricorso ad intermediari come la svizzera Lutifin Services nel riacquisto di alcuni titoli da Dresdner Bank o come la Enigma Services — tali da consentire a Baldassarri di accumulare una grande provvista di denaro. In sostanza l’ipotesi è che possa aver ottenuto soldi in cambio di operazioni a danno di Mps, per esempio rilevando da altri istituti strutture finanziarie già in perdita. Il denaro sarebbe poi rientrato in Italia nel tempo e in più tranche attraverso i tre gli scudi fiscali del 2001, del 2003 e del 2010.
Secondo le indagini dei pm di Siena Antonino Nastasi, Giuseppe Grosso e Aldo Natalini e dal nucleo Valutario della Guardia di Finanza, i primi soldi sono stati fatti rientrare già nel 2001 ma gran parte di quel tesoro da circa 20 milioni di euro è tornata in patria con l’ultimo scudo, quindi in un periodo successivo alla maxi-acquisizione di Antonveneta da parte di Mps con 9,2 miliardi pagati in contanti alla spagnola Santander. I capitali — che non è detto siano tutti riconducibili ad attività illecite — però non sono materialmente in Italia. Essi sono stati oggetto del cosiddetto «rimpatrio giuridico», cioè sono stati dichiarati al Fisco ma materialmente sono rimasti fuori dai confini nazionali. Finora dunque sono solo stati individuati ma non ancora materialmente ritrovati, nascosti forse in qualche paradiso fiscale.
L’inchiesta sulle «creste» dei manager Mps è nata autonomamente da quella relativa all’acquisizione di Antonveneta ma ad un certo punto si è ad essa sovrapposta in alcuni punti. In più un contributo alle indagini è arrivato anche dalla Procura di Milano, che a sua volta aveva aperto mesi fa un fascicolo d’indagine con l’ipotesi di appropriazione indebita e truffa, poi girato per competenza a Siena.
Gianluca Baldassarri, bocconiano, esperienze in Banca nazionale dell’agricoltura e Banca di Roma e poi in Mps dal giugno 2001 a marzo 2012, era da anni il deus ex machina della finanza, l’uomo che procurava alla banca il denaro di cui necessita per poter funzionare. A lui sono attribuite fra l’altro le operazioni di ristrutturazione dei veicoli «Santorini», realizzato con Deutsche Bank per chiudere una perdita di 367 milioni di euro a fine 2008, e l’operazione «Alexandria», con Nomura, in perdita per 220 milioni: perdite occultate con complesse operazioni di «pronti contro termine» e swap sui tassi che ora potrebbero costare a Mps fino a 740 milioni. Viola esporrà la situazione precisa sui derivati al consiglio d’amministrazione del 6 febbraio.
Già le ispezioni dell’audit interno e della Banca d’Italia tra il 2009 e il 2010 avevano sollevato dubbi sull’area finanza ma Baldassarri non venne sostituito dal direttore generale Antonio Vigni. Un campanello d’allarme si accese invece in consiglio di amministrazione a fine 2011: quando esplose la crisi del debito sovrano e lo spread schizzato alle stelle mise a rischio la solvibilità dell’Italia, le scelte di investimento di Baldassarri — 22 miliardi di Btp in gran parte con operazioni di «pronti contro termine» a scadenze anche molto lunghe (fino a 30 anni, a differenza di quanto avviene di solito sul mercato) — vennero criticate pesantemente, perché risultavano in forte perdita e assorbivano sempre più liquidità, in quel periodo quanto mai necessaria. Nella seduta del 16 dicembre 2011, per esempio, il consigliere Turiddo Campaini, numero uno di Unicoop Firenze, discutendo delle minusvalenze nel portafoglio di Btp, azioni e quote di hedge fund e di come tamponare la falla, puntò esplicitamente il dito contro Baldassarri: «Per affrontare il tema non possiamo prescindere anche da una valutazione, alla luce della situazione in essere, di chi ha posto in essere le operazioni di gestione del portafoglio finanziario». Di lì a poco tempo, Vigni lascerà la banca.
E Viola metterà alla porta Baldassarri.
Fabrizio Massaro