Michele Smargiassi, la Repubblica 29/01/2013, 29 gennaio 2013
IL MURO DI GOMMA LUNGO 33 ANNI
Dunque c´era davvero, quella notte del 27 giugno 1980, in quella zolla di buio e vuoto che poi migliaia di pagine di atti giudiziari chiameranno «Punto Condor», c´era davvero lo «scenario di guerra» che s´inghiottì ottantuno tranquilli passeggeri che percorrevano «Ambra 22», l´immateriale autostrada del cielo su cui stavano viaggiando da Bologna a Palermo.
Ma questo l´aveva già detto, chiaro e netto, il giudice Rosario Priore nelle carte del processo del ‘99, che però non riuscì a dare un nome e un passaporto preciso a ciascuno di quei puntini verdi che rimbalzavano come in un biliardo sugli schermi radar del controllo a terra, forse dei caccia alla rincorsa di un Mig libico. Ma è proprio sulla base di quella sentenza, riletta con attenzione, che i giudici civili ora si dicono convinti, a differenza della Cassazione penale, che era un missile quella cosa che il comandante del Dc9 Itavia Gatti alle ore 20 e 59 e 45 secondi forse aveva visto e indicato al suo copilota (la voce è ancora nella scatola nera): «Gua...», senza avere il tempo di finire la parola.
Questa sentenza però è importante perché stabilisce una cosa nuova: che lo Stato italiano è colpevole, e deve pagare per questo, di non aver garantito la sicurezza dello spazio aereo, la sicurezza di quel volo, di non aver utilizzate le informazioni che aveva per cercare di impedire che un jet civile finisse abbattuto da un missile in una battaglia internazionale non dichiarata.
«Un mattone in meno nel muro di gomma», scandisce Daria Bonfietti, una vita dedicata a pretendere la verità, alla testa dell´Associazione dei familiari delle vittime. Non ha mai perso le speranze di arrivare alla verità su quell´aereo che partì e non arrivò mai. «Oggi ne ho qualcuna in più». Ma ci sono voluti quasi trentatré anni, prima che la magistratura riconoscesse che lo Stato ha fatto il contrario di quello che doveva fare. Prima che lo Stato desse torto allo Stato che, invece di difendere i suoi cittadini vittime, scelse di schierare la sua Avvocatura in difesa dei suoi funzionari ora giudicati infedeli al compito. «Ora il governo del mio paese deve trovare dignità. Non può evitare di essere coerente con le sue sentenze», insiste Bonfietti, «chiunque vincerà le elezioni avrà il dovere morale, civile, storico di mettere tutto il proprio peso per arrivare a sapere quello che ci è stato nascosto, in Italia e fuori d´Italia. C´era un missile. Qualcuno ha fatto finta di non aver visto nulla, altri hanno negato, altri hanno intralciato: è ora di sapere chi e come».
Trentatré anni per arrivare vicino alla «verità indicibile», ma dunque non è ancora finita. Anni di colpi di scena, di sparizioni misteriose di documenti, anni di fumogeni e di piste false o controverse, il «cedimento strutturale», l´esplosione interna, la tesi della bomba nella toilette che un ex ministro del centrodestra, Carlo Giovanardi, continua a sostenere anche ora sulla base di altre risultanze processuali. Un labirinto. Anni di buio e di lampi, come quel vero e proprio fulmine che nel 2007 l´ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga fece scoccare in un´intervista, sostenendo di essere certo che di missile si trattasse, francese, una dichiarazione che consentì di far ripartire le indagini.
«Strage senza colpevoli» constatò amaramente un altro capo dello Stato, Giorgio Napolitano, indicando «intrecci eversivi e anche intrighi internazionali, insieme con opacità di comportamenti da parte di corpi dello Stato», più chiaro di così. Ma in trentatré anni, uno dopo l´altro tutti gli indagati per quelle colpevoli opacità, a partire dai vertici dell´Aeronautica finiti alla sbarra per alto tradimento, tutti i sospettati degli occultamenti, delle omertà, delle sparizioni di tracciati radar e relazioni tecniche, si sono sfilati dai processi senza condanne. E quella di Ustica è diventata la quintessenza dell´Italia senza giustizia: dove però è ormai una opinione condivisa che il jet Itavia, sigla I-Tigi, non cadde da solo, dove intellettuali e attori civili come Marco Paolini hanno continuato a raccontare come, dove in un lancinante museo-monumento progettato da Christian Boltanski, a Bologna, la carcassa dell´Itavia tornata a casa come un guerriero sconfitto in un´epica notte d´estate, continua a sussurrare le storie di ottantuno vittime senza colpevoli: Il carabiniere, l´avvocato, l´operaio edile, la pensionata, il borsista, l´imprenditore, un campionario d´Italia che non credeva di essere in guerra.
In questa Italia «la Storia ha già detto la sua, con l´evidenza delle prove giudiziarie», insiste Bonfietti, ma è una storia senza i volti e i nomi, e non si può lasciare che abbia un doppio finale, uno dove lo Stato è colpevole, uno dove è innocente. In quanto strage e non incidente, l´inchiesta su Ustica non potrà andare in prescrizione. Spiragli sembrano aprirsi: la Francia ha promesso collaborazione, «ma le rogatorie vanno condotte bene e presto, e là dove non possono i giudici si deve muovere la politica». Altre cause civili di risarcimento, intanto, attendono di andare a conclusione: una catena di sentenze come quella di ieri è nell´ordine del possibile, e sarebbe impossibile da ignorare. Ora il problema, avverte proprio il giudice Priore, è che «ci troviamo di fronte al contrasto tra due giudicati, uno penale e l´altro civile: se non sarà risolto, ne andrà della credibilità della nostra giustizia». Intervistato per strada qualche anno fa, uno studente bolognese sostenne che «Ustico» è un aggettivo che nella nostra lingua indica un mistero insolubile: il libro di italiano gli dà torto, speriamo presto anche anche quello di storia.