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 2013  gennaio 29 Martedì calendario

VITA DURA PER LE DIRIGENTI TEDESCHE


Su tutte le prime pagine dei quotidiani nazionali, in copertina delle riviste, alla tv, in Germania si dibatte un solo e vecchio tema: il sessismo dei signori uomini. Il leader liberale Rainer Brüderle, signore di 67 anni, avrebbe infastidito una giovane e prosperosa giornalista di Stern, Laura Himmelreich, di 28.
A tarda sera, nel bar di un hotel, al termine di un convegno del suo partito, l’Fdp, ha osservato che la collega in cerca di un’intervista avrebbe fatto una bella figura in dirndl, il costume regionale bavarese dall’amplissima scollatura. Ma il fattaccio è avvenuto un anno fa. Laura se ne è ricordata perché siamo in campagna elettorale, sicura di assicurarsi uno scoop buono per la carriera. Brüderle avrebbe fatto meglio a non imitare Berlusconi, oltretutto con una battuta da ginnasiale, il 50% dei tedeschi chiede le sue dimissioni, il chiasso sul sessismo dimostra che la stampa tedesca è in difficoltà, e mi chiedo perché Frau Laura non riveli anche le battutacce e i ricattini sessuali che probabilmente ha subito in redazione.
Avvengono ovunque, in qualsiasi azienda, in Germania o in Italia, a Madrid o a Londra. Lo conferma il libro Ganz oben, come dire ai piani alti, aus dem Leben einer weiblichen Führungskraft, dalla vita di una dirigente femminile, pubblicato la settimana scorsa dalla seria casa editrice Beck (euro 14,95). L’autrice si firma «Anonyma», per non avere guai sul posto di lavoro. Anche se si fa guidare da Frau Angela, in quanto a parità tra i sessi la Germania è rimasta indietro: le dirigenti sono rare, su 833 posti nei consigli di direzione delle 200 più importanti società appena 21 sono occupati da donne. E, in media, esse vengono pagate il 25% in meno di un collega.
«Gli uomini», scrive Anonyma, «preferiscono stare tra loro, nella sale di comando, e non hanno buone maniere». Una donna che voglia fare carriera nel mondo dell’economia deve essere come loro, o cercare una scorciatoia se è carina, ma la bella presenza è un vantaggio per compiere i primi passi, poi diventa un handicap. Gli uomini sono affezionati alle vecchie barzellette sulle biondine prosperose e dunque stupide.
«Io sono alta un metro e 75», si descrive l’autrice, «non proprio snella, e i miei capelli sono bruni e tagliati corti». Non proprio l’aspetto di una starlette. Le «cape» sono così poche che non dovrebbe essere difficile identificarle. «Posso guardare gli uomini alla loro altezza, ma non li sovrasto, per farla breve posso stare tra i maschi senza destare immediatamente il loro interesse sessuale». «Le colleghe più attraenti sono subito schiacciate dalle attenzioni interessate dei colleghi e, ovvio, ancor peggio, dei loro superiori. Quelle proprio brutte, tuttavia, possono essere capaci e intelligenti, ma non verranno mai assunte. Bisogna essere una via di mezzo, un difficile esercizio, apparire come un uomo, ma non comportarsi come un uomo, l’ideale è rimanere neutrale, asessuata, e allo stesso tempo suggerire agli interlocutori durante una riunione al vertice che, forse, il punto di vista di una donna potrebbe essere interessante. Mica facile. Forse, l’autrice non rivela niente di originale, ma la notizia è che occorra un libro per denunciare quanto tutti già dovrebbero sapere.
Le difficoltà per le donne si incontrano a tutti i livelli. L’auto a disposizione dei dirigenti non è mai libera per «lei», perché l’autista maschio non gradisce ricevere comandi da una «femmina» e trova sempre scuse. La segretaria si offende se le si chiede una tazza di caffè, ma trova naturale correre a servire un uomo, «perché è nella natura delle cose». A una festa aziendale, un capo può concedersi un bicchiere di troppo, tutti lo scuseranno, anzi lo troveranno più simpatico e umano. Una dirigente un po’ brilla non verrà perdonata. E si finisce allo stipendio: gli uomini considerano giusto guadagnare di più, loro sono capifamiglia, e le donne sono abituate a ritenersi soddisfatte da un elogio. Se un capo urla per stimolare i dipendenti ha «doti di comando», una donna «è isterica». Una donna al vertice deve abituarsi alla solitudine: un uomo di successo è sexy, una femmina spaventa e allontana un possibile partner che ha paura di venir dominato. E bisogna rinunciare alla famiglia: dopo decenni di discussioni sulla parità, o sul sessismo, nel ventunesimo secolo un figlio significa la fine della carriera. Quasi sempre. L’autrice conclude con una confessione: era contraria alle «quote rosa» per favorire l’ascesa delle donne ai piani alti, ora ha cambiato idea. Almeno per qualche anno ancora, non c’è altra via per costringere i signori uomini ad accettare una signora nel loro club.