Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri, mercoledì 27 novembre 2013, tra 17.42 e le 17.43, il presidente del Senato, Pietro Grasso, visti respinti i nove ordini del giorno presentati contro la decadenza dal seggio di senatore di Silvio Berlusconi, ha pronunciato le seguenti parole: «Si intendono pertanto approvate le conclusioni della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari nel senso di dichiarare la mancata convalida dell’elezione del senatore Silvio Berlusconi proclamato dalla regione Molise. Per consentire alla Giunta di procedere agli accertamenti relativi all’individuazione dei candidati subentrati autorizzo la stessa Giunta a riconvocarsi». A questo punto, il presidente Grasso avrebbe dovuto aggiungere: «Invito i commessi ad accompagnare il senatore decaduto Berlusconi fuori dall’aula». Ma di questa frase non c’è stato bisogno: il Cavaliere non c’era, come quasi mai c’è stato dal giorno in cui è stato eletto.
• E dov’era?
A quell’ora credo che fosse già in volo per Milano. Il suo medico, Alberto Zangrillo, sostenuto dalla famiglia, gli ha sconsigliato altri stress. Dopo il discorso davanti a Palazzo Grazioli, sulla via del Plebiscito, niente Senato e niente Porta a Porta. È risalito sul suo aereo privato ed è tornato ad Arcore.
• Da dove vogliamo cominciare? Dal Senato o dalla piazza?
Come ho già detto, i senatori di centro-destra hanno presentato nove ordini del giorno, con i quali chiedevano o di non votare subito le conclusioni della Giunta per le elezioni, secondo le quali Berlusconi doveva decadere da senatore per via della legge Severino, o di votare in segreto e non con un voto palese. Tra questi nove ordini del giorno, ce n’era anche uno di Pierferdinando Casini, molto apprezzato dall’entourage del Cavaliere. Durante il dibattito ci sono stati vari incidenti. Sandro Bondi (Fi) e Roberto Formigoni (Ncd) hanno avuto un alterco e li hanno separati i commessi, Alessandra Mussolini, dopo un «non vogliamo i vostri voti», ha definito Alfano, «un piranha», e quanto a Lupi «per lui parla il suo cognome». Bondi e Gasparri si sono scagliati («Vergognatevi») contro i senatori a vita, presenti assai di rado alle votazioni di Palazzo Madama, e ieri invece seduti ai loro (a parte Abbado). Tra questi Renzo Piano, che fino a ieri non aveva mai votato, e che, saputo delle critiche di Bondi e Gasparri, ha risposto: «Essere attaccati da Bondi e Gasparri è sublime. Pura beatitudine». Intanto il senatore Minzolini (Fi) accusava Napolitano di «doppiopesismo» e il senatore Matteoli (sempre Fi) ha dichiarato il suo amore per il Cav: «Vai avanti, Silvio, con te nuovi successi politici ed elettorali». Quattro senatrici di Forza Italia (Elisabetta Alberti Casellati, Annamaria Bernini, Cinzia Bonfrisco, Maria Rizzotti) hanno partecipato alla discussione vestite a lutto. Maria Rosaria Rossi s’aggirava per i saloni di Palazzo Madama con una fascia nera al braccio. In generale, quelli di destra hanno sostenuto che, approvando la decadenza di Berlusconi, il Senato infliggeva una grave ferita alla democrazia. Quelli di sinistra, che tutto s’era svolto nell’ambito delle garanzie istituzionali previste e in ossequio a leggi democraticamente approvate. La senatrice Loredana De Petris (Sel) ha puntigliosamente elencato tutte le leggi ad personam volute da Berlusconi.
• E in piazza?
In piazza, Berlusconi arringava una folla di cinque-seimila persone. Gli organizzatore dicono che, da tutta Italia, sono arrivati 300 pullman, che pare una cifra eccessiva se confrontata con il numero dei manifestanti. Nel discorso, Berlusconi (in giacca e maglietta nera) ha detto che quella di ieri «è una giornata di lutto per la democrazia. A partire dal 1994, una magistratura di estrema sinistra si è data come missione la via giudiziaria al socialismo. Persino l’Unità ha accusato certi pm di aver abbracciato le idee estremiste della Br - ha detto Berlusconi -. Approfittando della legge che aboliva l’immunità parlamentare, certi magistrati hanno fatto piazza pulita di cinque partiti. E allora sapete cosa è successo? Siamo scesi in campo noi. Hanno subito cercato di farmi fuori dalla scena politica con i processi. Sono 52 i processi che mi hanno gettato addosso», ha detto. «Abbiamo lottato, ci siamo difesi, abbiamo impiegato tante risorse economiche cercando di non perdere la serenità. Da 41 processi siamo venuti fuori senza nessuna condanna. Dopo aver militarizzato l’accusa, hanno occupato i collegi giudicanti. Sono allora fioccate le condanne: Ruby, Mediaset, la condanna per la frase “abbiamo una banca”. Mi hanno imposto giudici che avevano un’idea predeterminata su di me. Quindi è cominciata la corsa alla decadenza, per la quale hanno calpestato la legge, bruciando tempi e regolamenti». Il Cavaliere ha ribadito che lui resta in campo a lottare».
• Ha ancora diritto al titolo di Cavaliere?
Sì, fino alla pronuncia della Cassazione sulle pene accessorie.
• Le elezioni?
L’aria è che siano più vicine. E che sarà Renzi a provocarle.
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