Maurizio Tortorella, Panorama 28/11/2013, 28 novembre 2013
COTA, OVVERO L’ASSEDIO DEI QUATTRO ANNI
Se il 28 marzo 2010, giorno del suo trionfo elettorale, gli avessero detto che tre anni e otto mesi più tardi sarebbe stato ancora appeso al rischio che quel voto venisse annullato, probabilmente non ci avrebbe mai creduto. A dire il vero, forse non ci avrebbe creduto nessuno. Eppure questa è la paradossale situazione in cui vive Roberto Cota, presidente leghista della Regione Piemonte. Eletto con 1 milione 43 mila voti, oltre 153 mila preferenze in più rispetto ai nove partiti della sua stessa coalizione, oggi Cota è letteralmente stretto d’assedio. I ricorsi sui presunti brogli elettorali sono partiti la sera stessa delle elezioni e la baruffa non s’è mai placata. Anzi, la Cassazione ha appena condannato per falso elettorale Michele Giovine, leader della lista Pensionati per Cota, e così il Partito democratico torna a contestare «i brogli del 2010» minacciando addirittura di fare dimettere tutti i suoi uomini in regione. Dall’altra parte la Procura di Torino ha appena chiuso un’altra indagine su Cota e su altri 42 consiglieri, contestando loro abusi sull’utilizzo dei rimborsi. In questa tempesta, com’è ovvio, i giornali avversari soffiano sulle onde. «È un incubo» sbotta il governatore. «Attacchi continui, uno stillicidio d’accuse, fango a palate. Da quando sono stato eletto, non ho vissuto un solo giorno tranquillo».
Mercedes Bresso, ex governatore e nel 2010 candidata del centrosinistra (1 milione 34 mila voti), è tornata a dire che «Cota dovrebbe rassegnare le dimissioni e concedere al Piemonte una guida più autorevole e legittimata». Intanto anche lei è finita nell’inchiesta sui rimborsi: nel suo caso, però, non s’ipotizza il peculato, ma il reato meno grave di violazione del finanziamento pubblico dei partiti.
E se è vero che Giovine per 17 firme taroccate è stato condannato in terzo grado il 13 novembre, suona strano che l’accusa parallela di falso elettorale rivolta dalla procura ai leader della lista Pensionati e invalidi per Bresso debba ancora passare al vaglio preventivo dell’udienza preliminare, in calendario per il 13 dicembre. E questo malgrado esista qualche concreta base giudiziaria per il processo, visto che nel dicembre 2012 un autentificatore delle firme di quella lista ha già patteggiato una pena di 1 anno e 6 mesi. Nei due procedimenti, insomma, la giustizia pare avere adottato ritmi assai diversi.
Sulla giunta Cota, a dire il vero, la raffica di grane giudiziarie è stata continua, dal 2010: ricorsi e controricorsi, sentenze del tar e del Consiglio di stato. Le liste di centrodestra finite sotto la lente della giustizia amministrativa erano state due o tre. A ogni passo l’opposizione gridava alla necessità di rivotare. Ma due anni fa perfino la Corte costituzionale ha dato ragione al governatore. Ora, però, la condanna di Giovine riapre la questione. È bastato l’ennesimo ricorso e adesso, il 9 gennaio 2014, il Tar del Piemonte tornerà a esprimersi sul voto del marzo 2010. Un vero paradosso. Cota scuote la testa: «Se un tribunale ammette una lista e consente alla gente di votarla, a quel punto il voto è sacro. Nel caso in cui si scoprano irregolarità, va colpito chi le ha commesse. Ma non si può dire che le elezioni siano state irregolari».
Se oggi il governatore è esasperato, però, lo è soprattutto per l’accusa di avere abusato dei fondi pubblici. «Mi si contestano 25 mila euro spesi tra maggio 2010 e settembre 2012» protesta «ma in molti casi si tratta di acquisti non miei. Tutta la vicenda è soltanto una sommatoria di errori, in gran parte dovuti a imprecisioni della mia segreteria». I quotidiani e i blog che si sono scagliati contro Cota sostengono che avrebbe addirittura mentito su certe spese, dichiarando ai pubblici ministeri che erano state effettuate in posti nei quali non era mai stato. Ma il governatore ribatte: «Non è così. Alla procura, con una memoria difensiva e nell’interrogatorio, ho fornito una ricostruzione di massima». Ora si parla di un nuovo interrogatorio, cui Cota si presenterebbe contro il parere del suo avvocato, il penalista milanese Domenico Aiello. Cota insiste sui paradossi: rivendica di essere stato il primo, in Piemonte, a tagliare i costi della politica. E questo a partire proprio dalla sua auto blu, sostituita con una vettura della polizia, che lo scorta dal 2008. Quindi attacca con un lungo elenco. Il suo stesso stipendio nel 2010 era di 11.800 euro netti mensili, ma è stato progressivamente ridotto e dal 1° gennaio la cifra di mese in mese varia dai 7.200 ai 6.900 euro. L’indennità di fine rapporto per tutti i consiglieri è stata poi ridotta da due a una mensilità per ogni anno di legislatura. Gli stessi rimborsi sui quali indaga la procura nel 2010 valevano 2 mila euro al mese per ognuno dei 60 consiglieri, ma oggi sono scesi a 5 mila euro all’anno: è un taglio che, da solo, vale 1 milione 140 mila euro l’anno. Anche le spese di rappresentanza del governatore, arrivate a un vertice di 157 mila euro nel 2007, nel pieno dell’era Bresso, sono crollate a 35 mila euro nel 2012 e a 10 mila quest’anno.
Cota, in realtà, rivendica una gestione trasparente e al risparmio per tutto il bilancio regionale. Appena arrivato al governo del Piemonte, il governatore verificò che il debito non era di 6,3 miliardi, come allora veniva dichiarato, ma di quasi 12: «Bresso riduceva contabilmente il debito lasciandolo per metà nelle aziende sanitarie » dice Cota. «Nel 2010 eravamo quasi al default. Poi abbiamo avviato il piano di rientro, comprimendo i costi della sanità per 100 milioni di euro nel 2011 e per altri 120 nel 2012. Ne aggiungeremo ancora 150 alla fine di quest’anno».
È stato un lavoro difficile, gestito soprattutto dall’assessore «tecnico» alla Sanità, Paolo Monferino: un ex manager dell’Iveco, in carica dal 2010 al marzo scorso, al cui insediamento Cota disse: «È l’uomo giusto, uno al quale non puoi fare la telefonatina per raccomandargli l’amico come primario». Monferino iniziò chiudendo 14 piccoli ospedali, ha proseguito imponendo costi standard e centralizzando gli acquisti. Ora il Piemonte è una delle tre regioni «virtuose» per la spesa sanitaria.
Ma il conflitto con l’opposizione continua, come ha mostrato l’ultima rissa nel consiglio regionale del 26 novembre. E nell’attesa che in gennaio il tar torni a esprimersi sull’infinita disfida elettorale, la battaglia politica si giocherà tutta sulla querelle dei rimborsi. Al centro dell’attenzione, fra gli acquisti contestati, i giornali hanno piazzato un videogame che Cota avrebbe comprato anni fa in un autogrill.
Il gioco costa 16 euro e s’intitola Fair game. Il suo nome italiano è «caccia alla spia», ma la traduzione letterale sarebbe «gioco corretto». «No» protesta Cota «il gioco in realtà è molto scorretto, perché i giornali mi riempiono solo di fango. Non ricordo nulla di quel videogame: è finito tra le mie “spese istituzionali” per errore. In febbraio poi ho già restituito 2 mila euro di rimborsi non dovuti. Perché io sono una persona onesta. E non rubo».