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 2013  novembre 28 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - L’IMU E LA POLEMICA CON I COMUNI. POI ANCHE LA LEGGE ELETTORALE


IL PEZZO DELLA STAMPA DI STAMATTINA

ALESSANDRO BARBERA
La si potrebbe definire la maliziosa applicazione del principio di federalismo responsabile: tu hai alzato le aliquote, tu te ne assumi la responsabilità di fronte ai tuoi concittadini. Gli italiani che si troveranno costretti a pagarla la giudicheranno per quel che è: una beffa. Per i sindaci che ora devono decidere che fare è una bella grana. Già, perché se uno si fermasse agli annunci del governo dovrebbe concludere che sulla seconda rata dell’Imu sulle prime case di quest’anno è finalmente tutto a posto. Non è invece così, non almeno per i seicento Comuni che, in attesa di capire cosa sarebbe accaduto a Roma, hanno incautamente alzato le aliquote. Fra questi Milano, Bologna, Napoli e Genova. Chi possiede una casa in uno di questi Comuni a gennaio dovrà pagare metà di quanto previsto dall’aumento, dice il comunicato diffuso ieri sera da Palazzo Chigi, poiché il governo promette di farsi carico dell’altra metà. A meno che i Comuni non decidano autonomamente di fare un passo indietro e di rinunciare a quel gettito. Nel solo caso di Milano per Giuliano Pisapia significherebbe rinunciare a circa cento milioni di euro.
Fatto è che ieri Letta ha approfittato della decadenza del voto sulla decadenza del Cavaliere per annunciare la lieta novella dell’abolizione della seconda rata della tassa sulla prima casa. Ma far tornare i conti quando si ha fretta non è semplice. Per accontentare tutti il premier avrebbe dovuto trovare quasi tre miliardi, ne ha raccolti poco più di due. Restano fuori dall’esenzione le abitazioni che insistono sui terreni agricoli: il consiglio dei ministri ha esentato i soli «immobili strumentali», per capirsi stalle e affini. Una mezza esenzione rispetto alle promesse, che però ha fatto emergere una delle tante contraddizioni in cui è incappato questo governo: i beni strumentali delle imprese agricole sono esentati dall’Imu al 100%, quelli delle altre aziende del 30%. «Non possiamo essere d’accordo con una simile diversità di trattamento», abbozza il capo degli industriali Giorgio Squinzi.
L’altra novità dell’ultima ora è l’aggravio sulle banche. Le quali, oltre a dover pagare un acconto del 130% sulle tasse del 2014 e di parte di quanto dovuto per la gestione del risparmio, si faranno carico anche di un aumento una tantum delle aliquote Ires al 36%, otto punti percentuali. L’Abi, l’associazione d’impresa che riunisce le banche, non l’ha presa bene e fa trapelare la propria irritazione. Si potrebbe argomentare che, al netto delle misure varate a loro favore (fra queste la deducibilità delle perdite, il fondo di garanzia per le imprese e la rivalutazione delle quote di Banca d’Italia) non avrebbero complessivamente di che lamentarsi. Certo è che trovarsi dalla sera alla mattina con l’aumento di otto punti delle tasse non è un gran vedere. Non per le grandi aziende abituate a fare pianificazione fiscale. Non in un Paese che si mostra deciso a voler attirare nuovi investitori.
L’incertezza è invece la cifra prevalente di questo governo. Basti guardare a cosa accade alla cosiddetta Legge di Stabilità. La relazione tecnica che la accompagna ci racconta che il passaggio al Senato l’ha fatta lievitare di 2,6 miliardi, alzando il saldo da 11,4 a 14 miliardi. Nonostante questo il testo alla Camera cambierà ancora. «Può essere migliorata», spiega Letta. Gli equilibri nella maggioranza sono ormai stravolti, e l’uscita dei forzisti apre scenari nuovi, anche per le lobby di riferimento. C’è poi chi non è per nulla soddisfatto di quel che si è fatto finora: è il caso del ministro delle Regioni Delrio, che considera insufficienti le risorse stanziate per garantire le detrazioni della nuova Iuc, la tassa sulla casa che da gennaio manderà in pensione la vecchia Imu.
Twitter @alexbarbera

La si potrebbe definire la maliziosa applicazione del principio di federalismo responsabile: tu hai alzato le aliquote, tu te ne assumi la responsabilità di fronte ai tuoi concittadini. Gli italiani che si troveranno costretti a pagarla la giudicheranno per quel che è: una beffa. Per i sindaci che ora devono decidere che fare è una bella grana. Già, perché se uno si fermasse agli annunci del governo dovrebbe concludere che sulla seconda rata dell’Imu sulle prime case di quest’anno è finalmente tutto a posto. Non è invece così, non almeno per i seicento Comuni che, in attesa di capire cosa sarebbe accaduto a Roma, hanno incautamente alzato le aliquote. Fra questi Milano, Bologna, Napoli e Genova. Chi possiede una casa in uno di questi Comuni a gennaio dovrà pagare metà di quanto previsto dall’aumento, dice il comunicato diffuso ieri sera da Palazzo Chigi, poiché il governo promette di farsi carico dell’altra metà. A meno che i Comuni non decidano autonomamente di fare un passo indietro e di rinunciare a quel gettito. Nel solo caso di Milano per Giuliano Pisapia significherebbe rinunciare a circa cento milioni di euro.
Fatto è che ieri Letta ha approfittato della decadenza del voto sulla decadenza del Cavaliere per annunciare la lieta novella dell’abolizione della seconda rata della tassa sulla prima casa. Ma far tornare i conti quando si ha fretta non è semplice. Per accontentare tutti il premier avrebbe dovuto trovare quasi tre miliardi, ne ha raccolti poco più di due. Restano fuori dall’esenzione le abitazioni che insistono sui terreni agricoli: il consiglio dei ministri ha esentato i soli «immobili strumentali», per capirsi stalle e affini. Una mezza esenzione rispetto alle promesse, che però ha fatto emergere una delle tante contraddizioni in cui è incappato questo governo: i beni strumentali delle imprese agricole sono esentati dall’Imu al 100%, quelli delle altre aziende del 30%. «Non possiamo essere d’accordo con una simile diversità di trattamento», abbozza il capo degli industriali Giorgio Squinzi.
L’altra novità dell’ultima ora è l’aggravio sulle banche. Le quali, oltre a dover pagare un acconto del 130% sulle tasse del 2014 e di parte di quanto dovuto per la gestione del risparmio, si faranno carico anche di un aumento una tantum delle aliquote Ires al 36%, otto punti percentuali. L’Abi, l’associazione d’impresa che riunisce le banche, non l’ha presa bene e fa trapelare la propria irritazione. Si potrebbe argomentare che, al netto delle misure varate a loro favore (fra queste la deducibilità delle perdite, il fondo di garanzia per le imprese e la rivalutazione delle quote di Banca d’Italia) non avrebbero complessivamente di che lamentarsi. Certo è che trovarsi dalla sera alla mattina con l’aumento di otto punti delle tasse non è un gran vedere. Non per le grandi aziende abituate a fare pianificazione fiscale. Non in un Paese che si mostra deciso a voler attirare nuovi investitori.
L’incertezza è invece la cifra prevalente di questo governo. Basti guardare a cosa accade alla cosiddetta Legge di Stabilità. La relazione tecnica che la accompagna ci racconta che il passaggio al Senato l’ha fatta lievitare di 2,6 miliardi, alzando il saldo da 11,4 a 14 miliardi. Nonostante questo il testo alla Camera cambierà ancora. «Può essere migliorata», spiega Letta. Gli equilibri nella maggioranza sono ormai stravolti, e l’uscita dei forzisti apre scenari nuovi, anche per le lobby di riferimento. C’è poi chi non è per nulla soddisfatto di quel che si è fatto finora: è il caso del ministro delle Regioni Delrio, che considera insufficienti le risorse stanziate per garantire le detrazioni della nuova Iuc, la tassa sulla casa che da gennaio manderà in pensione la vecchia Imu.
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Città

La si potrebbe definire la maliziosa applicazione del principio di federalismo responsabile: tu hai alzato le aliquote, tu te ne assumi la responsabilità di fronte ai tuoi concittadini. Gli italiani che si troveranno costretti a pagarla la giudicheranno per quel che è: una beffa. Per i sindaci che ora devono decidere che fare è una bella grana. Già, perché se uno si fermasse agli annunci del governo dovrebbe concludere che sulla seconda rata dell’Imu sulle prime case di quest’anno è finalmente tutto a posto. Non è invece così, non almeno per i seicento Comuni che, in attesa di capire cosa sarebbe accaduto a Roma, hanno incautamente alzato le aliquote. Fra questi Milano, Bologna, Napoli e Genova. Chi possiede una casa in uno di questi Comuni a gennaio dovrà pagare metà di quanto previsto dall’aumento, dice il comunicato diffuso ieri sera da Palazzo Chigi, poiché il governo promette di farsi carico dell’altra metà. A meno che i Comuni non decidano autonomamente di fare un passo indietro e di rinunciare a quel gettito. Nel solo caso di Milano per Giuliano Pisapia significherebbe rinunciare a circa cento milioni di euro.
Fatto è che ieri Letta ha approfittato della decadenza del voto sulla decadenza del Cavaliere per annunciare la lieta novella dell’abolizione della seconda rata della tassa sulla prima casa. Ma far tornare i conti quando si ha fretta non è semplice. Per accontentare tutti il premier avrebbe dovuto trovare quasi tre miliardi, ne ha raccolti poco più di due. Restano fuori dall’esenzione le abitazioni che insistono sui terreni agricoli: il consiglio dei ministri ha esentato i soli «immobili strumentali», per capirsi stalle e affini. Una mezza esenzione rispetto alle promesse, che però ha fatto emergere una delle tante contraddizioni in cui è incappato questo governo: i beni strumentali delle imprese agricole sono esentati dall’Imu al 100%, quelli delle altre aziende del 30%. «Non possiamo essere d’accordo con una simile diversità di trattamento», abbozza il capo degli industriali Giorgio Squinzi.
L’altra novità dell’ultima ora è l’aggravio sulle banche. Le quali, oltre a dover pagare un acconto del 130% sulle tasse del 2014 e di parte di quanto dovuto per la gestione del risparmio, si faranno carico anche di un aumento una tantum delle aliquote Ires al 36%, otto punti percentuali. L’Abi, l’associazione d’impresa che riunisce le banche, non l’ha presa bene e fa trapelare la propria irritazione. Si potrebbe argomentare che, al netto delle misure varate a loro favore (fra queste la deducibilità delle perdite, il fondo di garanzia per le imprese e la rivalutazione delle quote di Banca d’Italia) non avrebbero complessivamente di che lamentarsi. Certo è che trovarsi dalla sera alla mattina con l’aumento di otto punti delle tasse non è un gran vedere. Non per le grandi aziende abituate a fare pianificazione fiscale. Non in un Paese che si mostra deciso a voler attirare nuovi investitori.
L’incertezza è invece la cifra prevalente di questo governo. Basti guardare a cosa accade alla cosiddetta Legge di Stabilità. La relazione tecnica che la accompagna ci racconta che il passaggio al Senato l’ha fatta lievitare di 2,6 miliardi, alzando il saldo da 11,4 a 14 miliardi. Nonostante questo il testo alla Camera cambierà ancora. «Può essere migliorata», spiega Letta. Gli equilibri nella maggioranza sono ormai stravolti, e l’uscita dei forzisti apre scenari nuovi, anche per le lobby di riferimento. C’è poi chi non è per nulla soddisfatto di quel che si è fatto finora: è il caso del ministro delle Regioni Delrio, che considera insufficienti le risorse stanziate per garantire le detrazioni della nuova Iuc, la tassa sulla casa che da gennaio manderà in pensione la vecchia Imu.
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La si potrebbe definire la maliziosa applicazione del principio di federalismo responsabile: tu hai alzato le aliquote, tu te ne assumi la responsabilità di fronte ai tuoi concittadini. Gli italiani che si troveranno costretti a pagarla la giudicheranno per quel che è: una beffa. Per i sindaci che ora devono decidere che fare è una bella grana. Già, perché se uno si fermasse agli annunci del governo dovrebbe concludere che sulla seconda rata dell’Imu sulle prime case di quest’anno è finalmente tutto a posto. Non è invece così, non almeno per i seicento Comuni che, in attesa di capire cosa sarebbe accaduto a Roma, hanno incautamente alzato le aliquote. Fra questi Milano, Bologna, Napoli e Genova. Chi possiede una casa in uno di questi Comuni a gennaio dovrà pagare metà di quanto previsto dall’aumento, dice il comunicato diffuso ieri sera da Palazzo Chigi, poiché il governo promette di farsi carico dell’altra metà. A meno che i Comuni non decidano autonomamente di fare un passo indietro e di rinunciare a quel gettito. Nel solo caso di Milano per Giuliano Pisapia significherebbe rinunciare a circa cento milioni di euro.
Fatto è che ieri Letta ha approfittato della decadenza del voto sulla decadenza del Cavaliere per annunciare la lieta novella dell’abolizione della seconda rata della tassa sulla prima casa. Ma far tornare i conti quando si ha fretta non è semplice. Per accontentare tutti il premier avrebbe dovuto trovare quasi tre miliardi, ne ha raccolti poco più di due. Restano fuori dall’esenzione le abitazioni che insistono sui terreni agricoli: il consiglio dei ministri ha esentato i soli «immobili strumentali», per capirsi stalle e affini. Una mezza esenzione rispetto alle promesse, che però ha fatto emergere una delle tante contraddizioni in cui è incappato questo governo: i beni strumentali delle imprese agricole sono esentati dall’Imu al 100%, quelli delle altre aziende del 30%. «Non possiamo essere d’accordo con una simile diversità di trattamento», abbozza il capo degli industriali Giorgio Squinzi.
L’altra novità dell’ultima ora è l’aggravio sulle banche. Le quali, oltre a dover pagare un acconto del 130% sulle tasse del 2014 e di parte di quanto dovuto per la gestione del risparmio, si faranno carico anche di un aumento una tantum delle aliquote Ires al 36%, otto punti percentuali. L’Abi, l’associazione d’impresa che riunisce le banche, non l’ha presa bene e fa trapelare la propria irritazione. Si potrebbe argomentare che, al netto delle misure varate a loro favore (fra queste la deducibilità delle perdite, il fondo di garanzia per le imprese e la rivalutazione delle quote di Banca d’Italia) non avrebbero complessivamente di che lamentarsi. Certo è che trovarsi dalla sera alla mattina con l’aumento di otto punti delle tasse non è un gran vedere. Non per le grandi aziende abituate a fare pianificazione fiscale. Non in un Paese che si mostra deciso a voler attirare nuovi investitori.
L’incertezza è invece la cifra prevalente di questo governo. Basti guardare a cosa accade alla cosiddetta Legge di Stabilità. La relazione tecnica che la accompagna ci racconta che il passaggio al Senato l’ha fatta lievitare di 2,6 miliardi, alzando il saldo da 11,4 a 14 miliardi. Nonostante questo il testo alla Camera cambierà ancora. «Può essere migliorata», spiega Letta. Gli equilibri nella maggioranza sono ormai stravolti, e l’uscita dei forzisti apre scenari nuovi, anche per le lobby di riferimento. C’è poi chi non è per nulla soddisfatto di quel che si è fatto finora: è il caso del ministro delle Regioni Delrio, che considera insufficienti le risorse stanziate per garantire le detrazioni della nuova Iuc, la tassa sulla casa che da gennaio manderà in pensione la vecchia Imu.
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La si potrebbe definire la maliziosa applicazione del principio di federalismo responsabile: tu hai alzato le aliquote, tu te ne assumi la responsabilità di fronte ai tuoi concittadini. Gli italiani che si troveranno costretti a pagarla la giudicheranno per quel che è: una beffa. Per i sindaci che ora devono decidere che fare è una bella grana. Già, perché se uno si fermasse agli annunci del governo dovrebbe concludere che sulla seconda rata dell’Imu sulle prime case di quest’anno è finalmente tutto a posto. Non è invece così, non almeno per i seicento Comuni che, in attesa di capire cosa sarebbe accaduto a Roma, hanno incautamente alzato le aliquote. Fra questi Milano, Bologna, Napoli e Genova. Chi possiede una casa in uno di questi Comuni a gennaio dovrà pagare metà di quanto previsto dall’aumento, dice il comunicato diffuso ieri sera da Palazzo Chigi, poiché il governo promette di farsi carico dell’altra metà. A meno che i Comuni non decidano autonomamente di fare un passo indietro e di rinunciare a quel gettito. Nel solo caso di Milano per Giuliano Pisapia significherebbe rinunciare a circa cento milioni di euro.
Fatto è che ieri Letta ha approfittato della decadenza del voto sulla decadenza del Cavaliere per annunciare la lieta novella dell’abolizione della seconda rata della tassa sulla prima casa. Ma far tornare i conti quando si ha fretta non è semplice. Per accontentare tutti il premier avrebbe dovuto trovare quasi tre miliardi, ne ha raccolti poco più di due. Restano fuori dall’esenzione le abitazioni che insistono sui terreni agricoli: il consiglio dei ministri ha esentato i soli «immobili strumentali», per capirsi stalle e affini. Una mezza esenzione rispetto alle promesse, che però ha fatto emergere una delle tante contraddizioni in cui è incappato questo governo: i beni strumentali delle imprese agricole sono esentati dall’Imu al 100%, quelli delle altre aziende del 30%. «Non possiamo essere d’accordo con una simile diversità di trattamento», abbozza il capo degli industriali Giorgio Squinzi.
L’altra novità dell’ultima ora è l’aggravio sulle banche. Le quali, oltre a dover pagare un acconto del 130% sulle tasse del 2014 e di parte di quanto dovuto per la gestione del risparmio, si faranno carico anche di un aumento una tantum delle aliquote Ires al 36%, otto punti percentuali. L’Abi, l’associazione d’impresa che riunisce le banche, non l’ha presa bene e fa trapelare la propria irritazione. Si potrebbe argomentare che, al netto delle misure varate a loro favore (fra queste la deducibilità delle perdite, il fondo di garanzia per le imprese e la rivalutazione delle quote di Banca d’Italia) non avrebbero complessivamente di che lamentarsi. Certo è che trovarsi dalla sera alla mattina con l’aumento di otto punti delle tasse non è un gran vedere. Non per le grandi aziende abituate a fare pianificazione fiscale. Non in un Paese che si mostra deciso a voler attirare nuovi investitori.
L’incertezza è invece la cifra prevalente di questo governo. Basti guardare a cosa accade alla cosiddetta Legge di Stabilità. La relazione tecnica che la accompagna ci racconta che il passaggio al Senato l’ha fatta lievitare di 2,6 miliardi, alzando il saldo da 11,4 a 14 miliardi. Nonostante questo il testo alla Camera cambierà ancora. «Può essere migliorata», spiega Letta. Gli equilibri nella maggioranza sono ormai stravolti, e l’uscita dei forzisti apre scenari nuovi, anche per le lobby di riferimento. C’è poi chi non è per nulla soddisfatto di quel che si è fatto finora: è il caso del ministro delle Regioni Delrio, che considera insufficienti le risorse stanziate per garantire le detrazioni della nuova Iuc, la tassa sulla casa che da gennaio manderà in pensione la vecchia Imu.
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ROMA - L’abolizione della seconda rata dell’Imu rischia di trasformarsi in una beffa per i cittadini dei circa 600 comuni dove nel 2013 sono aumentate le aliquote rispetto a quelle standard. Città dove, in base a quanto stabilito dal consiglio dei ministri, l’extragettito atteso sarà risarcito solo per metà dallo Stato mentre per il restante 50% a pagare dovranno essere i cittadini. I sindaci italiani chiedono dunque chiarezza al Governo e rinnovano la richiesta di un incontro urgente con il Presidente del Consiglio.
"Il Governo faccia rapidamente chiarezza sulla seconda rata dell’Imu 2013 e onori gli impegni assunti con i contribuenti e i Comuni italiani. I Sindaci hanno dimostrato ampiamente responsabilità e spirito propositivo, ma non si può abusare della loro pazienza e tanto meno si può abusare della pazienza dei cittadini", ha dichiarato il Presidente della Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, Piero Fassino. "All’atto della decisione di superare l’Imu sulla prima casa - ha ancora aggiunto il Presidente Anci - il Governo assunse due espliciti impegni: i contribuenti non avrebbero più pagato l’Imu nel 2013 e ai Comuni sarebbe stato garantito l’identico importo onde poter assicurare l’erogazione di essenziali servizi ai cittadini. E’ troppo chiedere che finalmente si dia corso a impegni così esplicitamente assunti?".
Durissimo in proposito anche il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, secondo cui l’eventuale scelta del Governo di restituire ai Comuni solo il 50% dell’Imu incassata nel 2013 con l’aumento delle aliquote delle addizionali "sarebbe una follia" che porterebbe allo "scontro istituzionale". "Non è neanche una scelta, saremmo alla follia. Se così fosse, e confido ancora che non sarà, saremmo allo scontro istituzionale. Milano non ci sta, l’Anci non ci sta, e nessun Governo può permettersi di andare contro gli interessi dei cittadini e di coloro che li rappresentano ovvero i comuni", ha aggiunto.
Per il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, "sarà solo un’operazione politica, demagogica e ideologica, fine a se stessa se lo Stato non garantirà le risorse promesse ai Comuni". "L’eliminazione delle imposte - aggiunge - è sempre un dato positivo, ma tali decisioni non devono ricadere sui Comuni altrimenti si fa vedere che si abolisce una tassa, ma poi i costi della mancata tassa ricadono sui Comuni che o sono costretti a mettere altre imposte o non possono erogare i servizi essenziali ai cittadini".
Duro anche il sindaco di Bologna, Virginio Merola, secondo cui la decisione del governo sull’abolizione dell’Imu "è una beffa per i comuni e per i cittadini". "Si è scelta una soluzione che scarica su cittadini e sindaci il costo della mancata copertura integrale della seconda rata imu. Così l’Imu sulla prima casa non è abolita e i cittadini pagheranno, non sappiamo però ancora chi e quanto, occorre leggere il testo definitivo".
Tutti i sindaci italiani, da Milano a Catania, sono dunque molto preoccupati per l’incertezza che regna sulla copertura della seconda rata Imu. "Una situazione che conduce molti comuni virtuosi in una condizione di straordinaria difficoltà - spiega il sindaco di Catania, Enzo Bianco - e per le amministrazioni che hanno dovuto alzare l’aliquota, in attuazione di un obbligo di risanamento, c’è il paradosso di ritrovarsi oggi in una condizione di estrema incertezza".
Per il sindaco di Livorno Alessandro Cosimi, coordinatore delle Anci regionali e membro dell’ufficio di presidenza dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci), "siamo sull’orlo della rottura dei rapporti istituzionali". "I Comuni italiani sono stati molto seri, qualcuno dice che hanno provato a fare i furbi, ma non è vero: fino al 30 novembre c’era tempo per aumentare le aliquote e i Comuni che lo hanno fatto, lo hanno fatto in funzione del bilancio che dovevano approvare. La confusione l’ha generata proprio il governo posticipando i pagamenti".
Il sindaco di Parma Federico Pizzarotti non si aspettava nulla di diverso dal Governo delle larghe intese. "Rassicurazioni sulla restituzione - spiega - non ci sono state ancora date, in compenso per alcune città c’è il forte rischio che, dopo l’aumento della Tares voluta dal Governo, i cittadini si troveranno a pagare nel 2014 parte di quell’Imu che il Governo delle larghe intese dichiarava di voler abolire. L’Italia non si risolleva a parole, ma con i fatti".
Insomma, ora lo Stato chiede i soldi ai cittadini, ma sono i sindaci "a metterci la faccia". "Nulla di nuovo, siamo sempre di fronte alla pratica invalsa, messa in atto da tutti i Governi, di puntare sempre sui Comuni come esattori per le tasse dello Stato. Purtroppo questo cattivo andazzo di considerarci ancora gabellieri ce lo aspettavamo", dice il sindaco di Pescara, Luigi Albore Mascia. "Non appena chiuderò il bilancio, che diventa sempre più per cassa e non per competenza, avvierò un’azione legale contro lo stato per chiedere quanto spetta per legge al comune di pescara. E’ ora di dire basta non ci stiamo più a prendere botte da tutte le parti". "L’Anci è sempre stata collaborativa e responsabile ma - aggiunge il sindaco di Pavia e vicepresidente vicario dell’Anci, Alessandro Cattaneo - tra noi sindaci, adesso c’è fibrillazione perchè temiamo di dover chiedere ai nostri cittadini nuovamente soldi. Così non va bene".
"Io ritengo che non si debbano più intrattenere i rapporti istituzionali con il Governo e che l’Anci non debba partecipare più ai tavoli", aggiunge il sindaco di Varese, Attilio Fontana, membro dell’Ufficio di presidenza dell’Associazione nazionale dei Comuni italiani (Anci), convinto che i sindaci debbano ormai scegliere la linea dura. Una posizione che ribadirà nel corso del prossimo Ufficio di presidenza dell’Anci, già convocato per il 5 dicembre proprio per valutare la legge di stabilità e le misure dell’esecutivo sulla seconda rata Imu.

LA QUESTIONE DELLA LEGGE ELETTORALE
ROMA - Con l’archiviazione della decadenza di Silvio Berlusconi e l’avvicinarsi dell’udienza della Consulta per valutare l’incostituzionalità del Porcellum, il governo cerca lo sprint per riformare la legge elettorale.
ll ministro per i Rapporti con il Parlamento e per il coordinamento delle attività di governo, Dario Franceschini, e il ministro per le Riforme costituzionali, Gaetano Quagliariello, sono stati ricevuti questa mattina al Quirinale dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per fare il punto sull’iter delle riforme costituzionali e delle proposte di modifica della legge elettorale.
"Se non si muoverà il Parlamento prima della sentenza della Corte costituzionale sul Porcellum, a quel punto si muoverà il governo", ha messo in chiaro Quagliariello. Lo strumento legislativo scelto sarebbe, fa sapere Franceschini, un disegno di legge. Ma il tempo stringe perché, ha ricordato il presidente della Consulta Gaetano Silvestri, "noi faremo regolarmente la nostra udienza il 3 dicembre, dopo di che decideremo".
Eppure, malgrado gli inviti a fare presto, il voto sui due ordini del giorno per la riforma della legge elettorale è slittato a lunedì sera alle 20. La presidente della prima commissione del Senato, Anna Finocchiaro, ha preso atto infatti della richiesta del Nuovo centrodestra di poter avere più tempo per l’esame dell’intera questione e "per decidere quale posizione prendere" e ha aggiornato la seduta, così come riferito dal senatore di Scelta Civica Benedetto Della Vedova.
Contrastanti i commenti sulla decisione per Scelta civica, Sel e Lega, è probabile che la materia venga sottratta alla competenza del Senato e ripassi all’esame della Camera. Per la relatrice Doris Lo Moro (Pd), "ci sono le condizioni per un voto lunedì sera".
"Noi - ha affermato benedetto Sella Vedova di Sc - eravamo pronti a votare per il ritorno al Mattarellum. E’ chiaro che lunedì è l’ultima finestra utile perché se ne occupi il Senato della legge elettorale. Se non usciamo con un voto non sarà più il senato ad occuparsene". Per Francesco Campanella (M5S) il possibile voto di lunedì "è l’ultima possibilità per cercare di prevenire un pronunciamento della Consulta".
Contro la sollecitazione di Quaglieriello scende in campo invece Forza Italia. "Mi pare che il ministro Quagliariello metta il classico carro davanti ai classici buoi", dice Renato Brunetta. "Innanzitutto perché la Corte costituzionale non si è ancora pronunziata e, a meno di non avere la palla di vetro, il ministro non sa, come del resto nessun altro italiano, che cosa la Corte deciderà e se la legge elettorale sarà dichiarata incostituzionale, in quali parti e con quali effetti".

CORRIERE.IT
La patata bollente dell’Imu sta per finire in mano ai Comuni. L’Anci scende allora in campo per cercare di intavolare una trattativa con il Parlamento. «Un incontro urgente per poter affrontare le questioni ancora aperte riguardanti i Comuni contenute nel disegno di legge di stabilità 2014», lo ha richiesto il presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani, Piero Fassino, ai capigruppo della Camera dei Deputati. Fassino chiede di potersi confrontare «in considerazione della rilevanza degli argomenti, anche a seguito delle modifiche introdotte dal Senato».

L’INCERTEZZA - «La discussione di queste ore intorno alla legge di stabilità in particolare sulla tassazione della casa non solo mantiene una soglia inaccettabile di incertezza per cittadini, aziende e amministrazioni comunali ma rifiuta senza alcuna logica il principio della virtuosità degli enti locali», rincara la dose il sindaco di Pavia e vicepresidente vicario dell’Anci, Alessandro Cattaneo. «Unica leva per premiare chi effettivamente fa dell’efficienza la natura stessa della propria amministrazione rispetto a chi invece si presta a sperperi consapevole che poi comunque sarà lo Stato a ripianare ogni debito - continua -. È il valore della responsabilità che si vuole qui far emergere contro quello dell’egualitarismo al ribasso». «E la responsabilità deve valere per tutti, a iniziare da noi Comuni - conclude - tanto che dobbiamo riconoscere che alcuni aumenti “lastminute” dell’aliquota prima casa possono esporci a polemiche controproducenti».

PISAPIA - «La decisione di ieri del Governo di non dare ai Comuni l’intero gettito dell’Imu prima casa facendo pagare una parte ai cittadini, nonostante le promesse, è una follia. Se così fosse, e confido ancora non sarà, saremmo allo scontro istituzionale». Lo afferma Giuliano Pisapia, sindaco di Milano. «Milano - prosegue - non ci sta, l’Anci non ci sta: nessun governo può permettersi di non fare fede a impegni presi pubblicamente, e a più riprese, e di andare così violentemente contro gli interessi dei cittadini e di coloro che li rappresentano, ovvero i Comuni».

DE MAGISTRIS - Anche il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, incalza il governo affinché «risolva i problemi e stanzi le risorse per i Comuni», a cominciare da quelle promesse per sostituire il getitto della seconda rata dell’Imu, cancellata con la Legge di stabilità. Il pimo cittadino partenoepeo dice di non voler «neanche immaginare un piano ‘b’» nel caso in cui le risorse non dovessero arrivare.

QUELLO CHE AVEVA SCRITTO IERI LA BACCARO
Alla fine del percorso della Stabilità in Senato e prima dell’approdo alla Camera si è chiarito il quadro della nuova tassazione sulla casa. Le abitazioni principali non pagheranno l’Imu ma parte della Iuc, quella relativa ai servizi (Tasi) con un’aliquota base dell’1 per mille e un tetto, solo per il 2014, del 2,5 per mille. I Comuni hanno ricevuto in dotazione 500 milioni per eventuali detrazioni e altri 200 milioni di euro sono arrivati ieri nel maxiemendamento per la deducibilità ai fini Ires e Irpef dell’Imu sui capannoni industriali che sarà del 30% solo per il 2013, poi del 20%.