Andrea Malaguti, La Stampa 28/11/2013, 28 novembre 2013
FORZA ITALIA A RUBBIA E PIANO: “VERGOGNATEVI”
«Vergognatevi». Il primo a parlare è Sandro Bondi. Terreo. Sconvolto. Amaro. Guardando in tralice i banchi dei senatori a vita due file sotto di lui. «Chiedo ai colleghi se a loro sembri normale che persone appena nominate in questa Camera, e che non si sono contraddistinte per le presenze, siano chiamati a votare sulla decadenza del leader del centrodestra». Pausa teatrale. Aspetta il consenso del gruppo di Forza Italia. Lo pretende. Lo ottiene. E non è chiaro se stia usando una sorta di cameratismo virile - sono qui e lotto per il Capo - o semplicemente abbia deciso di trattare i senatori indicati da Napolitano (Rubbia, Piano, la Cattaneo, e anche Abbado, tenuto lontano da problemi di salute) come feccia di un ceto inferiore.
Ma deve essere cameratismo virile, perché il primo ad affiancarlo nell’invettiva è Maurizio Gasparri. Che decide di sparare su un solo bersaglio grosso. «Renzo Piano è stato fino ad ora impegnato nella costruzione di opere bellissime, ma qui non siamo a Parigi ad ammirare la ghigliottina. Avrebbe potuto continuare a ignorare il proprio mandato come ha fatto fino ad oggi invece di partecipare alla gogna». Non ti sei mai presentato, come mai adesso sei qui? Domanda retoricamente curioso visto che l’uomo al centro del dibattito, il senatore Silvio Berlusconi, ha lo stesso numero di presenze alle votazioni dell’Archistar. Vale a dire zero.
In ogni caso Piano lo guarda con sufficienza, come se fosse un oggetto di modesto interesse. Poi, uscendo dall’Aula, si diverte. «Sono abituato ad essere attaccato dai costruttori a cui non piace il mio lavoro. Essere attaccati da Bondi e Gasparri è sublime. Pura beatitudine». Au revoir.
Anche Carlo Rubbia - che con la Cattaneo passerà dal Misto ai Socialisti - si alza piano dallo scranno evidentemente troppo piccolo per la sua mole imponente. Si sistema il calzino grigio che quando si siede gli lascia scoperto mezzo polpaccio. Chiude il computer e si avvia verso la buvette. Professore che effetto le fanno queste accuse? Allarga le braccia. «Lasciatemi vivere». Sono i suoi colleghi senatori che sembrano intenzionati a complicarle l’esistenza. Si ferma. Sgrana gli occhi.
Professore la insultano. «Ne prendo atto». Ha voglia di evitare la polemica. Invece dice una cosa dura. «Non vorrei che fosse un assaggio di montalcinismo». Rita Levi Montalcini. Premio Nobel e senatrice a vita. Finita nel tritacarne della destra più volgare e sguaiata nel 2006. Aveva 97 anni. Storace le offrì le stampelle per il suo appoggio al governo Prodi. E qualche suo collega, con inarrivabile buongusto, sventolò dei pannoloni in Aula. Preoccupato Professore? Rubbia la prende larga. «So solo che i nostri voti non saranno decisivi nella decisione di oggi. E so anche che all’estero questa situazione non sarebbe giudicata positivamente. Di sicuro noi senatori a vita possiamo fare liberamente le nostre scelte». Pentito di essere qui? «Sto ancora cercando di capire dove sono. Non è banale spostarsi dall’estero. Ma voglio essere molto più presente». Segue uno di quei silenzi in cui si concorda tacitamente di non proseguire il discorso. D’altra parte c’è qualcosa da aggiungere? Riprende il sui posto. Vota. Spinge nove volte il pulsante rosso. Quello dell’espulsione.