Salvatore Bragantini, Corriere della Sera 28/11/2013, 28 novembre 2013
MPS, LA MIOPIA DELLA FONDAZIONE E LE SCELTE (GIUSTE) DEL MANAGEMENT
La banca Monte dei Paschi di Siena (Mps) continua il viaggio verso la salvezza. Dopo aver superato faticosamente l’esame della Commissione Ue sui «Monti bond», in odore di eresia per possibili aiuti di Stato, il suo consiglio di amministrazione ha proposto ai soci un aumento di capitale di 3 miliardi, per rafforzare il patrimonio e rimborsare 2,5 dei 4 miliardi di bond emessi a fine 2012.
La rubrica «Lex Column » del Financial Times ha ieri dato un giudizio positivo sull’aumento, pur se conclude ricordando che i problemi di Mps non sono finiti per sempre (affermazione questa valida per tutti, salvo i morti). All’aumento si oppone la Fondazione Mps, azionista al 33% della banca, che non ha i soldi per «seguirlo»; dovendo questo avvenire a forte sconto sui corsi di mercato, chi non lo sottoscrive vedrà polverizzata la propria quota. Di qui l’opposizione della Fondazione, comprensibile sì, tuttavia errata. Il management di Mps deve pensare alla sopravvivenza prima e al rilancio poi della banca: senza aumento, Mps finisce nazionalizzata, per via del meccanismo dei «Monti bond». Sarebbe molto peggio, per Siena e per la Fondazione.
Questa condivide sì la necessità dell’aumento ma chiede di rinviarlo, sperando di trovare un modo per non farsi diluire; il management giustamente obietta che così si rischia il peggioramento delle condizioni di mercato, oggi tanto favorevoli da indurre una schiera di banche a garantire a fermo l’incasso dei 3 miliardi.
Ognuno faccia il proprio mestiere, al management spetta salvare Mps dalla nazionalizzazione che porrebbe, questa sì, per sempre fine ai suoi problemi. E se l’opposizione della Fondazione è comprensibile nella visione dell’investitore privato, lo è meno per un’istituzione cui preme il benessere di tutto il territorio. Stavolta infatti è la Fondazione a volersi comportare come un gretto socio, che vorrebbe anteporre le proprie convenienze all’esigenza di continuità dell’impresa.
Fortuna che il Sindaco di Siena, Bruno Valentini, ha scolpito concetti memorabili (Il Sole 24 Ore , 27 novembre): «Siena non può assistere inerme a questa sorta di colpo di stato interno, per cui la banca si libera di un proprietario. Mi pare che si voglia trovare una soluzione solo finanziaria, in nome della quale si uccide il ruolo di guida equilibrata e responsabile della Fondazione. In passato è stata la banca a tirare nelle sabbie mobili del debito la Fondazione, ora non può assistere senza reagire al naufragio del suo principale azionista...(che) ha bisogno di tempo».
È raro trovare tanti strafalcioni in così poche parole! Lo stile, anzitutto, ricorda quello dell’anziano leader che straparla di assassinio politico solo perché finalmente la legge ha il suo corso. Il ruolo di guida equilibrata e responsabile della Fondazione lo vedemmo bene quando Mps acquistò Antonveneta per 3 miliardi in più del prezzo appena pagato dal venditore ad Abn Amro; se essa lo avesse davvero esercitato, lungi dal farsi «tirare nelle sabbie mobili», avrebbe bloccato il management dell’epoca. Non si può, nello stesso istante, accusare Mps di aver costretto la Fondazione ad aderire all’aumento allora, e di impedirglielo ora. Questa è certo, come dice il Sindaco, una «soluzione solo finanziaria», ma tutti attendiamo ansiosi dalle sue parole la soluzione, non finanziaria, all’insufficienza del capitale. Con alleati simili la Fondazione non andrà lontano.
È augurabile che in assemblea la Fondazione usi lo spazio di manovra che s’è tenuto aperto, evitando di bloccare l’aumento di capitale.
Ora un arduo esame aspetta Mps, prima del passaggio sotto la vigilanza della Bce. La gran quantità di titoli di Stato che essa ha in pancia causerà forti contrasti; si vedano le bordate del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, inquieto perché l’esposizione in titoli di Stato non impegna capitale regolamentare, e sfugge ai limiti sulla concentrazione dei rischi. Sarebbe davvero singolare che gli stress test imponessero alle nostre banche più capitale, perché hanno titoli di quello stesso Stato che, in ipotesi, dovrebbe ricapitalizzarle, se il mercato non lo volesse fare o non ci fossero abbastanza crediti subordinati da sottoporre al «taglio di capelli».
Se Standard & Poor’s intende declassare le Generali, ree di avere troppi titoli di Stato italiani, il toro va preso per le corna; ricordiamo, con Marco Onado (Il Sole 24 ore , 26 novembre), che certi medici strampalati vorrebbero rafforzare un soggetto a rischio di infarto, sottoponendolo ad una maratona. Il tema vero è politico, e grave, ma questa è già un’altra storia.