Angelo De Mattia, MilanoFinanza 28/11/2013, 28 novembre 2013
ROCCA SALIMBENI E PALAZZO SANSEDONI ORA DEVONO COLLABORARE
L’espressione «colpo di Stato» mai come in questi ultimi tre giorni è stata oggetto di così ampio uso: dalla vicenda della decadenza di Berlusconi fino all’incredibile qualificazione data dal sindaco di Siena, con l’aggiunta di «interno», alla decisione del cda di Mps di promuovere un aumento di capitale di 3 miliardi da sottoporre all’assemblea straordinaria del 27 dicembre. Si è in tal modo delineato, al di là della strampalata valutazione, il sentiero strettissimo che la banca è chiamata a percorrere, tra due precipizi: la nazionalizzazione, nel caso in cui non si riesca in tutto o in parte a onorare il debito verso lo Stato acceso con i Monti bond, e la reazione della Fondazione che dall’aumento di capitale sarà massimamente diluita fino ad approssimarsi alla scomparsa dal novero degli azionisti, se - ecco il punto cruciale - aderirà con il voto in assemblea, per ora possedendo il 33,5%, all’operazione decisa dal consiglio e non riuscirà a sottoscrivere una quota. Ma forse ancora peggiore rischia di essere lo scenario che si prospetterebbe se la proposta fosse bocciata dall’assemblea. L’epilogo della lunga, dolorosa vicenda Mps poteva agevolmente essere inscritto in un quadro, non necessariamente pessimistico, di previsioni. Che fosse imperativo operare per il risanamento e il rilancio dell’istituto è fuori discussione. Che ciò presupponga la prevenzione dell’esito della nazionalizzazione, del pari, è ineludibile, essendo l’eventuale ingresso dello Stato nella compagine azionaria un passaggio che ineluttabilmente porterebbe all’alienazione di Mps, magari «a pezzi». Che da queste premesse scaturisse l’ipotesi, realistica, di un netto ridimensionamento della Fondazione - anche fino all’uscita dall’azionariato - era ugualmente nella genesi e nello sviluppo di questa dannata vicenda e ora potrebbe avvicinarsi alla materializzazione. Detto ciò, ci si potrebbe chiedere quale sia la finalità della difesa di un istituto dalla storia gloriosa - ove si eccettuino gli ultimi 15 anni - e dagli intensi legami con il territorio. La risposta è che, intanto, la banca va difesa dal precipitare in una situazione che potrebbe richiedere provvedimenti di rigore: un bene del Paese, un insieme di esperienze, competenze e lavoro dev’essere a tutti i costi preservato. Alla base di questa finalità ci sono la tutela del risparmio, la protezione dei risparmiatori e degli investitori e il mantenimento e lo sviluppo della funzione dell’erogazione del credito a livello locale e nazionale. Poi c’è da difendere il valore, non solo simbolico ma reale, dell’insediamento a Siena dell’istituto, dando così risposte meno incerte a chi vi lavora e già è stato chiamato a sacrifici. Vale la pena al punto in cui siamo ripercorrere i gravissimi errori compiuti che hanno portato a questo angusto sentiero? No, ma da questo recente e meno recente passato non si può prescindere e ciò significa dover rimborsare, nelle attuali condizioni dei mercati, 2,5 miliardi di bond assegnati al Tesoro e pagare gli interessi sul prestito di 360 milioni. Ora veramente il «re è nudo». Si tratta, in definitiva, di affrontare in un modo nuovo il rapporto tra stabilità di Mps e territorio, non necessariamente intermediabile dalla Fondazione. Certo, sarebbe superficiale trascurare i problemi che vive quest’ultimo ente e non nel ricordo dei fasti del passato (ma anche delle assurde leggerezze che non hanno portato a forgiare una visione previdente e a disattendere le sollecitazioni e i moniti, tra la fine degli anni 90 e gli iniziali anni 2000, della Banca d’Italia). Arroccarsi su un «non possumus» o su una decisione di rinvio dell’operazione di aumento del capitale non gioverebbe alla Fondazione. Invece sarebbe auspicabile che, deposte le reazioni stizzite, si cooperasse intensamente in questi giorni tra Mps e Fondazione per individuare una soluzione che, ferma restando la deliberazione in questione, tenga conto dell’esigenza della non scomparsa dell’ente dall’azionariato. Un percorso difficile, ma che verrebbe affrontato per dare prova di una volontà di coesione in un momento in cui l’immagine e i simboli hanno peso. L’esperienza imprenditoriale della presidente della Fondazione dovrebbe tornare utile in questo passaggio. Altro tema è quello del modo in cui sarà composta la nuova compagine azionaria in seguito all’aumento, considerata la blindatura da parte del consorzio di banche che ha in Ubs il global coordinator. Prevedere presidi statutari, dopo avere smobilitato il blocco del 5%, sarebbe inteso come un freno. Resta tuttavia aperta la questione dell’indeterminatezza dei caratteri dei possibili nuovi soci. Profumo e Viola hanno svolto finora egregiamente il loro compito in una situazione difficilissima e dovendo spesso assumere posizioni di cui avrebbero fatto volentieri a meno in una diversa condizione. Sono prevalse, e non poteva essere che così, la salvezza e la ripresa di Mps. Anche nei confronti delle posizioni rigoristiche e non sempre equanimi di Bruxelles. Il piano industriale messo a punto deve essere valorizzato. Ai due esponenti non sfuggono la grande posta oggi in gioco nonché gli stessi rischi nella formazione della compagine socia. Ma la via ineludibile del mercato questo comporta. La saldezza della governance è tuttavia garanzia di un procedere trasparente, leale, nel nome della sana e prudente gestione.