Francesco Damato, ItaliaOggi 28/11/2013, 28 novembre 2013
UN TEMPO ERANO PAPPA E CICCIA
Eppure, a dispetto dell’epilogo durissimo dei loro rapporti, e delle distanze obbiettivamente abissali fra le loro culture e militanze politiche, Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano per quasi un ventennio sono apparsi fatti apposta, o quasi, per attrarsi. E qualche volta persino per piacersi. Al punto da fare entrare Napolitano nel mirino della sinistra politica e mediatica più accesa. Un mirino dal quale il presidente della Repubblica forse non uscirà neppure ora che ha voluto segnare nel modo più netto e clamoroso la rottura con il leader di Forza Italia, dandogli con un comunicato di chiusura alla grazia quello che la Repubblica ha definito «schiaffo», gridandolo trionfalisticamente in prima pagina.
L’inizio del rapporto - La storia della strana attrazione fra i protagonisti odierni di uno scontro così duro comincia nell’aula di Montecitorio nella primavera del 1994. Berlusconi è presidente del consiglio da pochi giorni, nominato molto malvolentieri il 10 maggio dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Eppure il Cavaliere ha vinto nettamente le elezioni sia sulla «gioiosa macchina da guerra» improvvisata dal segretario del Pds-ex Pci Achille Occhetto, sia sul terzo polo post-democristiano allestito da Mino Martinazzoli e Mario Segni.
Il ruolo di Giuliano Ferrara - Ad annunciare e motivare la sfiducia dei post-comunisti al primo governo Berlusconi è proprio lui, Napolitano, reduce dalla presidenza dell’ultima camera dei deputati della cosiddetta Prima Repubblica. Lo fa con un discorso che Berlusconi, affiancato nei banchi del governo dall’amico e consigliere Giuliano Ferrara in veste di ministro per i rapporti con il parlamento, mostra di apprezzare per lo stile. Lo fa nel modo più spettacolare, lasciando il proprio posto per raggiungere Napolitano e stringergli la mano.
Pannella impone Bonino - L’esordiente capo di governo non si limita a complimentarsi. Si propone di assegnare all’autorevole esponente della sinistra, sempre consigliato da Ferrara, di blasonata famiglia comunista, uno dei due posti spettanti all’Italia nella commissione dell’Unione Europea. Napolitano, approdato all’europeismo nel vecchio Pci ben prima di tanti altri compagni, naturalmente e giustamente gradisce l’offerta. Ma Marco Pannella, che ha contribuito al successo elettorale di Berlusconi, si mette di traverso e impone Emma Bonino. Che affianca pertanto a Bruxelles, per l’Italia, il professore bocconiano Mario Monti.
Le strade tornano a incrociarsi - Le strade di Berlusconi e di Napolitano tornano a incrociarsi nel 2006, quando la sinistra, reduce con Romano Prodi da una stentata vittoria elettorale sul centrodestra, s’imballa nella corsa di Massimo D’Alema al Quirinale, alla scadenza del mandato di Carlo Azeglio Ciampi.
L’elezione di Napolitano al Quirinale- A D’Alema, già sconfitto da Fausto Bertinotti come candidato alla presidenza della camera, servirebbe, per l’esiguità della maggioranza di governo, e per la natura stessa delle funzioni di capo dello Stato, una certa disponibilità, o neutralità, di almeno una parte dell’opposizione. Ferrara, non più ministro ma fondatore e direttore del Foglio, elargisce al centrodestra consigli lodevolmente trasparenti e argomentati in questo senso. Ma Berlusconi, un po’ temendo di non essere compreso dal proprio elettorato e un po’ ricordando l’infelice esito dell’avventura dell’ultima commissione bicamerale per le riforme istituzionali, guidata con il suo aiuto decisivo, proprio da D’Alema, non ci sta. E decolla, a questo punto la candidatura di Napolitano, che viene eletto il 10 maggio con 543 voti su mille presenti, fra deputati, senatori e delegati regionali. Lo aiuta politicamente anche la neutralità espressa dai berlusconiani con 347 schede bianche. D’Alema deve accontentarsi dei voti di 10 irriducibili grandi elettori.
Berlusconi a palazzo Chigi - Esauritasi in meno di due anni anche la seconda esperienza di Prodi alla guida del governo e costretto a sciogliere anticipatamente le camere, Napolitano richiama Berlusconi a Palazzo Chigi. E viene subito assediato da una sinistra che, un po’ incattivita dalla sconfitta elettorale e un po’ incalzata da un alleato ingombrante come Antonio Di Pietro, scambia il Quirinale per una sponda dell’opposizione. Reclama cioè sostegni espliciti o impliciti di Napolitano all’azione parlamentare, ma anche a quella giudiziaria, contro Berlusconi. La risposta del presidente della Repubblica è però negativa.
La ridefinizione dello scudo- Già nei primi mesi della nuova legislatura, esattamente il 2 luglio, il capo dello Stato autorizza il governo a presentare alle Camere il disegno di legge predisposto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano per proteggere il presidente del Consiglio e le altre maggiori autorità dello Stato con lo scudo della sospensione dei processi durante l’esercizio dei loro mandati. È una riedizione corretta di un altro scudo bocciato dalla Corte costituzionale, e che recava il nome dell’allora capogruppo di Forza Italia al senato Renato Schifani.
L’inusuale comunicato di Napolitano - Il 23 luglio, sempre del 2008, a tamburo battente rispetto all’approvazione parlamentare, fra le proteste dell’opposizione radunatasi anche in piazza, davanti al Quirinale, Napolitano promulga la legge mettendoci la faccia con un comunicato inusuale di motivazione. Che non basterà però l’anno dopo, il 7 ottobre 2009, a evitare un’altra bocciatura della Corte Costituzionale. Una bocciatura forse causata, più che dal merito reale delle correzioni apportate allo scudo precedente, dalle polemiche scoppiate tre mesi prima per un incontro conviviale, rivelato dall’Espresso, fra due dei giudici della Consulta, Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano - con Berlusconi e Alfano.
Napolitano e la rottura Berlusconi-Fini - L’anno ancora dopo, 2010, si consuma la rottura fra Berlusconi e Gianfranco Fini, che non si lascia trattenere dalle funzioni istituzionalmente neutrali di presidente della camera sulla strada dell’opposizione. Egli promuove un nuovo partito, e relativi gruppi parlamentari, e ospita nel suo ufficio riunioni finalizzate a una mozione di sfiducia contro il governo. Che si cerca di far votare tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre, a ridosso della sessione parlamentare di bilancio. Ma Napolitano interviene a gamba tesa reclamando la priorità dell’esame e dell’approvazione della legge di stabilità, ex finanziaria. E facendo spostare le votazioni sulla sfiducia al 14 dicembre, con un rinvio che risulterà prezioso a Berlusconi per recuperare terreno e salvare il governo.
Il Colle, Draghi e Tremonti - L’anno ancora dopo, 2011, è destinato a rivelarsi per Berlusconi davvero orribile. La maggioranza di governo, pur tra alti e bassi, si assottiglia progressivamente. Ed esplode a livello internazionale una crisi finanziaria che si sviluppa in Italia più acutamente che altrove per il livello particolarmente alto del debito pubblico. Il governo è costretto a ricorrere a misure di emergenza per la cui approvazione Napolitano interviene personalmente, pubblicamente e ripetutamente sulle opposizioni. Ma ciò non basta a contenere la speculazione finanziaria contro i titoli del debito pubblico e le preoccupazioni dell’Unione e della Banca centrale europea. Alle cui condizioni per interventi di sostegno Berlusconi peraltro non si mostra in grado di rispondere pienamente per il veto della Lega e le resistenze del ministro dell’Economia Giulio Tremonti a un provvedimento risolutivo sul meccanismo perverso e troppo costoso delle pensioni anticipate d’anzianità.
Le dimissioni di Berlusconi - Si arriva così, nell’autunno del 2011, alle dimissioni spontanee del governo, anche se poi Berlusconi dirà di esservi stato costretto per una congiura internazionale subita o addirittura avallata dal Quirinale, e alla soluzione tecnica di Monti. Così Napolitano evita un ricorso ad elezioni anticipate da cui il Pd avrebbe avuto, dalla sponda dell’opposizione, maggiori opportunità di vittoria di un centrodestra logorato dalle sue fratture interne e dall’aggravamento della crisi economica.
Le elezioni anticipate - Alle elezioni anticipate, ma solo di qualche settimana rispetto alla scadenza ordinaria, si arriva solo alla fine di febbraio di questo 2013. E Berlusconi, aiutato anche dal tempo fornitogli da Napolitano con la transizione del governo tecnico, riesce ad uscirne con un sostanziale pareggio. Che spiana la strada, dopo inutili resistenze opposte dal Pd guidato da Pier Luigi Bersani, prima alla conferma di Napolitano al Quirinale e poi, il 28 aprile, alla formazione del governo delle cosiddette larghe intese guidato da Enrico Letta.
Le condanne di Berlusconi - Anche nel suo secondo mandato il presidente della Repubblica si trova rapidamente chiamato a fronteggiare le difficoltà giudiziarie di Berlusconi. Che si accentuano prima con la condanna di primo grado al processo Ruby per prostituzione minorile e concussione, il 24 giugno, e poi con la condanna definitiva in Cassazione, in agosto, per frode fiscale. Ciò per parlare solo delle sentenze, e non anche degli altri processi in cantiere contro l’ex presidente del Consiglio.
Come Napolitano vuole proteggere Berlusconi- Alla sentenza di primo grado per la vicenda Ruby il presidente della Repubblica reagisce politicamente, e significativamente, incontrando Berlusconi al Quirinale, nell’ambito di consultazioni e iniziative a sostegno dell’azione di governo, fra gli attacchi e le derisioni del Fatto. Da quella in arrivo dalla Cassazione egli cerca inutilmente di proteggere il Cavaliere, sempre fra le proteste delle tifoserie più rumorose delle Procure della Repubblica, con appelli ripetuti ai magistrati a tenere conto anche degli effetti extra-processuali delle loro iniziative e decisioni. Di più, francamente, egli non poteva fare.
II percorso indicato a Berlusconi - Quando viene pronunciata la condanna definitiva, il capo dello Stato offre pubblicamente a Berlusconi «un percorso» di uscita, come lo definisce nel suo collegio difensivo l’avvocato Franco Coppi. È la disponibilità, annunciata con un comunicato il 13 agosto, ad esaminare una richiesta di grazia e di commutazione della pena detentiva in altra misura. Una richiesta però che per conclamate ragioni di «dignità» il Cavaliere si rifiuta di presentare, né permette ai figli o agli avvocati. E matura così, tra svolazzi di falchi, veleni di serpenti e accuse di Berlusconi in persona, una devastante e incontenibile polemica con il Quirinale. Ancora più devastante nella parte conclusiva del conto alla rovescia per il voto a Palazzo Madama sulla decadenza dell’ex presidente del Consiglio da senatore.
di Francesco Damato www.formiche.net