Luca Fornovo, La Stampa 28/11/2013, 28 novembre 2013
UN “REGALO” DA 4 MILIARDI PER I COLOSSI DEL CREDITO
Sotto l’albero a dicembre le due super banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit, si ritroveranno un “regalo” che potrebbe valere in tutto circa 4 miliardi di euro. Il Babbo Natale in questione è il ministro dell’Economia, Maurizio Saccomanni e la renna che porterà il dono è la Banca d’Italia. Dopo aver schierato la Cassa depositi e prestiti in aiuto delle piccole e medie imprese ripulendo però i crediti deteriorati rimasti nella pancia delle banche, il governo Letta apre il secondo capitolo di quello che a questo punto si può definire un vero programma salva-banche. L’obiettivo è sempre quello di aiutare i colossi del credito a superare gli stress test della Banca centrale europea, ma soprattutto ad avere la liquidità necessaria per tornare a prestare denaro a imprese e famiglie così da rimettere in moto l’economia e centrare per il 2014 una crescita del pil all’1%.
Ieri il Consiglio dei ministri ha approva il decreto per la rivalutazione delle quote delle banche nel capitale di Bankitalia. Un provvedimento che, al termine di un aumento di capitale, porterà l’istituto, presieduto da Ignazio Visco, a valere tra i 5 e 7,5 miliardi di euro. Mentre finora il valore era ancorato a quello del 1936, cioè appena 156 mila euro. Il decreto stabilisce anche che le banche potranno avere al massimo una partecipazione del 5% nella Banca d’Italia.
Calcolatrice alla mano, facendo i conti, appare subito chiaro che questa rivalutazione delle quote sarà un grande affare per i big del credito. In tutto si calcola che i benefici per i soci di Banca d’Italia (la maggior parte sono banche) sarà dai 5 ai 7,5 miliardi. Ma l’operazione si può definire, come direbbero gli inglesi, “win-win” perché a vincere è anche il governo: con la valutazione a 7,5 miliardi, la tassazione dei capital gain porterebbe allo Stato circa un miliardo.
Partiamo da Intesa Sanpaolo che col 42,4% è il maggiore azionista dell’istituto di via Nazionale e si ritrova con un asset che ora vale dai 2,1 a 3,15 miliardi di euro. La banca guidata da Carlo Messina dovrà scendere al 5% entro due anni e quindi dovrà vendere il suo 37,4%, che con la nuova rivalutazione vale 1,87-2,8 miliardi. Ma che la banca ha iscritto a bilancio a un valore più basso 624 milioni. Di conseguenza una volta venduta la quota, la plusvalenza, cioè il guadagno, che Intesa incasserà sarà di 1,2-2,2 miliardi. Già ma chi compra, chi paga? La Banca d’Italia. Il decreto al riguardo è esplicito: per favorire il rispetto dei limiti di partecipazione al proprio capitale fissati, l’istituto di Palazzo Koch «può acquistare temporaneamente le proprie quote di partecipazione e stipulare contratti aventi ad oggetto le medesime».
Se Intesa è il vincitore assoluto di quest’operazione, anche per Unicredit è un ottimo affare. La banca guidata da Federico Ghizzoni ha il 22,1% di Banca d’Italia per un valore che oscilla da 1,1 a 1,6 miliardi. Cedendo il 17,11%, Unicredit potrebbe ricavare dagli 855 milioni a 1,2 miliardi, con un guadagno che potrebbe variare da poco più di 600 al miliardo, visto che l’intera a partecipazione è a bilancio a ”soli” 284 milioni. Se si fanno i calcoli su Mps, viene il sospetto che probabilmente la rivalutazione di Banca d’Italia arriverà a 7,5 miliardi. Il motivo è presto detto: Monte Paschi ha il 2,5% di Bankitalia in carico a 188 milioni, che porta (guarda caso) a una valutazione di via Nazionale di 7,5 miliardi. Se invece la rivalutazione dell’istituto presieduto da Visco si fermasse a 5 miliardi, per banca senese sarebbe una beffa perché dovrebbero svalutare la quota di Banca d’Italia di oltre 60 milioni. Chi invece dovrà svalutare per 200-300 milioni le quote di Bankitalia sarà la genovese Carige. L’ex presidente-padrone, Giovanni Berneschi, in un eccesso di generosità che faceva comodo alla sua banca per rafforzare il patrimonio, aveva attribuito alla quota del 4% un valore di oltre 880 milioni, dando così a Bankitalia una valutazione da capogiro: 22,1 miliardi.