Filippo Ceccarelli, la Repubblica 28/11/2013, 28 novembre 2013
DA SUA EMITTENZA A CAIMANO E PAPI ASCESA E CADUTA DELL’EX UNTO DEL SIGNORE
E ALL’INIZIO fu come un rombo di tuono, il fragore inaspettato di un aereo lassù nel cielo, a tutto motore, 130 decibel da fracassare i timpani ai poveri abitanti di Rovagnasco, Redecesio e Segrate.
Sono giusto quarant’anni, e fu quello il primo e numinoso manifestarsi di Silvio Berlusconi, «un certo Berlusconi di 34 anni» lo qualificò Giorgio Bocca, quel giovane costruttore che con i suoi sistemi - già allora! - era riuscito nel miracolo di dirottare per sempre la bellezza di 270 voli da e per Linate, in tal modo salvaguardando la reclamizzatissima quiete degli abitanti dell’utopico quartiere satellite, Milano2, «la città del Sole».
Un monumento, per la verità abbastanza discreto, ricorda oggi la realizzazione della Edilnord, società partorita da una misteriosa finanziaria svizzera. Ma a pensarci bene c’era molto, anzi moltissimo di italiano nella brutale fantasia con cui anzitempo si inauguravano una storia, una forza e un’astuzia nate e comunque immediatamente affermatesi contro le regole.
Per cui Berlusconi ottenne di insediare quel prodigio di frastuono, scarico di combustibili sulla campagna e acrobazie aeree a 500 metri dal suolo facendo debitamente pesare che nella «sua» area era in costruzione l’ospedale San Gabriele, a sua volta fondato da quell’altro controverso visionario, don Verzè, pure lui destinato a finire male.
Qualche anno dopo Camilla Cederna descrisse tra «pelle, mogano e palissandro» quell’aitante palazzinaro «con un faccino tondo da bambino coi baffi, nemmeno una ruga, e un nasetto da bambola. Completo da grande sarto, leggero profumo maschio al limone». Per l’aspetto curato, la gentilezza del tratto e la chiacchiera esplosiva, profetizzò che sarebbe piaciuto «a un organizzatore di festini e congressi ». Ma intanto la Cederna riportò pure che per la fondazione di Milano 2, oltre a schermarsi dietro alla megalomania di don Verzè, la misteriosa Edilnord aveva sganciato ai partiti un sacco di soldi - più appartamenti arredati concessi in dono ad assessori e tecnici.
A chi crede che davvero Berlusconi sia rimasto vittima di una persecuzione per via della discesa in campo si consiglia vivamente la lettura di un libro di Michele De Lucia, Al di sotto di ogni sospetto (Kaos), da domani in libreria, che con scrupolo a tratti persino pedante documenta come tale «persecuzione» sia cominciata, semmai, assai prima. In quasi 300 pagine si incontra una tale abbondanza di vicende, una così ricca congerie di spregiudicatezze, affarismi e conseguenti impicci giudiziari, tutti rigorosamente ante-marcia (1963-1993), da far pensare che la decadenza decretata ieri a Palazzo Madama era in fondo il più inesorabile di tutti i possibili esiti.
Vedi, ad esempio, la crudele impudenza con cui agguantò l’imminente «reggia» di Arcore; o l’ingenua e insieme furba spudoratezza con cui si mise in casa il futuro «eroe» Mangano, che pure gli piazzò una carica di tritolo in giardino. Non si ha idea, né forse più memoria, di che tipetto fosse Berlusconi prima di farsi statista e di essere poi condannato e infine decaduto. Vedi l’interesse che già alla metà degli anni 70 suscita in Mino Pecorelli e la facilità con cui entra in relazione e nella P2 di Gelli. Non solo, ma per fare un favore ai dc finanzia la scissione del Msi; per aggirare la legge sulle tv approfitta dell’amicizia di Craxi; per stare più tranquillo si compra gli ufficiali della Guardia di Finanza che gli fanno le ispezioni; e sempre per i soldi, tanti soldi, troppi soldi, aguzza la fantasia, sfida il buonsenso, inventa l’inverosimile, insedia la tv commerciale, conquista l’immaginario, alimenta i consumi, ma intanto arruola prestanomi, traffica col parastato, fa affari con gente poco raccomandabile dalla Sicilia alla Sardegna, s’impossessa della Mondadori corrompendo giudici a destra e a manca.
Il libro di De Lucia ha giustamente in copertina un ritratto che più di ogni altro sintetizza l’uomo Berlusconi nella sua geniale, fantastica e sventurata quintessenza: il foto-ritratto che Alberto Roveri gli scattò nel 1977, capello lungo, sguardo intenso, espressione di ribalda indifferenza, gamba accavallata, occhiali da sole in mano e una rivoltella appoggiata sulla scrivania.
Tutto questo quindici anni prima di vendere agli elettori la rivoluzione liberale - e vabbè. Ma il dubbio resta: poteva un personaggio con tale grazioso passato e quell’arma da fuoco era, è vero, il tempo dei sequestri - comunque finire in un modo diverso da come è finito ieri?
Vero è che la storia è anche piena di filibustieri, e il mondo del potere di più. Di suo, Berlusconi vi recò in dote anche una specifica estetica, anch’essa molto italiana, sia pure nella variante bauscia e precocemente cinepanettonica, per cui - come da testimonianza del cognato - «Sua Emittenza» volle farsi nominare conte da qualche venditore di patacche araldiche, e per qualche tempo espose al muro quella specie di diploma.
Colpiva ieri, nel dibattito sulla decadenza, sentirlo chiamare «senatore» perché quel titolo ormai perduto in realtà gli stava stretto. Presto infatti si comprese che «il Dottore», nonché il «Presidente» (del Milan), «il Cavaliere», «l’Unto del Signore», «il Caimano», «lo Psiconano », «il Banana», «il Pompetta», o «Papi Silvio » che fosse, in ogni caso aspirava a una sovranità di tipo monarchico, che puntualmente realizzò una volta arrivato a Palazzo Chigi, «con coreografia medicea», come la designò Dossetti. Un articolato sistema di adulatori, cuochi, guardie, musici, buffoni, servi, parassiti, ruffiani e cortigiane da nascondere e al tempo stesso da mettere in vetrina, e insomma il regno berlusconiano come una specie di sogno, per parecchi di natura incubatica.
La vicenda pubblica ha un andamento ad altalena. Nel 1994 Berlusconi prese l’Italia e subito la perse; nel 2001 la riconquistò e di nuovo gliela tolsero; dopo il Predellino, stravinte le elezioni del 2008, Libero pubblicò un fotomontaggio del famoso ritratto napoleonico di Ingres, «Sua Maestà il Cavaliere», ma questi venne pure acclamato nelle strade: «Santo subito!» - e non certo per spirito di modestia lui accettò il titolo, gli suonava anzi opportuno, se non dovuto, pur esprimendo allegre riserve sulla tempistica. La decadenza fa oggi giustizia di quegli scrupoli, ma il guaio è che questo drammatico processo non riguarda più solo lui, ma l’intero paese e un pezzo della vita di ogni italiano, arci o anti che si voglia considerare.
E adesso fa uno strano effetto, e addirittura un po’ triste, «ricordarsi del tempo felice», almeno per Silvione e per i suoi devoti, «ne la miseria »: l’elogio della follia come risorsa da comizio, il cd di Apicella in dono a Bush, i cartelloni «Continua la luna di miele» sul fondale di Porta a porta, le copertine di Chi sul «Nonno Superman», i propositi di campare 120 anni, l’impegno a «vincere il cancro», i campi da golf a Lampedusa, la Finanziaria approvata in 12 minuti, Forza Italia sciolta in nove, i bigliettini alle due belle deputatesse Nunzia e Gabry (una lo tradirà), il trapianto di capelli imposto ad Alfano (e poi dice che si è ribellato), la nozione di «era berlusconiana» coniata da Quagliariello.
E sembra di rivederlo che con il casco da Mazinga coordina i soccorsi nelle rovine dell’Aquila, o con il fazzoletto da partigiano al collo sul palco di Onna, 25 aprile 2009, un secolo fa, all’azimut del consenso, da lui quantificato al 70,2 per cento, e due giorni dopo eccotelo alla festicciola di Noemi a Casoria. Posto che con i se non si fa la storia, se non avesse esagerato, se non si fosse ingaglioffito, se le sue ossessioni non avessero preso il sopravvento, ecco, forse Berlusconi sarebbe ancora lì. Ma come succede, il suo destino era segnato fin dall’inizio. E in quell’impensabile rombo di tuono, in quel fragore nel bel cielo della Lombardia, c’era già la sventura invisibile, la fine di ogni inutile gloria.