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 2013  novembre 28 Giovedì calendario

SCRITTI CORSARI


È una storia romanzesca e avventurosa, una storia del tutto salgariana. Lo è a dispetto del luogo in cui è cominciata: un edificio di Bologna che, nella primavera inoltrata del 1994, stava ospitando un convegno bancario. Durante una pausa della riunione uno dei partecipanti, Vittorio Sarti, lombardo di Casalbuttano (Cremona), lettore accanito dei romanzi di Emilio Salgari fino a diventarne un cultore appassionato, fu avvicinato da un usciere. Gli spiegò che nell’atrio c’era una persona che desiderava parlargli. Racconta Sarti: «Vidi un signore con una cartelletta tra le mani. Mi disse: “So che lei è interessato alle cose di Salgari e che non ci specula sopra”. Aprì allora il contenitore, mostrandomi che cosa c’era dentro: si trattava di manoscritti di appunti e di lettere. In uno appariva anche la firma di Emilio Salgari. Mi sembrarono carte autografe autentiche dello scrittore veronese. Il signore che avevo davanti a me, forse un ex libraio, aggiunse: “Le prenda. Se le studi con comodo. Poi mi farà sapere se le vuole”. Un po’ stupito della fiducia che mi aveva dato, visto che non mi aveva mai incontrato prima di quel giorno, ritornai a Milano, dove vivo tuttora, e avvisai subito l’amico Vittoriano Bellati, che purtroppo nel frattempo è morto. Era un valente studioso salgariano e ogni anno, all’anniversario della morte del romanziere, portava un mazzo di fiori sulla sua tomba al cimitero di Verona. Fatto sta che io e Vittoriano non ci pensammo troppo su. I manoscritti erano davvero di Salgari. Decidemmo perciò di comprarli. Ricordo che io feci un assegno di 700mila lire».
Quasi “vent’anni dopo”, per restare nel segno del romanzesco e dell’avventura, le carte vergate febbrilmente da Capitan Emilio d’ora in avanti arricchiranno la sala salgariana del Museo della scuola e del libro per l’infanzia di Torino. Fondato da Pompeo Vagliani, studioso della letteratura per ragazzi, e ospitato grazie alla Fondazione Tancredi di Barolo nel seicentesco Palazzo Barolo, conserva già 350 tavole originali e 450 volumi, prime edizioni e di interesse storico, di opere del creatore del Corsaro Nero e di Sandokan. Autore di una pregevole bibliografia salgariana e di un imponente dizionario dei personaggi, della flora e della fauna, dei luoghi geografici, che affollano i romanzi dello scrittore che si uccise per disperazione e per mancanza di denaro il 25 aprile del 1911, Vittorio Sarti ha voluto donare i manoscritti all’ente museale anche per onorare la memoria di Bellati. Conosciuti solo da qualche studioso, i documenti vengono esposti adesso per la prima volta e oggi, alle 17, saranno presentati a Palazzo Barolo. Così, in virtù del nuovo fondo, il museo torinese, l’unico nel mondo dedicato a Salgari, si avvicina a quello che in Francia celebra Jules Verne.
Che cosa contiene la donazione Sarti, rilevante in quanto gli autografi di Salgari sopravvissuti, o se non altro di cui è risaputa l’esistenza, sono pochi e rari? Intanto c’è una lettera di quattro pagine alla moglie Ida, che Emilio chiamava verdianamente Aida, risalente all’otto agosto del 1903. Ci sono degli appunti di una pagina e tre righe relativi alla trama di un romanzo, indicato con il titolo Sindhia il feroce; altri appunti dal titolo Piante americane delle praterie e Stati Uniti, di sei pagine, e ulteriori scritti, di due pagine, intitolati Malesia. Completano il prezioso fondo gli appunti sui Parsi, di una pagina e dieci righe; una lettera a Salgari dell’editore fiorentino Bemporad, del 28 marzo 1911, poco prima del suicidio del romanziere, e una ricevuta a firma Emilio Salgari, dell’11 ottobre del 1906, allo stesso Bemporad. Altri tre manoscritti, frammenti del romanzo sulle avventure di Testa di Pietra, sono stati regalati alla Biblioteca Civica di Verona.
Le carte, secondo Vittorio Sarti, sarebbero state in possesso del musicista genovese Emilio Firpo, amico di Salgari all’epoca del suo soggiorno nella città ligure. In seguito, per vie misteriose o quantomeno ignote, sarebbero finite nelle mani del fantomatico libraio di Bologna. Il nome di quest’ultimo, però, resta sconosciuto, dato che nemmeno Sarti lo rammenta: «È possibile che l’abbia segnato da qualche parte, ma sono molto disordinato e non saprei dove cercarlo». È dunque una «vicenda molto salgariana, molto sua, questa dei manoscritti che riemergono fortunosamente dai gorghi della storia», come nota lo scrittore Ernesto Ferrero. Oltre ad avere scritto un bel romanzo su Capitan Emilio, il direttore del Salone del libro, d’altronde, è stato destinato da una trama del fato o da un caso realmente singolare ad abitare nello stesso caseggiato di Torino, in corso Casale, che fu l’ultimo domicilio terreno di Salgari. Lo straordinario creatore di avventure mirabolanti, conclude Ferrero, «vive sempre la sua maledizione: la sua scrittura non vuole fermarsi mai, eppure nello stesso tempo sembra che non voglia lasciare traccia di stessa». Fino a quando un personaggio salgariano di nome Vittorio Sarti, bancario in pensione, che non appare nei romanzi ma è come se fosse presente, fa riapparire dai fondali del tempo la penna che non si spezza di Emilio.