Antonio Galdo, il Messaggero 28/11/2013, 28 novembre 2013
QUEGLI ADDII NELLA STORIA
Uscire di scena. Facile a dirsi, molto difficile a farsi. Talvolta impossibile, specie quando il potere logora chi ce l’ha, e quando, come in Italia, le classi dirigenti sono ossidate dalla gerontocrazia e la politica, in particolare, è avvolta nella nube del Grande Trauma in arrivo, prima o poi. Re Umberto di Savoia lasciò il Quirinale dopo appena 46 giorni di corona e fu costretto all’abdicazione. Fu costretto all’abdicazione dal Grande Trauma di un referendum istituzionale (Repubblica contro monarchia, con contestata vittoria della prima) e dallo choc collettivo di un paese tradito dai suoi monarchi e in corto circuito, fascisti (pochi) contro antifascisti (quasi tutti diventati dopo il 25 luglio), seguito al crollo del fascismo.
STORIA REPUBBLICANA
A proposito di Quirinale, e siamo alla storia repubblicana, a parte la “maledizione” del luogo, dove molti presidenti si sono trovati a un passo dall’impeachment e di Grande Trauma, non possiamo dimenticare due clamorose uscite di scena. La prima è quella di Giovanni Leone, che lasciò il palazzo con sdegno e con dolore, senza neanche volere il saluto dei corazzieri: l’uomo, prima del politico, era giustamente offeso per una campagna mediatica e giudiziaria che lo aveva descritto come un personaggio torbido, corrotto e perfino macchiettistico con il suo accento napoletano doc. Era tutto falso. Ma Leone ricevette la sua riabilitazione molto più tardi, e i primi a chiedere scusa a un uomo onesto e competente furono i radicali Marco Pannella e Emma Bonino. Due persone perbene, come Leone.
La seconda, traumatica uscita di scena dal Quirinale, fu quella di Francesco Cossiga, il “picconatore”, che con le sue picconate a ripetizione aveva dato una bella spallata alla Prima Repubblica: andò via prima della scadenza del mandato, con enfasi teatrale, come era nello stile di un personaggio vulcanico, bipolare, appassionato protagonista, prima delle dimissioni, e lucido osservatore, dopo le dimissioni, dei giochi di palazzo e delle trame del potere made in Italy.
GENEROSITÀ
Da un palazzo all’altro, sempre a Roma caput mundi, ed eccoci di fronte a un’ennesima uscita di scena da Grande Trauma, questa volta universale. Stiamo parlando di Benedetto XVI, papa Ratzinger, che rinuncia al soglio pontificio per generosità rispetto al suo Credo, consapevolezza degli anni, della fatica, e del peso degli intrighi curiali. E Benedetto XVI compie il suo gesto, uscire di scena, innanzitutto per responsabilità rispetto al popolo di Dio. Chapeau, Santo Padre, oggi Papa Emerito.
DALLE STELLE ALLE STALLE
Un passo indietro, e torniamo alla politica croce e delizia degli italiani brava gente, che però diventano carogne, quando si tratta di accompagnare qualcuno dalle stelle alle stalle. Bettino Craxi è uscito di scena sotto le grandinate, monetine comprese, delle inchieste di Mani Pulite. Non volle ritrovarsi in cella a continuare la sua battaglia, politica e personale, contro i magistrati che lo avevano ormai messo spalle al muro, e preferì il ritiro ad Hammamet, dove poi morì. Circondato solo dai familiari, in attesa anche lui di una riabilitazione poi parzialmente arrivata diversi anni dopo, come nel caso di Leone. Più freddo, e anche più coerente con le leggi dello Stato, fu Giulio Andreotti, che di uscire di scena nella vita non ha mai pensato, neanche quando era diventato per motivi anagrafici un arzillo vecchietto. Il divo Giulio, a differenza di Craxi, affrontò gli avversari- magistrati nelle aule dei tribunali, evitò la galera anche grazie alla copertura di un seggio di senatore a vita, concessa dal presidente Cossiga, e riuscì nell’impresa, rara in Italia, di una riabilitazione da vivo. Un vero miracolo, sul quale oggi, per esempio, scommette un personaggio del calibro di Antonio Bassolino, spazzato via dai suoi errori di governatore e di dominus assoluto del territorio, la porosa Campania, e da un’inchiesta giudiziaria che proprio qualche giorno fa si è risolta per lui in una completa e totale assoluzione. Bassolino, per il momento, ha scritto un bel libro, molto intenso e perfino toccante, e vedremo se e quando tornerà nel giro della politica che conta. Magari da accompagnatore di qualche nuova leva della sinistra sul territorio.
L’ex sindaco di Napoli sicuramente non vuole fare la fine di Achille Occhetto, uscito di scena in modo surreale. In fondo, a lui i (post) comunisti dovrebbero riconoscere il merito storico, il coraggio, di avere cancellato il nome Pci, una sigla fuori dalla storia e dalla realtà del riformismo europeo. E invece di Occhetto, da anni, non si parla più: è stato rimosso dalle cronache della politica e innanzitutto dai suoi (ex) compagni di partito, specializzati, capi e capetti, nell’arte oscura di divorarsi a vicenda. Come testimonia, ma è solo l’ultima puntata di un lungo film, l’assurdo sgambetto a Romano Prodi, padre nobile del Pd post Pci, prima acclamato per il Quirinale e poi tradito, dai compagni di quel partito che ha cancellato dalla sua memoria il nome di Occhetto, nel segreto dell’urna parlamentare.
REGOLE DEL GIOCO
Gli inglesi, maestri di stile e di democrazia, a proposito dell’uscita di scena, dicono: Lascia quando stai davanti, Quit while you’re ahead. Una regola saggia, da sottoscrivere. Peccato che in Italia, quando si tratta di potere, non è facile stare né davanti né indietro. E non solo nel girone infernale della politica. Anche nelle grandi aziende, nel circuito dei poteri ex forti della finanza, ai piani alti del capitalismo relazionale, si registrano due fenomeni paralleli. Puoi essere il capo più longevo del mondo, pensiamo a un caso attuale come quello di Giovanni Bazoli, oppure essere espulso nel giro di un attimo, e poi scomparire, perché considerato un alieno.
I MANAGER
Viene in mente, in proposito, un nome non attualissimo, ma certo molto significativo se consideriamo come è entrata in crisi in Italia la grande industria dell’auto, cioè la Fiat: Vittorio Ghidella. Era un personaggio di straordinaria competenza in quanto ad automobili, ma a un tratto, come amministratore delegato della Fiat, entrò in rotta di collisione con Cesare Romiti, che nella Fiat per decenni è stato il braccio, se non la mente in termini di capo azienda, di Gianni Agnelli, a sua volta consigliato da Enrico Cuccia. Romiti licenziò in tronco Ghidella, con ovviamente il placet dell’Avvocato e con argomenti anche pesanti, relativi alla trasparenza del manager, e fatto sta che da allora, uscita di scena da Grande Trauma, la Fiat è scivolata sul piano inclinato della mancanza di innovazione dei prodotti.
Vi chiederete, a questo punto del racconto, quale sarà l’uscita di scena di Silvio Berlusconi. Bella domanda. Anche perché ci vuole la palla di vetro, o l’azzardo del politologo, per essere certi che il berlusconismo, la cui stessa esistenza è legata in modo indissolubile al Capo, unico e solo, sia veramente giunto al termine della sua parabola.
Antonio Galdo