Roberto D’Alimonte, Il Sole 24 Ore 28/11/2013, 28 novembre 2013
IL DOPO-CAVALIERE E LE VIE DEL CENTRODESTRA
La storia politica di Silvio Berlusconi non è chiusa ieri con il voto sulla sua decadenza da senatore. Il Cavaliere esce dal Parlamento, ma non dalla politica. Quanto meno non subito. Infatti non ci si deve dimenticare mai che, nonostante tutto, ha ancora dalla sua parte sei-sette milioni di elettori fedeli. È il nocciolo duro del berlusconismo. Finché potrà contare su questi voti, e sulle sue risorse finanziarie e mediatiche, il Cavaliere non è finito. Oggi il vero problema per lui è quello di riuscire a conservare la fedeltà di questi elettori. L’uscita di Forza Italia dal governo fa parte di questa strategia. Quella di ricordare a chi lo ha votato in passato che i motivi di quel voto non sono svaniti. Il governo Letta-Alfano è tornato a essere il governo delle tasse e dell’Europa della Merkel. Questa è l’arma che il Cavaliere utilizzerà per difendere il suo nocciolo duro. Con quale successo dipenderà da tanti fattori, da quello che sarà ancora capace di fare lui e soprattutto da quello che faranno gli altri. Ma in ogni caso una cosa è certa: il ciclo iniziato nel ’94 volge alla fine.
Il merito storico del Cavaliere è stato quello di aver unito la destra italiana. Una destra che era formata da tante anime – liberale, democratica-cristiana, postfascista, federalista/secessionista – divise e diffidenti l’una verso l’altra. Berlusconi aveva capito che l’Italia è un paese moderato-conservatore e che la sinistra non avrebbe potuto vincere in presenza di una destra unita. Il miracolo di unire la destra sembra riuscirgli già nel 1994. Ma dopo pochi mesi il sodalizio con Bossi si rompe e la Lega fa cadere il suo governo. Iniziano gli anni della "traversata nel deserto".
Ma Berlusconi non demorde. Pazientemente si rimette a tessere la tela dell’unità. A partire dal 2000 il progetto è finalmente realizzato. Alle politiche del 2001 tutti i pezzi della destra si presentano uniti sotto l’ombrello della Casa delle libertà. E Berlusconi vince. È l’inizio di un ciclo che dura fino alle elezioni del 2008. In questi anni i consensi al partito di Berlusconi si collocano tra il 29,4% di Forza Italia nel 2001 (quasi undici milioni di voti) e il 37,4% del Pdl (oltre tredici milioni e mezzo di voti). La performance della coalizione di cui il Cavaliere è leader indiscusso si colloca tra il 49,6% del 2001 (oltre diciotto milioni di voti) e il 46,8% del 2008 (diciassette milioni). Ma la netta vittoria del 2008 segna anche l’inizio dell’inversione del ciclo. Con l’uscita di Casini dalla coalizione comincia a incrinarsi l’unità del campo moderato. È stato il primo errore del Cavaliere. Il secondo sarà il mancato accordo con Fini e la sua espulsione dal Pdl. Parallelamente allo sgretolamento della coalizione dei moderati si materializza il declino dei consensi elettorali. Il tracollo arriva con le ultime elezioni. Il Pdl si ferma a 7.332.972 voti. Mai nella storia del berlusconismo il Cavaliere aveva perso una percentuale così elevata di consensi, oltre sei milioni, che diventano circa otto considerando tutta la coalizione.
Adesso è arrivata anche l’ultima defezione, quella di Alfano. Ma questa non può essere paragonata alle altre. È una cosa diversa. Casini e Fini nel momento in cui hanno abbandonato il Cavaliere si sono collocati fuori dell’area berlusconiana. Non così Alfano per cui il distacco da Berlusconi sembra quasi più una separazione consensuale che un divorzio vero e proprio. Si sono lasciati ricordando ai loro seguaci e a se stessi che si rincontreranno. Perché così vuole la logica del sistema elettorale. Sia quello attuale, per cui se si vuol vincere occorre allearsi per ottenere il premio di maggioranza, sia quello che alcuni vorrebbero resuscitare, e cioè la Mattarella, per cui occorre comunque allearsi per ottenere seggi nei collegi uninominali. Se Berlusconi riuscirà a conservare il suo nocciolo duro, lui e Alfano si ritroveranno alle prossime elezioni dentro la stessa coalizione. E allora potremmo scoprire che una coalizione di centro-destra che comprende un partito più moderato e un partito più radicale è più competitiva di quanto lo sia stata la coalizione di Berlusconi nel 2013 imperniata sul Pdl. Infatti il partito di Alfano potrebbe attirare gli elettori moderati delusi da Berlusconi mentre la dote di Berlusconi sarebbe costituita dagli elettori più conservatori e arrabbiati. Berlusconi non ne sarebbe più né il leader né il federatore. Per la destra sarebbe l’inizio di un nuovo ciclo. Ma non è questo che a quel punto conterà più per lui. L’importante sarà che non vincano gli altri. È uno scenario plausibile. Che si materializzi è un altro discorso. Dipenderà da quello che succederà nel centrosinistra. Dopo l’8 dicembre ne sapremo di più.