Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La tv yemenita Suhayl sostiene che il presidente Saleh è stato ucciso mentre tentava di fuggire dal palazzo presidenziale, una notizia smentita poi dalle autorità yemenite anche se Saleh non si è fatto vedere in televisione «e non parlerà alla stampa», circostanze che rendono la smentita almeno dubbia. Ieri è stata un’altra giornata di fuoco in Medio Oriente. Agli almeno sei morti yemeniti, si devono aggiungere le 67 vittime della repressione siriana e i dieci attacchi portati dall’Alleanza su obiettivi di Tripoli, in Libia, senza che si abbia, in questo caso, un bilancio di morti e feriti, almeno per ora. Nonostante questo, in Bahrein, le autorità hanno deciso che la situazione è abbastanza tranquilla per ripristinare il Gran Premio di Formula 1, che doveva svolgersi lo scorso 13 marzo e che venne sospeso proprio a causa dei disordini. Si correrà il prossimo 30 ottobre e il Gran Premio d’India – previsto a quella data – slitterà al 4 o all’11 dicembre.
• In Bahrein la situazione è tornata normale?
Così ha detto Zayed R. Alzayani, responsabile
dell’organizzazione della corsa. «Come nazione abbiamo dovuto affrontare
momenti difficili, ma ora c’è di nuovo stabilità. Lo stato d’emergenza è stato
revocato, gli affari sono tornati quasi alla normalità». Il Bahrein ospita la
Quinta flotta americana, nonostante questo Obama l’aveva incluso nei paesi che
devono decidersi a darsi delle riforme.
• Sa che non riesco a farmi un’idea d’insieme? Le
rivoluzioni della cosiddetta primavera araba sono un fenomeno unico o si tratta
di tante situazioni diverse casualmente esplose nello stesso momento?
Un elemento di sicuro unificante è l’Iran. Ieri, nella città
siriana di Hama – a nord di Damasco – sarebbero state uccise addirittura 67
persone. Le agenzie riferiscono che «le forze di sicurezza e alcuni cecchini
appostati sui tetti hanno sparato indiscriminatamente sui dimostranti nella
zona vecchia della città». Sono metodi che i siriani hanno appreso dalla
polizia iraniana: sparare dai tetti, sequestrare i bambini per indurre i
genitori a parlare, rastrellare i quartieri casa per casa, torturare, non
esistare a esplodere colpi ad altezza d’uomo. Da un ambasciatore occidentale
che sta a Damasco e deve restare anonimo sappiamo che «gli iraniani stanno
garantendo ai siriani addestramento e armi. È probabile che anche Hezbollah
(dal Libano) collabori perché che venga meno il suo principale fornitore;
registriamo un consistente aumento del numero di agenti iraniani inviati in Siria
dall’inizio delle proteste, lo scorso marzo». Gli iraniani hanno spiegato ai
siriani che, se serve, è bene sospendere alla città le forniture di acqua,
energia e viveri. A Damasco hanno anche preso ad ammassare prigionieri negli
stadi. Ieri un testimone ha riferito che «l’ospedale Hawrani è pieno di feriti
e di morti ed è circondato dai giovani che tentano di impedire l’assalto da
parte delle forze di sicurezza». Ci sono state manifestazioni un po’
dappertutt Amuda, Qamishli, Ras al Ayn, Daraa, Enkhel, Homs, Madaya,
Zabadani, Dayr az Zor…
• Perché il mondo si accanisce contro Gheddafi e
lascia fare al governo siriano questa carneficina?
La Libia è piena di petrolio. In Siria ce n’è poco,
quanto basta per la domanda interna.
• E in Yemen?
In Yemen il Sud si vuole staccare dal Nord. Hanno petrolio,
ma il loro pil, che doveva aumentare del 5%, crescerà solo del 3% a causa dei
disordini in corso. Qui c’è una delle più forti comunità qaediste, e del resto
bin Ladena era yemenita. Gli americani gli dànno soldi perché tengano a bada i
terroristi. La rivolta contro il presidente Saleh è a questo punto generale.
• È morto o vivo?
Mah. Yasser Yamani, uno dei dirigenti del partito al potere, ha gridat
«Il presidente Saleh sta bene! Continuerà a guidare il Paese se Iddio vorrà!».
Ieri i ribelli hanno sparato colpi di mortaio contro il palazzo presidenziale,
ammazzando quattro guardie e ferendo, oltre a Saleh, anche il primo ministro e
il presidente del Parlamento. In Yemen non è più una rivolta contro il governo,
ma una vera guerra civile. Nella capitale, Sana’a, si combatte. I governativi
sono andati a sparare contro la casa di Sadiq al-Ahmar, capo della tribù
ribelle degli Hashid. A Taiz la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti. Dallo
scorso gennaio, quando iniziò la rivolta contro il regime, sono state uccise
370 persone, 155 delle quali nella capitale negli ultimi dieci giorni.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 4 giugno 2011]
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