Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Marchionne ha detto che il quartier generale della Fiat resterà a Torino e non si trasferirà a Detroit. «Non è cambiato niente, il problema non è sulla mia scrivania». Altra affermazione carica di signficati: «Non posso accettare che l’appartenenza a Confindustria indebolisca la Fiat. Capisco le ragioni storiche, ma la Fiat viene prima di tutto». Come è noto, l’altro giorno Marchionne ha ricevuto, nello stabilimento Toledo, in Ohio, la visita di Obama. Era la terza volta che il presidente incontrava l’amministratore delegato della Fiat.
Che cosa
significa l’affermazione che la testa di Fiat resterà a Torino?
Semplicemente che è presto per affrontare il
problema. Probabilmente Marchionne non vuole neanche fastidi in Italia. Fastidi
politici e sindacali. Ieri ha anche detto che per le stesse cose in America lo
si elogia, in Italia lo si insulta.
E l’altra frase sulla Confindustria?
Questa è davvero importante. Marchionne con l’accordo-diktat
di Pomigliano, ribadito poi a Mirafiori e a Grugliasco, ha imposto al sindacato
italiano condizioni simili a quelle che ha dovuto subire il sindacato
americano. Punto chiave: se il contratto nazionale di lavoro non mi sta bene,
preferisco uscire da Confindustria e concordare un contratto mio. Per
Confindustria una decisione simile, apparsa concreta all’inizio della vertenza
su Pomigliano, sarebbe una mazzata tremenda. Marchionne la ribadisce adesso e
infatti da Confindustria arriva immediatamente una risposta, per bocca del vice
presidente Alberto Bombassei. «Le scelte di Confindustria sono ispirate
all’unico criterio di creare le migliori condizioni perchè le aziende possano
essere competitive oggi, nell’attuale contesto globale. Per questo nel 2009
abbiamo firmato il Protocollo sui livelli contrattuali al costo di una non
facile rottura con la Cgil. Per questo diciamo da tempo che laddove, come nel
caso della Fiat, vi sia un contratto aziendale che ha il consenso della
maggioranza dei lavoratori, tale contratto deve essere considerato valido per
tutti e deve poter sostituire il contratto nazionale di lavoro». Sono
affermazioni molto importanti. Confermano che il sistema delle relazioni
industriali, come si è andato definendo negli ultimi quarant’anni, è destinato
ad essere rovesciato. «Condividiamo pienamente la richiesta di Fiat di avere un
sistema in cui i contratti stipulati con una maggioranza dei lavoratori siano
pienamente vincolanti per tutte le organizzazioni presenti in azienda. Come
noto, siamo anzi pronti a definire un accordo in questo senso con le
organizzazioni sindacali che possa essere poi recepito dal legislatore».
Finalino per tenersi Marchionne: «Alla luce di queste considerazioni, riteniamo
che l’appartenenza a Confindustria non indebolisca Fiat, anzi la rafforzi». Se
veramente il legislatore – cioè il governo – varerà una legge con la quale si
ammetterà che il contratto aziendale può sostituire integralmente quello
nazionale e che le minoranze sindacali in azienda non potranno opporvisi sarà
per il nostro paese una vera rivoluzione.
È vero che le vendite di auto sono
ripartite?
Sì, dopo un anno di numeri disgraziati, a maggio
2011il mercato complessivo in
Italia è cresciuto, rispetto al maggio 2010, del 3,58%. Quello Fiat del 4,58,
con un aumento della quota di mercato dal 29,8 al 31,1. Naturalmente, se
paragonate ai successi delle case tedesche in Germania o delle case francesi in
Francia (60/70 per cento del mercato interno), la quota Fiat appare bassa. Ma
questo è un dato storico. E poi, la Fiat a questo punto è ancora una casa
italiana? Perché i successi americani sono strabilianti.
In poche parole?
A parte la visita trionfale di Obama allo stabilimento Jeep
di Toledo, Fiat ha concordato con la Casa Bianca il prezzo dell’opzione call
per prendersi un altro 6% di Chrysler: poco più di mezzo miliardo di dollari
per rilevare 98.461 azioni e andare al 52 per cento del capitale. Entro la fine
dell’anno, il Lingotto potrebbe poi salire al 57 per cento se produrrà una
vettura capace di percorrere 16 chilometri con un litro. Sta trattando col
governo canadese l’acquisto dell’1,7% della quota in suo possesso ed è
possibile che contratti con il sindacato Usa un pezzo del 40% in mano ai
lavoratori. Questo mentre le vendite della Chrysler sono salite del 10%,
superando quelle di Toyota e Hyundai. «La strada è ancora lunga, ma Chrysler ha
compiuto enormi progressi» ha detto il segretario al Tesoro Timothy Geithner.
E Obama?
«Non potrei essere più orgoglioso per quello che
avete fatto», ha detto. Due anni fa l’industria dell’auto americana era
destinata a scomparire. Obama sembra davvero essere riuscito a salvarla
[Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 5 giugno 2011]
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