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 2011  giugno 05 Domenica calendario

PADIGLIONE SGARBI: ESEMPIO DI UNA VICENDA MOLTO DI FAMIGLIA

L’Arte italiana è stata sommersa da un’ondata di felicità. Autore del miracolo, Vittorio Sgarbi, il quale nel Padiglione Italia di Venezia ha stipato 260 artisti (qualche opera deve ancora arrivare). Nelle «succursali» regionali se ne contano all’incirca altre 1600 (i numeri esatti non si conoscono: alcune mostre sono ancora in allestimento), cui bisogna aggiungere gli artisti di casa nostra che lavorano all’estero, esposti negli 89 Istituti italiani di Cultura sparsi per il mondo. Quindi, circa 2 mila artisti felici che, per effetto trascinante, coinvolgono nel loro «stato di grazia» altre 8 mila persone: mogli e mariti ufficiali, amanti (palesi o nascosti/e), vicini di casa, compagni di scuola o di lavoro (sì, perché ci sono anche artisti che fanno un altro mestiere). E i galleristi. Cui si aggiungono, naturalmente, eventuali genitori, figli, nipoti. E, scusate, i nonni dove li mettiamo? Insomma, mai, come stavolta, alla saga dell’arte corrisponde la saga della famiglia. Che rappresenta, tradizionalmente, uno dei punti cardine degli italiani. E, allora, in nome della felicità si può accettare di tutto. Per esempio, che le scelte siano state fatte da 200 «intellettuali» , molti dei quali si sono affidati al proprio gusto, ma anche ad un certo opportunismo, per segnalare un amico, l’amico di un amico o, anche, un artista di cui si possiede un’opera (inviata in Biennale, s’intende); che con l’utopica intenzione di spezzare il mercato (cosa d’altronde impossibile: volenti o nolenti, l’arte è merce) si sia voluto coprire una grande disorganizzazione dovuta alla mancanza di tempo del curatore (altri impegni), con la conseguenza di raffazzonare una rassegna, facendo lavorare gli altri, tipo io faccio il direttore d’orchestra e tu suoni; solo che stavolta molti musicisti non conoscevano la musica e al momento dell’esibizione, i suoni sono diventati stridii; che alcuni autori si siano ritirati e gli altri abbiano dovuto pagare il trasporto delle proprie opere; che molti abbiano ricevuto l’invito a un paio di settimane dall’inaugurazione e che, altri, invece, anche se in elenco, stiano ancora aspettandolo (per favore, che non si dica che i giornali di destra appoggino la frittata di Sgarbi e quelli che non lo fanno sono di sinistra; se c’è un caso dove destra e sinistra non c’entrano, è proprio questo); che, infine, ligio al proverbio «la migliore difesa è l’attacco» (riferito, però, alle arti marziali), all’inaugurazione di avant’ieri, Vittorio abbia inveito contro artisti, collezionisti, sovrintendenti, direttori di giornali di moda e contro quelli che minacciavano il suo amor proprio. Bisogna, invece, dire che il Padiglione Italia è lo specchio di Sgarbi: acuta intelligenza, notevole simpatia e grande senso del marketing. Spieghiamoci. Alla base di tutto, c’è uno smisurato egocentrismo del critico ferrarese. Hanno chiamato la svizzera Bice Curiger come curatrice della Biennale? Beh, Sgarbi le avrebbe rubato la scena anche se invece del Padiglione Italia, lo avessero incaricato di curare l’illuminazione dei Giardini. Avrebbe sicuramente inventato qualche diavoleria. E non credete che ci pensi su. Gli viene spontaneo, come respirare o camminare. Un esempio? Un paio d’anni addietro, quando era assessore a Milano, Evgenij Evtushenko venne nella città meneghina per presentare i primi due numeri della rivista del Pen Italia. Si organizzò anche una serata di poesia al Piccolo Teatro: un successo travolgente, dovuto all’istrionismo straordinario del poeta russo. La serata si concluse in una casa privata. Come al suo solito, Sgarbi arrivò circa un’ora dopo, accompagnato da tre donne. Ignorato, dopo un po’ si aggirava con un certo nervosismo. Al centro dell’attenzione c’era Evtushenko: cosa insopportabile per Vittorio. D’un tratto fece una telefonata e verso l’una di notte qualcuno suonò al citofono. Sgarbi aveva convocato un medico, figlio di un pittore, per farsi cambiare la fasciatura dell’addome. Invece di chiedere una camera dove effettuare la bisogna, si spogliò nel salotto, si distese su un divano e si fece medicare davanti agli ospiti allibiti. Le sue tre accompagnatrici, accostate, facevano da piccolo paravento. Per una decina di minuti, l’attenzione degli invitati si spostò su di lui. Anche se per poco, era riuscito a rubare la scena all’autore di Babij Jar. Ecco, Vittorio è fatto così. Nel caso specifico della Biennale, i «suoi» artisti hanno solo il ruolo di «comparse» . E anche se si considera che ciascuno di loro, in fondo, ha un forte grado di egocentrismo, davanti a quello di Sgarbi sono solo semplici apprendisti. In compenso, questo strampalato Padiglione Italia ha portato un’impennata eccezionale a molte agenzie di pubbliche relazioni, che hanno riempito le redazioni di comunicati. Sentite: «Alla vigilia degli 80 anni , pittore di boschi e fiori trasognati, debutta alla Biennale di Venezia, accolto a braccia aperte da Vittorio Sgarbi» . Probabilmente, la precisazione «a braccia aperte» (trattenuto?) appare indispensabile; diversamente, vista l’età, il maestro avrebbe corso il rischio di cadere in acqua. Altro comunicato: «Il Maestro fra i magnifici 200 del Padiglione Italia a Venezia» . Sembra il titolo di un western. Comunque, alla fine, tutto secondo copione (conoscendo Sgarbi, solo un ingenuo avrebbe potuto credere a un iter diverso, così come alla minaccia delle sue dimissioni) e tutti felici. Aspettate a vedere i prossimi curricula. In circa duemila potranno scrivere: «Ha partecipato alla Biennale di Venezia 2011» . Oppure, per distinguersi: «Non ha partecipato alla Biennale…» . Vedremo. Comunque, fra pro e contro, Tintoretto salva tutto e tutti. Forse, facendo un’eccezione, avrebbero potuto dargli il «Premio alla carriera» . Ma anche questo Sgarbi l’ha capito. E, dato che i Tintoretto sono stati voluti da Bice Curiger, egli s’è sentito defraudato e se l’è presa col Ministero che ha permesso di spostarli dalle loro sedi alla sala centrale dei Giardini.
Sebastiano Grasso