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 2011  giugno 05 Domenica calendario

CONTRO LA MODERNITA’, L’UTOPIA TALEBANA DI MASSIMO FINI

Di recente, soprattutto dopo l’ 11 settembre 2001, molti hanno riscoperto l’importanza delle ataviche radici bibliche della nostra civiltà, a loro avviso minacciata dal dilagare del materialismo e dell’edonismo, perché priva di forti riferimenti etici e spirituali. Ma spesso questa visione neoconservatrice coincide stranamente con l’idea che altri popoli debbano invece essere indotti, magari anche con la forza militare, a dismettere le loro antiche tradizioni per adottare proprio il modello sociale che tanti guasti si dice stia producendo in Occidente. Assai più coerente appare la posizione di Massimo Fini, che fin dal lontano 1985, con il saggio La ragione aveva torto, è giunto alla conclusione che la modernità industriale abbia portato all’uomo ben scarsi vantaggi, perché ha spezzato il ritmo naturale della nostra vita e ci ha resi tutti più fragili, nevrotici, infelici. Recuperare la tradizione è anche la sua parola d’ordine, ma in modo assai più radicale, nel senso di una completa inversione di rotta rispetto al primato della produzione e del consumo. Poiché Fini giudica particolarmente catastrofici gli effetti che la diffusione del modello occidentale ha avuto nei Paesi poveri, è logico che simpatizzi per chi con maggiore risolutezza vi si oppone. Non stupisce quindi che il suo nuovo libro Il Mullah Omar (Marsilio, pp. 171, € 16,50) sia una convinta difesa della causa talebana, fino quasi all’agiografia dell’inafferrabile (a dispetto delle voci diffuse sulla sua morte) leader che la incarna. A Fini piace molto l’idea di un «Medioevo sostenibile» , con «una società regolata sul piano del costume e in particolare del diritto di famiglia da leggi arcaiche risalenti al VII secolo arabo-musulmano» . Non ignora l’effetto oppressivo di un simile programma sulla parte più istruita della popolazione afghana, ma gli sembra un prezzo accettabile da pagare, pur di respingere l’influenza corruttrice dell’Occidente. Giunge al punto di paragonare la rivoluzione talebana a quella francese, che però «guardava avanti, al futuro» , mentre «il Mullah Omar guarda indietro, al passato» . Il che, agli occhi di Fini, è molto più saggio. Resta da chiedersi, ammesso e non concesso che la modernità e il progresso contraddicano la natura dell’uomo, come mai nulla ne abbia finora arrestato la marcia. L’esempio dell’Afghanistan, Paese quanto mai periferico, non appare molto significativo. E viene da pensare che lo stato di guerra permanente sia il combustibile più adatto per l’ideologia talebana, che forse non reggerebbe altrettanto bene in tempo di pace. Sono però assurde le sortite di chi invoca censure contro il saggio di Fini. I pamphlet ostili all’intervento della Nato in Afghanistan non sono certo una rarità. E questo ha almeno il pregio della chiarezza: il coraggio di schierarsi apertamente, non in modo equivoco e sottinteso, dalla parte dei fondamentalisti islamici.
Antonio Carioti