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 2011  giugno 05 Domenica calendario

LAMIERE, ERBACCE E ABUSI EDILIZI NELLA TAVERNA DELL’INCONTRO DI TEANO —

Se il posto è davvero questo, delle «pioppe già pallide che lasciavano venir giù le foglie morte sopra i reggimenti regolari che marciavano verso Teano» descritte da Giuseppe Cesare Abba nel suo «Da Quarto al Volturno» ne è rimasta soltanto una. Un albero gigantesco svetta fra i rovi accanto al bandone di lamiera ritorta e arrugginita che delimita il confine della Taverna Catena. Unico superstite, quel pioppo altissimo, di quanti il 26 ottobre del 1860 assistettero, secondo accreditate ricostruzioni, a uno degli eventi più importanti della storia italiana: l’incontro fra Vittorio Emanuele secondo e Giuseppe Garibaldi. L’incontro chiamato «di Teano» , come certificò un secolo dopo anche una relazione dell’esercito italiano, con l’intento di porre fine a una diatriba tipica di un Paese sempre disposto alle guerre di campanile. Ma al tempo stesso così avvezzo a rifiutare la propria memoria da lasciar ridurre in questo stato il luogo nel quale, 150 anni fa, sono simbolicamente cadute le barriere fra il Nord e il Sud. Non siamo a Teano, ma a Vairano Patenora scalo, una sgarrupata località del casertano a pochi chilometri da Avellino, dove davanti a quella che una volta era una taverna chiamata «della Catena» c’è una targa messa lì cent’anni fa: «Diario della spedizione dei Mille/MDCCCLX/XXVI ott. Garibaldi e il Re/s’incontrano/tra Marzanello e Vairano/marciano per sei miglia insieme/Francesco Crispi/Vairano Patenora/pose il XXVI ott. MCMXI» . Accanto, la bandiera italiana. Il resto è pena. L’edificio che in qualunque altro paese del mondo sarebbe meta di pellegrinaggi e religiosamente conservato, è vuoto e in stato di totale abbandono: in parte ridotto a uno stato vergognoso di rudere cadente. Erbacce dappertutto. Il retro è assediato dalla vegetazione, i fichi si sono fatti largo prepotenti nelle crepe dei muri. E come gli arbusti hanno preso possesso di ogni spazio libero, così una edilizia orrenda e sfacciata ha allagato tutta l’area circostante. Senza rispetto per i pioppi, per le mura secolari, per la storia di quel luogo: se si pensa che oltre a ospitare l’incontro fra Garibaldi e Vittorio Emanuele, in una cella della piccola caserma dei carabinieri adiacente alla Taverna (e ora scomparsa) fu imprigionato Antonio Gramsci. Ma è guardare la facciata principale, sulla statale Casilina, che fa ancora più male al cuore. Dietro il portone squassato si intravede, anche qui fra le erbacce, una struttura di cemento armato. Trent’anni fa la Taverna della Catena è stata svuotata e sopraelevata abusivamente. Tanto abusivamente da non poter nemmeno accedere al condono. Da allora va avanti una battaglia a colpi di carte bollate fra il Comune, che ha un’ordinanza di demolizione delle parti costruite illegalmente, e i proprietari che si oppongono con tutti i mezzi. E sarebbe una storia come tante nella nostra Italia, se non fosse per un paio di dettagli, uno conseguenza dell’altro. Il primo: l’importanza. Il secondo: l’immobile è vincolato come patrimonio culturale della Nazione. Il vincolo esiste dal 1967, quando l’allora ministero della Pubblica istruzione (il dicastero dei Beni culturali non esisteva ancora) stabilì che «l’immobile denominato Taverna Catena, sito in provincia di Caserta, comune di Vairano Patenora, costituente elemento dominante del quadro naturale sulla scena del quale si svolse lo storico incontro, con cui si conclude il processo unitario del Risorgimento Nazionale tra Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi… è dichiarato di interesse particolarmente importante ai sensi dell’art. 2 della legge 1/06/1938 n ° 1089, e viene quindi sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nella legge stessa» . Ebbene, alla faccia di quel decreto, nel 1975 parte l’abuso. E insieme comincia un assurdo percorso burocratico che dura anni. Fra pareri favorevoli e contrari, nulla osta e divieti, la sopraelevazione viene completata: sono gli anni dell’edilizia selvaggia, senza regole, senza piani regolatori, senza controlli. Nel 1985 arriva, provvidenziale, il primo condono edilizio targato Bettino Craxi e i padroni della Taverna tirano un sospiro di sollievo. Ma dura poco. Perché il Comune di Vairano, dove l’assessore ai lavori pubblici Salvatore Cerbo ha preso a cuore la storia di quella antica osteria, boccia la richiesta di sanatoria. La faccenda per i proprietari si complica. Ma si complica ancora di più per l’amministrazione comunale: a sorpresa, il 7 dicembre 1987 la soprintendenza di Caserta dà parere favorevole al condono confermando una sua vecchia decisione. Immediato il ricorso al Tar del Comune. Poi tutto si inabissa nei meandri del tribunale amministrativo. Per 17 anni la causa viene dimenticata. Finché un giorno del 2004, per un puro caso, mentre la pratica sta andando in prescrizione, i cassetti del Tar d’incanto si riaprono. Il Comune mette in campo un avvocato di Piedimonte Matese, Carlo Sarro, che nel 2008 verrà eletto senatore per il Pdl. E la spunta: il parere favorevole della Soprintendenza casertana va annullato, il condono è quindi inapplicabile. A quel punto ci si aspetterebbe il rumore delle ruspe. Invece passano altri 5 anni. Nel mentre la sentenza diventa definitiva, l’amministrazione comunale viene avvicendata… Arriviamo così al giugno 2010, quando la Regione Campania intima al Comune di abbattere l’abuso. Ma non è finita, perché parte l’estremo ricorso al Tar. La sentenza (forse l’ultima) è prevista per ottobre. E tutti tremano. A cominciare dai proprietari: sono in dieci, eredi della famiglia napoletana Tizzano, che ha dato i natali al famoso campione di canottaggio Davide Tizzano, medaglia d’oro alle olimpiadi del 1988 a Seul e del 1996 ad Atlanta. Ma trema, paradossalmente, anche il Comune. Il sindaco Giovanni Robbio fa capire che l’abbattimento del piano abusivo potrebbe compromettere l’intero stabile, il quale dopo i lavori di rifacimento degli anni Settanta poggia su una struttura di cemento armato. E poi i soldi: perché se all’abbattimento non dovessero provvedere i proprietari, allora ci dovrà pensare il Comune. Meglio allora studiare un’altra soluzione più soft. Già, ma quale? Perché in tutti questi anni non si sia arrivati alla soluzione forse più logica, quella dell’esproprio di un immobile così storicamente importante, abbandonato e inutilizzato, è un mistero. Certo, ci sono dieci eredi: questo significa trattare con dieci padroni diversi. Ed è una difficoltà oggettiva... Certo, mancano i quattrini. E con le quotazioni che hanno raggiunto gli immobili… Ma non ci sarà anche qualcos’altro? Il sindaco tira in ballo responsabilità più in alto: «Diciamo la verità. Il fatto è che lo Stato se n’è sempre infischiato» . E se nessuno se ne curava prima figuriamoci adesso, che l’unità d’Italia in questo governo a trazione leghista è argomento piuttosto fastidioso. Così anche il concorso d’idee che scade in questi giorni, bandito in attesa delle ruspe, per capire quale potrebbe essere il futuro destino del posto dove la nostra comune avventura nazionale è iniziata, rischia di essere uno sterile esercizio. Per acquietare forse un po’ le coscienze. Perché per decenni, anziché impegnarsi a trovare una soluzione onorevole per la Taverna della Catena, si è sprecato più tempo in squallide e insulse liti di campanile. Per esempio, poteva Teano farsi scippare a cuor leggero da Vairano Patenora scalo una così fulgida pagina di storia? Non poteva. Ecco allora che salta fuori un altro luogo dove Garibaldi avrebbe accolto Vittorio Emanuele come «Re d’Italia» . È il ponte di San Nicola, nei pressi della chiesetta di Borgonuovo, territorio comunale di Teano. La controversia sfocia in un gesto clamoroso: la sostituzione di una targa commemorativa che era stata affissa a Teano nel 1911, cinquantenario dell’unità. Lì sopra c’era scritto: «Vittorio Emanuele e Giuseppe Garibaldi/suggellato il patto fra popolo e Re/al quadrivio di Cajanello/convennero e sostarono in questa città/il 26 ottobre 1860» . Adesso la nuova lapide dice così: «Vittorio Emanuele e Giuseppe Garibaldi/suggellato il patto fra popolo e Re/a Teano /convennero e sostarono in questa città/il 26 ottobre 1860» . Il riferimento al «quadrivio di Cajanello» , luogo dove si trova appunto la Taverna della Catena, è scomparso. E la disputa prosegue. Con significative varianti. Una ventina d’anni fa un professore Di Padova, Letterio Briguglio, spiazzò tutti con una nuova rivelazione: l’incontro non sarebbe avvenuto a Vairano Patenora scalo, né a Teano, bensì a Caiazzo. E fortuna che la sua teoria non è stata presa tanto sul serio…
Sergio Rizzo