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 2011  giugno 05 Domenica calendario

UNA NUOVA SQUADRA E ALTRE ALLEANZE"

Una Fiat libera, una Fiat «flessibile che non si preclude nessuna possibilità», che «non dipende come un tempo dal sistema bancario». Una Fiat che può giocare a tutto campo.
La fiat può giocare a tutto campo, cominciando a guardarsi intorno per future nuove alleanze. Nel giardino di Villa San Clemente, in una pausa dei lavori del convegno dell´associazione Italia-Stati Uniti, Sergio Marchionne ragiona su che cosa sarà Fiat-Chrysler dopo l´uscita del Tesoro Usa. Un gruppo che sarà profondamente cambiato dopo l´estate: «Nelle prossime settimane metteremo mano a un radicale rinnovamento del management per meglio integrare». Pronta la squadra, partirà la battaglia d´autunno. Spiega l´ad: «Attualmente abbiamo in cassa molta liquidità ma intendiamo utilizzarla con parsimonia, tenerla come riserva. Per non tornare ai tempi difficili dell´inizio degli anni Duemila». Quando la Fiat si impiccò ai prestiti delle banche per evitare il tracollo. Tempi in cui Marchionne non era ancora a Torino: «Io non c´ero ma c´era lui», risponde sornione indicando poco più in là Gianluigi Gabetti, l´uomo che per aver evitato al Lingotto di finire in mano alle banche è stato processato dalla Consob e dal tribunale, condannato dalla prima e assolto dal secondo.
Per evitare un nuovo equity swap la Fiat si terrà stretta la sua liquidità. Ma una parte del denaro dovrà spenderlo per guadagnare la libertà di comandare a casa propria: «Le cene con troppe persone non funzionano», dice l´ad. Risolta con reciproca soddisfazione delle parti la pratica Obama, l´uscita del Tesoro di Washington dal capitale ha cominciato a ridurre il numero dei commensali. Il prossimo a salutare il desco dovrebbe essere il governo canadese: «Abbiamo presentato giovedì una proposta per rilevare l´1,75% oggi in mano al governo di Ottawa». La proposta è quella di applicare al pacchetto canadese lo stesso prezzo pagato a Obama per il suo 6%: «In sostanza abbiamo offerto 125 milioni di dollari». Non dovrebbe essere difficile concludere quella trattativa.
A quel punto intorno al tavolo di Chrysler i commensali saranno due: la Fiat e Veba, il fondo pensioni del sindacato americano. La prima con il 59% delle azioni, il secondo con il 41. Come convincere Veba a lasciare la cena? «Loro vogliono vendere», osserva Marchionne. Ma non a qualsiasi prezzo. Vogliono sfruttare al massimo l´investimento fatto nel 2009 scommettendo, con qualche azzardo, sulla nuova Chrysler nata dalle ceneri del fallimento. In base agli accordi, il fondo Veba può ottenere al massimo 4,25 miliardi di dollari da quelle azioni: «Ma oggi la loro quota vale di meno», osserva Marchionne. Utilizzando come metro di misura il prezzo pagato a Obama, il 41% di Chrysler vale oggi 3,4 miliardi. La trattativa è già in corso per decidere a quale punto intermedio tra 3,4 e 4,2 si colloca il prezzo di acquisto. Marchionne ha fretta perché sa che ogni giorno il valore di Chrysler aumenta. Ma anche Veba ha fretta: «Hanno un solo asset, quella partecipazione azionaria. E devono pagare le pensioni e l´assistenza sanitaria. I soldi per il dentista stanno finendo», dice l´ad. Come in Formula uno, vincerà chi frena più tardi.
Poi, non ci vorrà molto tempo, la proprietà di Chrysler sarà tutta nella mani della Fiat: alla tavola di Detroit sederà solo il Lingotto. E Marchionne sarà più tranquillo. Perché è vero che negli accordi Torino ha il diritto di prelazione sulla vendita delle quote da parte dei soci («Non siamo mica scemi») ma è altrettanto vero che «il rischio che arrivi qualcuno è sempre dietro l´angolo». Isolazionismo? «No certo, ma se arriva un nuovo socio voglio poterlo decidere io». Ecco la frase chiave nelle riflessioni veneziane di Marchionne: rimanere soli alla guida di Chrysler per potersi alleare meglio. «Vogliamo avere di fronte a noi tutte le porte aperte, vogliamo poter scegliere da soli in quale direzione incamminarci, non vogliamo precluderci nessuna possibilità».
Perché, è abbastanza chiaro, la corsa non si ferma con l´integrazione tra Fiat e Chrysler. Bisogna cominciare a guardare oltre: «Con tutto il rispetto, il business dell´auto non è come quello della cioccolata. Prevede una forte integrazione, grandi investimenti, è un mestiere complesso». Per questo le dimensioni sono decisive. Solo chi ha le spalle larghe può investire molto. Integrazione è l´altra parola chiave: «Dal punto di vista industriale per me non c´è differenza tra Europa e America. I nostri stabilimenti lavorano sulle stesse piattaforme e sugli stessi componenti». La differenza la fanno i mercati. Saranno loro a decidere il peso di Fiat e Chrysler nella nuova società che nascerà dalla fusione: «Il dilemma nasce dal fatto che tra pochi mesi negli Usa produrremo più auto che in tutti gli altri stabilimenti della Fiat». Dunque è quasi naturale che il baricentro si sposti oltreoceano. Almeno fino a quando non arriverà un nuovo alleato in grado di modificare nuovamente i pesi nel vasto impero di Sergio Marchionne.