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 2011  giugno 05 Domenica calendario

ALLEGRA LA MALINCONICA SUL TRONO DI VERSACE NEL NOME DI ZIO GIANNI

Nel consiglio di amministrazione del gruppo Versace è entrata in questi giorni anche lei, Allegra, 25 anni, figlia di Donatella e di Paul Beck, nipote prediletta dell´amatissimo zio Gianni, che non solo morendo assassinato nel 1997 l´abbandonava, ma che per troppo amore la imprigionava bambina dentro il sortilegio di un´eredità in quel momento al massimo del fulgore, divisa tra il fratello maggiore Santo, 30%, la sorella minore Donatella, 20% e lei, la nipotina undicenne studiosa e timida, con il 50%. Oggi Allegra è una giovane donna con la grazia gentile di un elfo, dalla bellezza delicata, dal lucente sguardo malinconico, che parla con garbo riflessivo, come a difendersi da qualsiasi intrusione in quell´Allegra sconosciuta agli altri che per anni lei è stata, ricostruendosi a poco a poco, dolorosamente, e che oggi si rivela, con disarmante dolcezza.
«Me lo ha chiesto la mamma, io ero dapprincipio riluttante, anche perché di finanza io conosco poco, poi ho capito che invece per me era necessario capire, partecipare, imparare di questo mondo così cambiato ogni possibile segreto. Oggi non è più come ai tempi dello zio, in cui contavano la creatività, l´audacia, la ricerca della bellezza estrema. È il marketing a dettare legge, è la merce, che deve essere venduta, ricercata ovunque».
Gli anni ´90 di Gianni Versace sono stati quelli del massimo lusso, della vistosità estrema, della ricerca di una felicità smemorata, degli eccessi. Lei era una bambina che lo zio trattava come una regina: ci sono centinaia di foto di voi due insieme, abbracciati, ridenti, in luoghi meravigliosi che erano il vostro regno e che oggi non appartengono più alla famiglia.
«Per anni io ho vissuto nel buio, non ricordavo nulla della mia vita prima di quel giorno terribile. Avevo perduto persino la sua immagine, ogni sensazione che ci aveva legati. Come se non ci fosse mai stato. Poi a poco a poco i ricordi sono tornati, sono tornate le immagini, le emozioni, gli sprazzi di felicità, e la mia vita si è liberata di quel vuoto che mi faceva paura, ha ripreso ad avere un principio, una storia, un futuro. Sul mio cellulare ci sono le foto sue, e quelle del mio amatissimo fratello Daniel, e di mia madre, che mi è stata tanto vicina anche se è diversa da me, lei irruente e decisa, io riflessiva, tranquilla, all´antica, lei che mette la celebrità al servizio del lavoro, io che la celebrità la odio. Ci sono anche le mie di foto, come quelle scattate da poco al festival di Cannes, alla serata dell´Amfar. I piatti li abbiamo disegnati noi!».
Lei era davvero molto piccola, ma c´è per quel che riguarda il lavoro cui intende dedicarsi, qualcosa dei suoi anni con lo zio Gianni che può aiutarla?
«Lo zio non lavorava, il lavoro era la sua vita, tutto il suo entusiasmo, e i suoi piaceri, e le sue passioni per l´arte e la musica erano il suo lavoro. Non credo che oggi esista qualcuno come lui, era unico. Quando ho capito quale carica d´amore contenesse tutto quello che mi lasciava, ho temuto che lui mi indicasse un futuro in cui avrei dovuto essere grande come lui: ma io sapevo che era impossibile, che non ne sarei mai stata capace. È stato molto brutto».
Lei ha vissuto dall´adolescenza negli Stati Uniti, per studiare ma anche per curarsi dall´anoressia, come qualche anno fa ha rivelato sua madre.
«Io lo chiamo il mio periodo di assenza, mi ero persa in altri pensieri, non potevo confrontarmi con la realtà, con gli occhi di tutti addosso. Io volevo soprattutto una cosa, non essere nessuno, non farmi riconoscere, non essere braccata. Ho studiato teatro, e mi sarebbe molto piaciuto far parte di quei piccoli film indipendenti che magari poi nessuno va a vedere. Ho amato per esempio tantissimo "Little Miss Sunshine". Ma dovunque andassi ero la Versace, e io non potevo che scappare, e stare male. Odiavo Los Angeles. Però ho avuto momenti bellissimi, per esempio quando a New York Rupert Everett ha dato a teatro "Spirito allegro" di Noel Coward, e io dietro le quinte ho fatto la vestiarista, invisibile».
Adesso però prende il suo posto alla Versace, oltretutto come azionista di maggioranza.
«L´idea mi metteva molto a disagio, poi mi sono tranquillizzata. Ho già cominciato a lavorare nell´ufficio stile, sono tutti ragazzi della mia età e sono riuscita a convincerli che io non sono una padrona, ma una come loro che ha la possibilità di fare questo lavoro creativo, che ho sempre sentito sin da bambina come necessario, ed è forse in piccolissimo questa l´eredità che mi ha lasciato lo zio, ed è per questo che non me ne veniva il coraggio. Con i ragazzi lavoriamo in gruppo, tutti uguali. Io sono la sola non pagata, tra l´altro. Siamo diventati amici, usciamo spesso insieme».
Adesso che ha consentito ai ricordi di riaffiorare, cosa sente legarla di più a zio Gianni?
«Il balletto. Lui l´adorava, era amico di Bejart, disegnava i costumi. Io invece mi annoiavo, ma mi portava lo stesso perché diceva che prima o poi ne avrei capito la meraviglia. E così è stato, appena posso, appena c´è qualcosa di interessante, cerco di andare. In omaggio a lui».
Si è riconciliata con il suo cognome, Versace?
«Decisamente preferisco ancora l´anonimato. Da un po´ di tempo lavoro con uno stilista non italiano, lo seguo nell´organizzare le sfilate, la pubblicità, anche nella parte creativa. Ma la cosa fantastica di questo lavoro è che non sono nessuno! Mi pagano anche, certo, per ora non abbastanza per vivere senza pensieri, ma credo che ci si possa abituare a tutto, se ti senti libera, se sei te stessa e non quella che gli altri vogliono tu sia, se non trovi un fotografo in ogni angolo, se non ti sotterrano di crudelissimi gossip che fanno tanto male».