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 2011  giugno 05 Domenica calendario

La distinzione tra borghesia e classe operaia costituisce un cardine dell’edificio storiografico relativo al XIX e XX secolo

La distinzione tra borghesia e classe operaia costituisce un cardine dell’edificio storiografico relativo al XIX e XX secolo. Modalità di lavoro, salari, mentalità non lasciano dubbi circa l’esistenza di questa profonda frattura verificatasi all’interno delle società europee e largamente determinata dall’affermarsi del modello capitalista. All’interno di questo discorso, già ampiamente studiato e dibattuto, può essere interessante tentare di operare una ricostruzione dei modi di consumo che distinsero le diverse classi che componevano il paesaggio sociale del periodo. L’analisi del consumo è infatti uno strumento utile per capire mentalità, stili di vita, orientamenti e predilezioni degli acquirenti, e per indagare i rapporti di forza che le modalità di consumo generano all’interno della società. La borghesia Il punto di partenza per questa indagine è necessariamente lo studio dei modi di acquisto della borghesia, assumendo come principale punto di riferimento le abitudini della classe media inglese, quella che per prima venne distinguendo il proprio ruolo sia dall’aristocrazia che dal proletariato. Guardando al modo di consumare di questa classe, emerge subito un dato di carattere generale: l’attenzione costante e diffusa al mondo domestico e famigliare. L’intera borghesia europea, in differenti momenti storici determinati dai tempi delle trasformazioni socio-economiche, manifesta una peculiare attenzione alla cura del proprio spazio abitativo privato, che diventa un luogo di concentrazione e rifugio dal mondo. Clicca sulla immagine per ingrandire Una delle prime industrie inglesi sorte nel 1700 L’abitazione è pertanto l’oggetto che maggiormente caratterizza sul piano materiale l’affermazione della borghesia sul piano economico e politico. L’attenzione verso la casa - acquisto, scelta, cura degli interni- ha valenze simboliche e sociologiche che non debbono essere trascurate. La cura dell’abitazione rappresenta infatti un modo per segnare una distanza tra la sfera privata e quella pubblica, caratterizzata anche da forti valenze morali. Fuori, all’esterno, si colloca il mondo amorale degli affari, il tumulto caotico della crescita industriale, la mescolanza delle genti, l’insalubrità delle industrie e la sporcizia dei poveri. L’abitazione è invece il luogo degli affetti, dei solidi legami parentali, della cura di sé e degli altri, dell’attenzione alla pulizia intesa come forma di sanità e virtù morale. La cura e la gestione dello spazio abitativo da parte della cultura borghese sono composti da una pluralità di dettagli, che vengono poi a creare il quadro d’insieme. Ad esempio vi è una particolare attenzione per la creazione di un salotto, che costituisce uno degli elementi distintivi delle case borghesi. Il salotto è il luogo delle relazioni, la stanza che apre la casa ad un mondo esterno attentamente selezionato. L’abitazione accoglie ora gli estranei solo su specifico invito e definendo con precisione le aree di condivisione e gli spazi deputati all’incontro. Il salotto è una istituzione borghese anche nella misura in cui la sua strutturazione e l’arredamento mirano a mettere in evidenza, ad esibire, lo status sociale del proprietario, che da questa ostentazione può trovare conferma al proprio rango sociale e può mirare ad innalzarsi. E’ interessante notare come le esigenze sociali abbiano inciso anche sulla composizione dei consumi, dato che molte famiglie piccolo borghesi, trovandosi in difficoltà economica, hanno spesso preferito contrarre i già modesti consumi nei settori di prima necessità piuttosto che rinunciare alla costruzione del salotto o al suo degno arredo: le necessità di apparenza erano considerate socialmente più rilevanti del fabbisogno nutrizionale e delle necessità di abbigliamento. Nella casa borghese, come è facile attendersi, si prestava molta attenzione alla rispettabilità e al decoro. Ciò si traduceva, da un punto di vista della spesa, nella predisposizione di tubature all’interno delle case nelle quali far circolare l’acqua e nella costruzione di bagni all’interno delle abitazioni. La pulizia personale iniziò nel corso del XIX secolo ad essere considerata come un segno di rettitudine morale e sempre più spesso contrapposta alla sporcizia delle classi povere. Inoltre l’affermarsi delle teorie igieniste e di quelle miasmatiche legate agli odori contribuirono ad affermare l’importanza dell’uso del sapone, che divenne un prodotto molto diffuso nelle case borghesi. Anche i vestiti furono sempre più spesso soggetti a lavaggi in cui il sapone venne sostituendosi all’urina, tradizionalmente utilizzata per pulire i capi. Se si pone a confronto un modello di casa borghese del 1800 con una tipica casa proletaria coeva, ciò che cattura immediatamente l’attenzione è certamente la diversa specializzazione degli ambienti. Obiettivo non dichiarato ma perseguito delle abitazioni della classe media era infatti la funzionalizzazione delle stanze, in modo da creare una precisa divisione degli ambiti: ciascuna parte dell’abitazione doveva provvedere ad una precisa necessità e differenziarsi in tal modo dalle altre parti. Ecco quindi che nelle case borghesi iniziò ad adibirsi uno spazio apposito riservato esclusivamente alla cucina, altra scelta parzialmente determinata delle nuove norme sanitarie, che affermavano l’importanza di un corretto trattamento dei cibi al fine di prevenire l’insorgere di malattie. Aspetto certamente curioso di questa divisione degli spazi era che l’abitazione, nel momento stesso in cui veniva affermando il valore dell’unità famigliare e della coesione tra i suoi membri, contribuiva alla determinazione di spazi privati in cui potevano formarsi e maturare le individualità. Nella casa della classe media si operò una divisione tra le camere dei figli e dei genitori e, dove fu necessario e possibile, venne creata un’altra Clicca sulla immagine per ingrandire Le ciminiere appaiono in Italia nel primo Ottocento stanza per distribuire figli maschi e femmine. Non solo i bambini potevano crescere in spazi più personalizzati, ma nella casa si creavano isole in cui i figli, ma anche i genitori, potevano esercitare i propri gusti e talenti personali. Si può spiegare in questi termini la massiccia comparsa dei pianoforti nelle case della classe media, anche se non si devono trascurare gli aspetto sociologici di queste "apparizioni", dato che saper suonare il piano era una dimostrazione del talento e delle capacità intellettive dei figli della borghesia e i concerti in casa erano occasione per tessere la rete di rapporti relazionali tra i vari membri delle famiglie. Comunque gli spazi per coltivare i propri hobby non erano appannaggio esclusivo dei figli, anzi prioritariamente erano i genitori ad esercitare i loro talenti o interessi. Nella casa vi erano infatti tavoli e strumenti utilizzati dalle donne per cucire, mentre tra gli uomini erano diffusi hobby scientifici, che portavano ad accumulare oggetti e strumenti, e in alcuni case particolarmente abbienti erano allestite delle vere e proprie camere delle meraviglie per stupire gli ospiti con curiosità della scienza. Tuttavia per quanto si possa tentare di guardare con una visione d’insieme la cultura materiale e gli spazi del consumo delle classi medie dell’ottocento, non si possono non constatare le significative differenze esistenti tra aree diverse. Da questo punto di vista, l’esempio napoletano è senz’altro interessante per mostrare come la separazione delle classe media dalle elite aristocratiche non sia stata un processo rapido e netto in ogni parte d’Europa. La disamina degli arredi presenti nelle case delle classi medio alte e la sua disposizione evidenzia come la borghesia napoletana abbia ereditato uno stile di vita e di consumo delle classi superiori, senza riuscire a dare un proprio contributo significativo ai cambiamenti delle abitudini di quella città. Infatti ciò che era chiaro anche ai turisti e commentatori stranieri che si recavano nella capitale partenopea nell’ottocento, era il gusto per l’ostentazione presente nelle case borghesi. La spesa per gli oggetti d’arredo da esibire in occasione delle visite rituali costituiva una parte preponderante del budget familiare e gli oggetti erano collocati esclusivamente nelle zone adibite alle pubbliche relazioni, mentre spesso gli spazi privati erano spogli, talvolta angusti e persino insalubri. Molto differente appare la situazione nell’Europa centrale, in cui vive una borghesia con caratteri opposti a quella napoletana. Qui prevale l’orgoglio per i risultati conseguiti attraverso il proprio lavoro, un atteggiamento moralmente severo che si traduce in dotazioni d’arredo piuttosto spartane anche rispetto al modello inglese. Al contrario della borghesia napoletana, la parte maggiore della ricchezza è investita in opere con finalità pubblica, come l’edificazione di teatri, musei e circoli culturali, all’insegna di una mentalità illuminista e democratica. Dopo aver indicato dei casi limite, al fine di dimostrare l’impossibilità di affermazioni assolute, occorre però ancora sottolineare alcuni aspetti comuni, che andarono definendo i paesaggi urbani delle città a partire dal XVIII secolo. Tra questi il più evidente fu senza dubbio la creazione dei cosiddetti suburbi, che iniziarono a fiorire soprattutto in Inghilterra a partire dai primi decenni dell’ottocento. Per capire quali ragioni spinsero la borghesia a costruire o comprare appartamenti fuori dai centri storici delle città, è necessario seguire due differenti percorsi storici che influenzarono questi cambiamenti. Da un lato si può constatare la progressiva separazione tra spazio del lavoro e spazio privato che venne affermandosi a partire dal secolo precedente e trovò piena realizzazione nel 1800. Questa divisione assunse caratteri generali nella classe media, al punto da indurre alla creazione di unità abitative nelle cui adiacenze non sorgevano luoghi di lavoro, che venivano invece raggiunti con mezzi propri o pubblici da quelli che furono i primi pendolari della storia. Dall’altra parte invece furono le esigenze di separazione dalla tumultuosa crescita industriale e commerciale delle città a determinare il desiderio di allontanarsene, per creare quartiere dove regnasse quella pace e serenità che i città si stava perdendo. La creazione di questi quartieri abitativi esclusivamente residenziali ebbe anche come conseguenza il diffondersi dei giardini privati e della loro cura da parte delle famiglie. Il giardino era infatti un elemento che consentiva di diversificare la propria abitazione da quella dei vicini e tra l’altro era un modo per segnalare la propria differenza dalla classe contadina. La coltivazione di piante improduttive con solo scopo ornamentale divenne un Clicca sulla immagine per ingrandire Apparecchio telegrafico del 1835 sistema per affermare la superiorità rispetto ad una classe rurale abituata a coltivare l’orto per esigenze di autosostentamento. Oltre ad essere una pratica di affermazione di una propria superiorità sociale la cura del giardino divenne un’abitudine virile assai diffusa, in cui gli uomini potevano esercitare il proprio fisico senza perdere il rango, mentre le donne avevano modo di mostrare il talento artistico creando composizioni floreali. Rimanendo nel campo delle differenze di genere, occorre sottolineare il ruolo centrale assegnato dalla classi medie alla donna nella cura della casa. Le donne erano chiamate a gestire direttamente i budget familiari e provvedevano a tutte le spese primarie necessarie per mantenere in ordine l’ambiente domestico e per la cura dei propri familiari. L’acquisto di vestiti e cibi era quasi sempre lasciato nelle mani delle donne, che avevano un’importante responsabilità, se si considera che la totalità dei beni primari doveva essere acquistata sul mercato. La donna doveva dunque essere in grado di esercitare competenze di tipo manageriale, tra cui era anche compresa la gestione della servitù, assai diffusa nelle casi della classe media a causa delle estrema diversità delle rendite tra le diverse classi. Questa nuova immagine della donna e questi nuovi compiti vennero riconosciuti e supportati dalla nascita delle riviste femminili, dedicate alla cura e alla gestione della casa, che diventarono nel volgere di pochi anni dei fenomeni editoriali di successo. La classe operaia Nell’ambito del consumo la differenza tra borghesia e cultura operaia non fu determinata principalmente dal reddito, ma dalla presenza di stili di vita e modelli di comportamento diversi. Ciò significa che la classe operaia non si limitò a spendere meno di quella borghese in considerazione del minor reddito disponibile, ma che orientò diversamente le proprie scelte di spesa, creando una cultura alternativa a quella della classe media. Quest’atteggiamento si mostra con chiarezza ad esempio nei confronti della diversa destinazione del budget familiare: in generale la classe operaia spende di più nell’alimentazione, mentre la classe media investe parte consistente del reddito nella gestione dell’abitazione. Che non sia una questione di disponibilità economica risulta chiaro da un altro dato statistico: quando cresce la disponibilità di reddito, la classe operaia diminuisce la percentuale di spesa nella casa, mentre quella borghese li aumenta. Per i primi insomma, la casa non costituisce un settore nel quale investire, mentre per i secondi rappresenta un aspetto distintivo della propria esistenza. Coerentemente con il proprio stile di vita, nel quale un adeguato nutrimento è indispensabile per continuare a svolgere il lavoro fisico richiesto, la classe operaia, anche una volte migliorato il proprio stipendio, continua ad accrescere la percentuale di spesa nel settore alimentare, che oltretutto è anche uno strumento generatore di socialità, in quanto le amicizie di classe si rafforzano principalmente attraverso i convivi nelle taverne e nei pub. Sia nel XIX che nei primi decenni del XX secolo la spesa alimentare degli operai rappresenta la percentuale ampiamente maggioritaria del budget familiare, ma viene diversificandosi per tipologia. Le spese per alimenti primari, come il pane o le patate, tendono ad incidere in maniera percentualmente minore rispetto ad altri tipi di prodotti complementari, dimostrando un significativo allargamento e miglioramento della dieta. Mangiare meglio è senza dubbio uno dei fattori che contribuisce ad allungare la durata media della vita delle persone, che passa in questo tra il 1870 e il 1913 da 29 a 41, così come tende a aumentare l’altezza media. Pur confermandosi a livello europeo una tendenza alla crescita dei consumi della classe operaia, dovuta alla crescita industriale, non sempre questo significò un miglioramento degli indicatori biologici. Soprattutto nelle grandi metropoli l’insalubrità degli ambienti di lavoro, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, il sovraffollamento e la mancanza di igiene impedì il miglioramento delle condizioni di vita. Da non trascurare, tra i fattori negativi, anche il diffuso adulteramento dei prodotti alimentari, che venne contrastato per tutto l’Ottocento dai movimenti igienisti e dalle cooperative di consumo. Da un punto di vista alimentare è utile notare come la classe operaia dipendesse ormai totalmente dal commercio per il proprio approvvigionamento, non ricorrendo mai a forme di auto produzione. Gli alimenti dovevano rispondere ad esigenze nutrizionali elevate e allo Clicca sulla immagine per ingrandire Il salotto era il classico luogo dei ricevimenti ad alto consumo stesso tempo dovevano essere facili da consumare. Nella dieta di un operaio britannico non mancavano mai burro, the, patate, pane e pancetta, talvolta integrate dalla carne, riservata agli uomini in quanto maggiormente bisognosi di apporto proteico. La cucina era estremamente semplice, anche perché le modeste attrezzature non consentivano preparazioni elaborate: basti pensare che le prime cucine a gas fecero la loro apparizione nelle abitazioni alla fine del XIX secolo, mentre prima bisognava arrostire all’aperto in qualche luogo della casa, facendo attenzione ai costi del combustibile. Interessante è constatare come la dieta, proprio perché sempre più legata ai prodotti disponibili sul mercato, mostrò una significativa tendenza ad uniformarsi almeno sul piano nazionale: nella dieta degli operai inglesi fecero la loro comparsa il sanguinaccio, le aringhe, le salsicce e il tipico piatto britannico di fish and chips. Da un punto di vista abitativo, anche le abitudini della classe operai subiscono delle trasformazioni. La distinzione tra ambiente di lavoro e appartamento si realizza anche presso questi lavoratori. E’ innegabile tuttavia che per lungo tempo gli operai non abbiano voluto assimilare quel gusto per l’abitazione così tipico delle classi borghesi. Rispetto alla classe media la divisione di genere, maschi e femmine, adulti e bambini, nucleo famigliare ed estranei, fu molto meno marcata tra gli operai, vuoi per esigenze economiche che rendevano impossibile suddividere in modo tanto netto gli spazi data la relativa angustia degli appartamenti, ma anche per l’eredità lasciata da antiche tradizioni di commistione e mescolanza pubblica. Gli operai non potevano poi permettersi di lasciare a casa le donne a provvedere alle necessità domestiche, perché il loro apporto era spesso decisivo per costruire il budget famigliare e neppure era possibile rinunciare al lavoro dei ragazzi, mentre la classe media investiva nella loro istruzione. L’esistenza di questo problema è comprovata dal fatto che nelle famiglie operaie dove si assisteva ad un aumento di reddito spesso le donne abbandonavano il lavoro in fabbrica di buon grado, per dedicarsi alla gestione famigliare. Diversamente negli strati più popolari le donne lavoravano, condividevano il pub con gli uomini, socializzavano in pubblico, discutevano e schiamazzavano, vestivano la famiglia con quanto disponibile sottomano e a buon mercato e non si curavano particolarmente della pulizia della casa, il cibo era di bassa qualità e l’educazione dei figli era lasciata ai fratelli più grandi. Da un punto di vista abitativo, la tipica abitazione britannica della classe operaia era quelle delle case back-to back. Erano case a schiera su tre piani con una stanza per ciascuno. Erano aperte solo sul davanti perché dietro vi era costruita un’altra casa che si affacciava sulla strada successiva, e quindi non potevano contare su una buona aerazione e luminosità, dato che erano chiuse su tre lati su quattro. Le case, disposte in fila, si fronteggiavano per diverse centinaia di metri, separate dalla strada, al cui termine erano situati da un lato i gabinetti e dall’altro una presa d’acqua. Dunque tutte le necessità corporali erano espletate in un bagno pubblico o all’aperto, distando spesso il bagno molte centinaia di metri dalle abitazioni. La strada di separazione, non pavimentata, si trasformava in un acquitrino fangoso e maleodorante, dove si svolgevano i giochi dei bambini. La vita in queste case e quartieri era meno rigidamente ripartita di quella delle classi medie: la mancanza di acqua corrente e di servizi forzava ad una vita in comune all’aperto, così come l’impossibilità di lavare i panni in casa propria. Anche i consumi collegati al divertimento evidenziavano l’esistenza di differenze di classe. I modi chiassosi di divertirsi degli operai, legati spesso ad una tradizionale rurale, erano male accetti nelle città industrializzate, dove vigeva una accurata regolamentazione degli orari e dei tempi di lavoro. Segno di questa tensione fu lo spostamento di molti divertimenti- canti e spettacoli ad esempio- dalla strada alle taverne: la prima diventava così un luogo sempre più deputato al traffico, mentre nelle seconde si dava avvio ad una "sregolatezza" regolata negli spazi e negli orari prestabiliti. Il livello di regolamentazione era comunque ancora piuttosto basso, se si pensa che le partite di pallone finivano Clicca sulla immagine per ingrandire Diligenza e stazione di posta nell’Inghilterra del secolo XIX solitamente in rissa e che si concludevano quando i giocatori erano troppo stanchi o stufi, così come la boxe, che prevedeva solo l’atterramento o l’abbandono da parte dello sconfitto, senza limiti di round. E’ tuttavia importante notare che proprio la cultura del divertimento e dello sport, pur presentando delle differenze nella fruizione, tendeva ad omologare il consumatore, in quanto gli spettacoli erano organizzati per un pubblico massa, senza distinzione tra classi. In quest’ottica non può essere sottovalutata la funzione dei parchi divertimenti, dove vecchie tradizioni - dei cantastorie e degli ambulanti- si mescolavano con le novità, come la ruota del Prater di Vienna o di Coney Island. Questi parchi di divertimento avevano dei tratti in qualche modo "eversivi" dell’ordine costituito, in quanto proponevano il divertimento tutto l’anno e non nelle apposite festività di calendario. Inoltre si assisteva ad una considerevole mescolanza di classi e i giovani trovavano l’occasione per affrancarsi in questo mondo dal controllo parentale e fare una esperienza soggettiva e libera. Nei parchi conobbe presto notevole successo il cinema, che anche grazie all’azione dei proprietari delle sale, che ne regolarizzarono la fruizione, divenne uno dei principali divertimenti. Si deve notare che questi divertimenti, dalla partita allo spettacolo serale alla frequentazione di un parco sono resi possibili anche dall’accentuata mobilità che caratterizza il XIX e XX secolo: treni e tram permettono infatti gite in altre città e spostamenti tra punti diversi della metropoli. Tra la classe operaia particolare successo riscosse il music hall, che parlava in modo schietto e poco edificante ed era contestato dalla classe media, così come crebbe nelle taverne l’interesse per il ballo di coppia. Se i giovani operai, liberati dalle regole dell’apprendistato artigianale avevano sempre più tempo libero per dedicarsi ai divertimenti, nella classe borghese cresceva invece il culto dello sport come occasione per la formazione del carattere e delle virtù morali. La pratica sportiva, come l’andare a cavallo o giocare a golf, divenne anche un modo per certificare l’esistenza di uno status sociale. Per concludere, si può notare come da un punto di vista dei consumi si osservino, soprattutto nel terreno dei divertimenti e dello sport, tendenze contrastanti, per cui da un lato si cercò sempre più di differenziare la propria appartenenza sociale, mentre dall’altro l’industria dello spettacolo tendeva a favorire l’omologazione. BIBLIOGRAFIA La politica sindacale del fascismo, di A. Aquarone, in ’Il Nuovo Osservatore’ 44/45, 1965. Le origini dei sindacati fascisti. 1918-1926, di F. Cordova - Laterza, Roma-Bari 1974. La nascita del sindacato fascista. L’esperienza di Milano, di I. Granata - De Donato, Bari 1981. Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla caduta del regime. 1930-1943, di G. Parlato - Bonacci, Roma 1989. Il sindacalismo fascista. Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo.1919-1930, di F. Perfetti - Bonacci, Roma 1988. Economia e istituzioni nello Stato fascista, di D. Preti - Editori Riuniti, Roma 1980. Per la storia del sindacalismo fascista: tra controllo sociale e conflitto di classe, di G. Sapelli, in Studi storici Copertina Eventi Libri Editoriale Links Cattedra